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sabato 31 dicembre 2016

NAPOLI SOTTERRANEA: PERDERSI E RITROVARSI FRA CORRENTI ENERGETICHE, RETI GEOMANTICHE E GENIUS LOCI DI UNA CITTA' CHE RAPPRESENTA UNO SNODO FONDAMENTALE PER LE INFLUENZE TELLURICHE E COSMICHE.

NAPOLI CROCEVIA ENERGETICO CAPACE DI RIVITALIZZARSI COSTANTEMENTE NONOSTANTE LO STRAVOLGIMENTO EDILIZIO, ARCHITETTONICO ED ANTROPOLOGICO.
di Antonio Tortora

Antonio Tortora nei meandri della Napoli Sotterranea (Foto di Mario Zifarelli)
Un geomacer ovvero un maestro di geomanzia, un rabdomante, un radioestesista, o anche un conoscitore di quegli elementi, vento e acqua, che plasmano la terra ovvero un adepto dell'arte del Feng Shui, tutti profondi conoscitori dell'arte di comprendere il respiro della terra armonicamente inserita nel cosmo, a Napoli troverebbero pane per i loro denti; pane in abbondanza. La nostra ricerca parte da quel desiderio improvviso, costante e radicale, di scendere nelle viscere della città attraverso quei camminamenti in origine messi a disposizione dalla pattuglia di coraggiosi amici e soci che fanno capo all'Associazione Napoli Sotterranea, presieduta dallo speleologo Enzo Albertini che sin dalla fine degli anni '60 ha effettuato interessanti scoperte nel sottosuolo partenopeo, inaugurando quel filone che è stato battezzato dai media e dagli esperti del marketing turistico "il primo caso di turismo sotterraneo"; dunque un vero e proprio primato. Stiamo parlando di uno sterminato, e ancora parzialmente conosciuto, giacimento culturale capace di soddisfare ogni interesse storico, archeologico, antropologico e, aggiungiamo noi, energetico. Le centinaia di migliaia di visitatori che sono scesi a circa 40 metri sotto il livello stradale, percorrendo una rampa di 136 comode scale, si sono ritrovati catapultati, quasi in un batter d'occhio, al centro di un portale spazio-temporale che attraversa ben 23 secoli di storia.

