Dagli antichi Alessandrini clac di Nerone a Paola ed Enrico
Gargiulo bravi artigiani passando per Giambattista Basile
grande novelliere barocco
Gargiulo bravi artigiani passando per Giambattista Basile
grande novelliere barocco
Qualunque stile di musica popolare preferiate: giuglianese dai ritmi semplici e con molteplici "vutate" e giravolte; vesuviano sarnese-sommese con paranze dotate anche di fisarmonica che intensificano il ritmo sincronicamente alla botta di tamburo; pimontese e costiera amalfitana con il tamburo in vibrazione continua e ossessiva; nocerino dai movimenti pantomimici molto intensi e complessi; siete nel territorio della Tammorra. E se volete saperne di più non potete non recarvi in visita all'Officina della Tammorra di Vico San Severino 39, in piena Spaccanapoli, dove gli strumenti tradizionali della musica campana vengono prodotti e venduti da Paola ed Enrico Gargiulo.
"Tammurri" in pelle di capra o pecora con cimbali o cicere di metallo, "triccaballacche" con caratteristici martelletti lignei che vengono percossi l'uno contro l'altro, "castagnette" simmetriche a forma di conchiglia fondamentali per la tammorriata e infine "putipù" detti anche "caccavelle" che con lo sfregamento di una mano umida lungo una canna inserita in una scatola di latta tonda produce un suono a dir poco irriverente.
Ascoltando i ritmi della Tammorra vengono in mente i suoni che dovevano essere prodotti dalla clac di giovani Alessandrini che l'imperatore Nerone portava al seguito in occasione delle sue memorabili performance canore e teatrali all'interno dell'Odeon, a poca distanza dalla odierna P.zza San Gaetano. Questi partecipavano alle regali manifestazioni con irrefrenabile entusiasmo suonando, come se fossero scrosci di applausi, "bombi", "imbrices" e "testae"; un mix di ronzio di grosse api, di suoni rochi di corni, di pioggia che batte sulle tegole ed infine un crepitio di carboni accesi; il tutto amplificato all'ennesima potenza, visto il cospicuo numero di giovinetti di discendenza egizia e di robusti individui scelti fra la plebe neapolitana che Nerone coinvolgeva nelle rappresentazioni. Grandi casinisti erano questi Alessandrini e forse proprio da essi e dagli antichi neapolitani derivano i cori da stadio oggi così comuni ma anche così simili alle "modulatae laudationes" descritte dall'attento Svetonio.
Non solo ma per chi, come noi, ha avuto modo di apprezzare la Festa di Piedigrotta, sia pur nelle sue versioni più corrotte e più lontane dallo spirito originario, non possono non venire alla mente le mirabili descrizioni raffigurate con plasticità esemplare nella IX Egloga da Giambattista Basile quando descrive, non senza rimpianto e già alla fine del '500, la festosa sarabanda e gli strumenti della festa per eccellenza, la più antica di tutte.
……….lo cunzierto
De lo tiempo passato,
Lo pettano e la carta,
L’ossa nmiezo a le ddeta,
Lo crocrò che parlava,
Lo bello zucozuco,
La cocchiara sbattuta
Co lo tagliero e co lo pignatiello,
Lo votta fuoco co lo fiscariello”.
Insomma "lu scetavaiasse", "lu rebbecchino", "lu triccaballacche", il "putipù", i "mattoni" e le "craste" sono tutti antichi strumenti da cui derivano quelli impiegati per suonare la musica tradizionale napoletana e campana. Di recente l'Officina della Tammorra ha ricevuto una visita, con attestato di benemerenza, da parte del Principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie Duca di Castro.
Tammorre in esposizione nell'Officina |
Enrico e Paola Gargiulo con Beppe Barra |
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