Rampa di scale di accesso alla Napoli Sotterranea (Foto di Mario Zifarelli)
Di certo non possiamo esimerci dall'indicare, per sommi capi anche perchè già ci siamo occupati in precedenza e professionalmente dell'argomento, i punti salienti della suggestiva e inedita passeggiata sotterranea; infatti una volta compiuta la discesa, esperte guide condurranno turisti, visitatori occasionali, appassionati e studiosi in una serie di ambienti evocativi e a dir poco fiabeschi. Dai ricoveri aerei risalenti alla seconda guerra mondiale, perchè Napoli fu ripetutamente bombardata dalle flottiglie aeree statunitensi, alle cisterne di epoca greca ricavate da cavità tufacee preesistenti; dagli orti ipogei dove sono state avviate attività didattico-scientifiche cui anche l'ente spaziale americano Nasa si mostra interessato alla Stazione sismica Arianna che ha il compito di registrare, aggiornandoli ogni tre minuti, i movimenti tellurici; dalla spettacolare cisterna romana illuminata raggiungibile attraverso un percorso buio e stretto ma assolutamente affascinante al Museo della Guerra allestito con materiali, oggetti e documenti risalenti alla prima metà degli anni '40. Inoltre attraverso un "basso" di vico Cinquesanti si potrà accedere al teatro greco-romano già indicato dallo studioso Bartolomeo Capasso e soprannominato teatro di Nerone oltrechè si potrà visitare, in un altro "basso", una mostra permanente del presepe popolare antico e i resti di canali di scarico borbonici lastricati da caratteristiche riggiole napoletane. 
Sigillo del Vitriol dal Viridarium Chymicum di Daniel Stolcius von Stolcenberg (Francoforte, 1624)
Ma tornando al nostro desiderio di scendere nelle viscere della città non può non venirci in mente il sigillo alchemico e rosacrociano nonchè massonico ed esoterico che incita decisamente alla discesa nelle profondità della terra e della conoscenza: «Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem»; un primo passo per l'iniziazione verso cui l'alchimista Basilius Valentinus, famoso monaco benedettino tedesco della prima metà del 1600, consigliava di procedere con speditezza. D'altra parte nella patria di Don Raimondo di Sangro Principe di Sansevero, il quale amava definirsi Haravec che nella lingua incaica significherebbe "inventore", non è tanto strano che un desiderio mai sopito di ricerca e di consapevolezza riemerga prepotente e faccia presa su chi, come noi, abbia sviluppato un'attitudine speciale nei confronti di un qualcosa che non è del tutto definibile razionalmente. Parliamo di quella costruzione spirituale, interna, assolutamente individuale, che deriva dal fare esperienza in questa vita per crescere e per comprendere, anche se per doverosi gradi, il proprio ruolo nel mondo terreno e nel cosmo. In effetti già discendere nella sotterraneità equivale a rintracciare quel silenzio e quell' assenza di agitazione che agevolano la possibilità di individuare filoni energetici occultati dal piano stradale metropolitano dove regna il caos e la confusione. Mentre assistiamo, in superficie, alla continua costruzione di meridiani e paralleli artificiali che stanno a significare le circoscrizioni amministrative, le strade e i vicoli, i quartieri e tutte le divisioni che l'uomo moderno e contemporaneo ha voluto realizzare per frammentare e rottamare sè stesso come parte di un tutto e quindi dell'universo, scendondo in profondità riusciamo a percepire il retaggio dei venti, delle acque, delle pietre e dei metalli che un tempo dominavano incontrastati convergendo verso quei nodi geobiologici definiti Rete di Harmann (radiazioni terrestri gamma-ionizzanti) e Reticolo di Curry (radiazioni a maglia più larga). In effetti a noi non interessa tanto il tecnicismo che si cela dietro agli studi a e alle intuizioni del medico tedesco Ernst Hartmann sul magnetismo terrestre e del bioclimatologo bavarese Manfred Curry sulla rete elettrica che avvolge e attraversa il pianeta, quanto la nostra eperienza diretta derivante dal percorrere le vie, i vicoli, le piazze, i tunnel e le cavità sotterranee. Cosicchè oltre alla superficie della città che consente la riscoperta della filosofia del camminare intesa come meditazione mediterranea elaborata dal filosofo Duccio Demetrio e quel pensiero meridiano di cui parla il sociologo Franco Cassano e teso alla recupero dell'identità ricca e molteplice del nostro Sud, ci piace  indicare un nuovo modo di interpretare quell'altrove sotterraneo e normalmente celato alla vista che caratterizza il sottosuolo partenopeo. Tra ipogei greci, tunnel romani, catacombe, acquedotti, grotte marine, cave di piperno e ricoveri antiaerei, tutti scavati nel tufo giallo napoletano, ci si immerge in quella massa geologica vivente, palpitante e mutevole che si estende fra il Somma-Vesuvio e i Campi Flegrei e cioè fra i due complessi vulcanici che non cessano di destare proccupazione per le loro intemperanze sismiche e telluriche; segno inequivocabile di una vitalità straordinaria e, tutto sommato, ancora giovane da un punto di vista geologico. Parliamo di oltre 700mila metri quadrati di cavità esplorate che, con ogni probabilità rappresenta molto meno della metà di quella che è stata sapientemente definita Napoli Sotterranea, un brand che affascina, in epoca contemporanea, i turisti e che, da circa cinquemila anni, intriga l' "Homo  Parthenopeus" che con il sottosuolo ha intrecciato un rapporto quasi magico e costante nel tempo. A testimonianza di ciò le fonti storiche, letterarie, artistiche e antropologiche sono davvero innumerevoli a partire da Seneca che definiva "baratro dell'inferno" la grotta di Posillipo per la sua prossimità al Lago d'Averno a Petronio che alludeva ai misteri celebrati nel cuore costiero della piana campana; da Stazio che rimaneva meravigliato dal notevole movimento umano che si registrava in tutte le cavità anche in quelle più pericolose al geografo medievale Beniamino di Tudela che descriveva gli oltre 700 metri della Crypta Neapolitana; da Ambrogio Leone, storiografo aulico nolano che scrisse in merito alle catacombe a Giulio Cesare Capaccio che alludeva a "mine scavate e meati  di terra artificiale che con scopo si dividono fra loro congiunte". E qui ci fermiamo perchè l'elenco mai potrà essere esaustivo tenendo presente tutti gli autori stranieri impegnati nel Gran Tour  partenopeo tra la fine del'600 e la fine dell'800 e gli infiniti scrittori che ne hanno parlato in epoca moderna e contemporanea. 
Napoli Sotterranea "Percorso lavico" (Foto di Mario Zifarelli)
La Napoli esoterica e dei misteri partenopei trova le sue radici nelle profondità della terra, di quei tufi gialli densi e resistenti ma malleabili e duttili, caratteristiche tipiche dell' "Homo Parthenopeus", che da sempre si è mosso agevolmente fra il culto di Priapo e i misteri orfici, isiaci e dionisiaci; i miracoli taumaturgici di Virgilio Mago e i sangui liquefatti dei suoi Santi Patroni; la cappella-tempio Sansevero e il bugnato enigmatico del Gesù Nuovo. Tra i pozzi magici da cui prelevare l'acqua sanatrice di tutti i mali e i mitrei romani con il sole che perennemente uccide il Toro Mistico, fra le grotte platamonie affollate da menadi nude e jerofanti rivestiti di scaglie di pesce che celebrano riti tramandati da molte ere in onore della mitica Sirena Parthenope, fondatrice della città, e gli insegnamenti di quel maestro di sapienza che fu Ermete Trismegisto. Fra il vicus Alexandrinus e 'o Cuorpo 'e Napule con la restaurata statua del fiume dio Nilo. 
Una vera e propria mappa dei luoghi di forza che dissemina la città e che non può essere conosciuta appieno senza accedere a quelle grotte, a quegli antri e a quei cunicoli che rappresentano l'archetipo dell'utero materno e dunque i miti di origine e di rinascita che attraverso la graduale e consapevole iniziazione conducono l'uomo in quello che il commentatore virgiliano Servio definisce il vero "mondo" nel momento in cui racconta la discesa di Cerere agli inferi nella penosa ricerca della figlia Proserpina. In tutte le antiche tradizioni la caverna è considerata un vero e proprio serbatoio di energia tellurica e ctonia oltrechè tempio sotterraneo dove è possibile rintracciare, intuitivamente oltre che geologicamente, tutti i ricordi ancestrali del periodo glaciale attraverso l'attivazione di un'essenza vitale magica che, di norma, risulta latente ma che durante l'indagine e l'esplorazione sotterranea mette in contatto il cuore dell'individuo con le stelle interne e il resto del cosmo ricordandogli profondamente che, così come l'uomo primitivo entrava in contatto con le potenze ctonie, alla stessa maniera e sia pure inconsapevolmente, l'uomo moderno può tendere alla rinascita non appena riemerge dalle buie profondità dopo essere stato protagonista di una morte e di una sepoltura simulata e ritualizzata.
Napoli Sotterranea, Cisterna romana (Foto di Mario Zifarelli)
D'altra parte anche in superficie i nuraghe sardi costruiti dagli Shardana ovvero dai popoli del mare nonchè i templi e i boschetti sacri druidici, per lanciare lo sguardo in epoche remote, e i castelli e le cattedrali medievali avevano lo stesso scopo delle caverne sebbene costruiti secondo i canoni delle geometrie sacre: introdurre l'uomo in un micromondo capace di presentare costanti e variabili di un intero universo. Tuttavia noi partenopei siamo fortunati a vivere in una città che, differentemente da tutte le altre, si espande in un multiverso profondo e stratificato laddove il paleosuolo ricco di tracce antropologiche e saturo di energie che aspettano solo di essere riscoperte quasi come se il viaggio conducesse all'interno del corpo terreste raggiungendo vene, arterie e organi vitali, ci accoglie agevolmente e ci guida agli innumerevoli pozzi che svolgono il ruolo chiaro di porta del sole e di occhio cosmico. Se la montagna, per dirla alla Guenòn, è sempre stata rappresentata da un triangolo retto più grande con il vertice rivolto verso l'alto, la caverna non a caso è sempre stata identificata da un triangolo retto più piccolo con il vertice rivolto verso il basso e inscritto all'interno del primo raffigurante la montagna; non a caso ad ogni verità manifestata corrisponde una verità occulta e solo con il cuore, il cui simbolo è appunto costituito dai due triangoli intersecati, può essere raggiunto.
Appare superfluo rifarsi alle tradizioni orientali, mediorientali, africane, mesoamericane e nordiche per scoprire le mitologie delle caverne e del sottosuolo dal momento che già i Cimmeri omerici e flegrei abitavano le nostre contrade campane  nelle loro case sotterranee e caliginose chiamate "argillae" collegate da lunghissimi tunnel, e l'abitare in caverne non era del tutto sconosciuto alle locali popolazioni preistoriche. Quanto invece appare doveroso sottolineare l'esistenza di numerose leggende, in gran parte negate da Benedetto Croce ma rivalutate da Matilde Serao, che riguardavano le misteriose entità che abitavano le profondità cittadine fra cui gli spiriti degli antichi minatori chiamati anche cavatori, i "munacielli" del Decumano maggiore ovvero di via dei Tribunali nonchè di Sant'Eframo ai Ponti Rossi, le anime del Purgatorio nell'ipogeo dell'omonima chiesa di Purgatorio ad Arco e del Cimitero delle Fontanelle, il genius loci androgino che in epoca romana caratterizzava il luogo e con cui gli antichi abitanti dovevano scendere a patti al fine di potervi abitare (nullus locus sine genio dice Servio), il greco daimon o essere divino fino alla bella 'mbriana spirito domestico piacente e talvolta buona consigliera. 
Naturalmente nelle nostre incursioni sotterranee non abbiamo mai incontrato le entità enumerate tuttavia abbiamo percepito la sensazione sgradevole del perdersi, come la definisce l'antropologo siciliano Franco La Cecla, ma anche la sensazione rasserenante del ritrovarsi, del riemergere, del tornare alla luce; una sorta di rinascita simbolica dopo aver combattuto contro i guardiani di tesori nascosti che nello stesso tempo si possono manifestare anche come pericolose entità psichiche. Qui il richiamo al regno della metallurgia diventa naturale per chi, come noi, si è trovato spesso ad osservare procedimenti di forgia laddove il metallo fuso scivola nel crogiolo simulando, su scala infinitesima, una colata lavica in tutta la sua magnificenza e il suo splendore alchemico; e forse, oseremo pensare, qualche scoria scomoda e pesante come un fardello rimane lì nelle profondità della Napoli Sotterranea a testimonianza di un'avvenuta trasformazione interiore e di una interiorizzazione psicologica finalizzata alla conoscenza di sè. Anche le iscrizioni misteriose scolpite nella roccia, come le croci penitenziali risalenti all'epoca medievale e altri segni mai decifrati e di incerta cronologia e paternità, possono risvegliare nel visitatore un tale senso di meraviglia da cambiare qualcosa nell'intimo; qualcosa di non razionale ma di profondo e luminoso. Un arricchimento rispetto al quale, pur non trattandosi di una vera e propria discesa nel regno di Agarthi, nella tibetana Shambhala con il suo re-sacerdote Rudra chakrin, nell' Aryavartha degli indù e dei Veda o nella Janaidar dei Kirghizi, vale pur sempre la pena tentare e lasciarsi attrarre dal richiamo forte e magnetico che dall'antro di Piazza San Gaetano lungo Via dei Tribunali conduce verso le profondità della Neapolis più antica della stessa sua fondazione ufficiale e verso l'interiorità di ciascuno di noi.
Nostra slide: https://www.youtube.com/watch?v=V-FomPUWWuw

mercoledì 14 settembre 2016

FU PUBLIO VIRGILIO MARONE IL VERO PATRONO DELLA CITTA' DI NAPOLI? PER OLTRE UN MILLENNIO SEMBRA PROPRIO DI SI.

IL LEGAME TRA IL POETA ROMANO VIRGILIO E LA CITTA' DI NAPOLI E' TALMENTE STRETTO CHE A DISTANZA DI OLTRE UN MILLENNIO, OVVERO DAL MEDIOEVO PERIODO IN CUI IL SOMMO VATE DIVENTA LEGGENDA, LA SUA FIGURA CONTINUA A IMPLEMENTARE LA CULTURA PARTENOPEA.
di Antonio Tortora

L'interno della tomba di Virgilio a Piedigrotta - Napoli (Foto di Antonio Tortora)

Siccome su Virgilio è stato detto e scritto di tutto, dando origine anche a tesi contrastanti, non desideriamo entrare in questioni di carattere storico-letterario ma ci interessa soprattutto esaminare, in maniera sintetica, i miracoli, i prodigi e le magie compiute dal Virgilio protettore della città per evidenziarne l'aspetto più esoterico e nello stesso tempo più coinvolgente del suo agire; non a caso sul suo epitaffio ancora oggi si legge: "Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces" e l'omaggio alla città di Napoli, da parte del Poeta, è assoluto e incondizionato. Con ogni probabilità Virgilio rappresentò anche la summa di una immensa cultura, essenzialmente neoplatonica, che caratterizzò tutta la Napoli colta dell'epoca angioina e aragonese e che fu trasferita alla posterità da monaci amanuensi che dedicarono gran parte della loro vita alla conservazione e alla protezione della cultura scritta; ed è grazie a loro che il sapere greco alessandrino (a Napoli era insediata una importante colonia proveniente da Alessandria d'Egitto), la filosofia classica in genere, la matematica, l'astronomia (su base astrologica) e le conoscenze dell'alchimia spirituale e sperimentale, resero Neapolis la nuova Alessandria e cuore palpitante di studi e ricerche che ancora reggono il ritmo evolutivo del pensiero contemporaneo. Non va neanche dimenticata la pregevole e notevole raccolta di documenti e opere scritte che erano conservati nel Castrum Lucullanum.


Ingresso del Vergiliano a Piedigrotta (Foto di Antonio Tortora)


Ma questa è un'altra storia e vogliamo attenerci al tema a memento dei napoletani la cui memoria storica non va, generalmente, oltre la figura del più recente martire San Gennaro in qualità di principale protettore cristiano della città. In altri contesti geografici e culturali la figura di Virgilio è ufficialmente riconosciuta come poeta approdato all'ars poetica all'indomani di una crisi esistenziale generata da insuccessi clamorosi nel settore giuridico e oratorio; infatti il suo carattere schivo e riservato gli impedirono di esercitare la professione di advocatus. Nel contesto partenopeo, invece, Virgilio fu visto e considerato come artefice di prodigi, magus, sciamano e veggente, negromante, rabdomante e ancora una imprecisata quantità di altri sostantivi esoterici. Questo perchè intervenne magicamente e forse con l'intervento di entità non umane per sanare un territorio problematico e per beneficiare unicamente i suoi concittadini che per molti secoli lo hanno venerato, nonostante i tentativi della Chiesa di cancellarne la memoria.

Tratto da www.romanoimpero.com

Cosa fece per la città e per i napoletani? Proviamo a stilare una lista riepilogativa dei suoi interventi magici tenendo conto degli scritti di Donato in una sua agiografia del II° secolo, della "Cronica di Partenope" a cura di Antonio Altamura, de "Il Segno di Virgilio" opera straordinaria scritta dal Maestro Roberto De Simone, della "Descrittione dei luoghi antiqui di Napoli e del suo amenissimo distretto" di Benedetto Di Falco, di alcuni scritti di Paolo Izzo che pure si è soffermato sugli aspetti magico-esoterici delle azioni virgiliane ed ancora di numerosi altri volumi e documenti la cui lista completa richiederebbe troppo spazio.
Per prima cosa pare abbia realizzato un impianto fognario che in tal caso sarebbe una delle più antiche cloache dell'area europea antica; senza indugio convogliò le acque di numerose sorgenti al fine di far giungere l'acqua a tutte le fontane pubbliche della città, una sorta di opera di ingegneria idraulica essenziale per un sito così densamente popolato. Edificò mura di cinta possenti e inviolabili a tal punto da rendere la città inespugnabile, il che storicamente corrisponde a verità. Si sarebbe servito di conoscenze astrologiche per realizzare una mosca bronzea o forse d'oro per scacciare gli sciami di mosche che appestavano le zone paludose della città alla stessa maniera in cui una sanguisuga d'oro (riferimenti alchimistici) avrebbe sanato i numerosi pozzi dalla pericolosa ed eccessiva proliferazione di tali animali. Per guarire dalle più svariate malattie i cavalli presenti su tutto il territorio cittadino e nelle campagne limitrofe realizzò, sfruttando i segreti dell'arte fusoria, un cavallo di bronzo attorno al quale venivano fatti girare i veri cavalli che, per incanto taumaturgico, guarivano istantaneamente. I territori a quell'epoca erano letteralmente invasi dagli insetti pertanto eliminò il fastidioso e insopportabile canto delle cicale realizzando una cicala di rame sotto particolari influssi astrali; escogitò sistemi magici per conservare la carne sia fresca che salata per molto tempo garantendo ai napoletani un equilibrato e continuo approvvigionamento alimentare. Virgilio operò anche da un punto di vista meteorologico contrastando il Favonio, vento secco e caldo di ponente che i greci chiamavano Zefiro, costruendo una figura antropomorfa bronzea intenta a soffiare in una tromba contrariamente allo spirare del vento; così facendo garantì la stabilità di un clima favorevole alle coltivazioni (orti e vigneti) che insistevano all'interno e in prossimità delle mura cittadine, soprattutto in collina di fronte al Golfo partenopeo. Preoccupato della salute dei suoi concittadini ebbe modo di piantare un orto di erbe medicamentose e magiche per la cura delle più svariate malattie compresa la cecità con la famosa erba lucia (da cui la cristiana Santa Lucia patrona della vista); l'orto, di cui rimase traccia documentale negli archivi del Santuario di Montevergine fino al Medioevo, fu coltivato sul Monte Partenio nell'avellinese il cui nome deriva da Parthenias che significa vergine e non a caso lo stesso Virgilio, la cui radice onomastica parla da sè, era soprannominato per tutta una serie di ragioni "verginello". Oltre alla carne, all'acqua, alla salute e alle erbe provvide anche a un'altra componente essenziale della dieta partenopea ovvera al pesce, gettando in mare lungo la costa cittadina un pesce di pietra incantato che garantiva, in quel luogo, una continua e abbondante pesca. Simbolicamente, e non solo come diremmo noi oggi per arredo urbano, collocò ai lati di una delle porte cittadine, Porta Nolana, due marmoree teste da cui poter trarre previsioni e speranze ogniqualvolta ci si passava vicino; si trattava di una testa maschile dall'espressione contenta e gioiosa e di una testa femminile dalla mimica mesta e malinconica. Si occupò anche dell'ordine pubblico visto e considerato che durante le poco sportive e molto cruenti lotte che venivano periodicamente organizzate presso il sito di Carbonara ci scappava il morto; in tal caso impose l'obbligo di indossare corazze ed elmi riducendo sensibilmente il danno fisico. All'ingresso di Forcella, zona notoriamente infestata da vermi e serpenti anche di ragguardevoli dimensioni, fece lastricare l'intera strada con pietre mischiate a uno specifico sigillo magico; da quel momento non ci fu più alcuna paura di percorrere la strada completamente disinfestata. Ricorrere alla classe medica, già all'epoca, era piuttosto caro pertanto i più poveri e bisognosi non potevano permettersi quello che era considerato un lusso e morivano di continuo. Virgilio, non dimentichiamolo mai sciamano e taumaturgo, fece costruire bagni termali in tutta la zona flegrea, in particolare tra Baia e Pozzuoli, indicandone le innumerevoli proprietà terapeutiche. A tal proposito ci piace ricordare l'opera dell'autore medievale Pietro da Eboli che riportò analiticamente tali proprietà in un'opera dedicata allo Stupor Mundi, ovvero all'imperatore Federico II° di Svevia, "De balneis puteolanis". Purtroppo e inopinatamente i medici aderenti alla scuola medica salernitana non videro di buon occhio tale operazione e si affrettarono ad abbattere tutte le indicazioni stradali, le lapidi con le ralative prescrizioni e anche molte tracce delle sorgenti e delle vasche; ma furono puniti dagli dei che provocarono un nubifragio per cui tutti i medici perirono tra i flutti in prossimità della Punta della Campanella, tranne uno che ebbe il triste compito di testimoniare l'ira degli dei che, in quel caso e senza dubbio, parteggiavano per Virgilio e per l'intero popolo napoletano. Ma il nostro protettore non fu contento fino a quando non realizzò, in tempi brevissimi forse in una sola notte e con l'aiuto di migliaia di creaure extraterrene, che la Chiesa in un secondo momento bollò come demoni, la Grotta di Posillipo, chiamata anche Crypta Neapolitana, al fine di favorire il raggiungimento, da parte dei bisognosi di cure termali, di quei bagni salutari ed essenziali le cui qualità sono ancora oggi riconosciute pure dalla medicina dogmatica e ufficiale. A questa magnifica opera di ingegneria si aggiunsero poi le altre due vie sotterranee di Seiano e la Crypta Romana ad opera dell'architetto Cocceio Nerva. Nel caso della Crypta Neapolitana sono molti i riferimenti di carattere astronomico e astrologico e di sicuro in questo luogo venivano officiati riti del mitraismo e altri culti misterici e solari; non a caso una stele dedicata a Mitra fu rinvenuta giusto in posizione equidistante dai due ingressi, ovvero dal lato di Napoli e dalla parte di Pozzuoli. Infine, ma di sicuro in letteratura sono reperibili altre operazioni magiche virgiliane, come si narra nel trentunesimo paragrafo della "Cronaca di Partenope" l'uovo magico (palladio) fu consacrato al Castel dell'Ovo da cui tutta la storia della nobile e antica Napoli prende l'avvio. Qui è mirabilmente scritto: "Era in del tempo de lo ditto Virgilio un castello edificato dentro mare, sovra uno scoglio, come perfi' mo' è, il quale se chiamava lo Castello Marino overo di mare, in dell'opera del quale castello Virgilio, delettandose con soe arte, consacrò un ovo, il primo che fe' una gallina: lo quale ovo puose dentro una caraffa, la quale caraffa et ovo fe' ponere dentro una gabia di ferro suttilissimamente lavorata. E la detta gabia, la quale contineva la caraffa e l'ovo, fè ligare o appendere o chiovare con alcune lamine di ferro sotto uno trave di cerqua che stava appoggiato per traverso a le mura d'una cammarella fatta studiosamente per questa accasione con doe fossice, per le quali intrava il lume; e con grande diligenzia e solennità la fe' guardare in de la detta cammarella in luogo segreto e fatto siguro da bone porte e chiavature di ferro, imperochè da quell'ovo, da lo quale lo Castello pigliò il nome, pendevano tutti li fatti del Castello. Li antiqui nostri tennero che dall'ovo pendevano li fatti e la fortuna del castello Marino: zoè lo Castello dovìa durare tanto quanto l'ovo si conservava cossi' guardato".

Panorama sulla città dal Parco Vergiliano (Foto di Antonio Tortora)




sabato 28 marzo 2015

CENTO CAMERELLE, PISCINA MIRABILE, SEPOLCRO DI AGRIPPINA IN ALTRE PAROLE L'ANTICA BAULI AUGUSTEA E LA MODERNA BACOLI FLEGREA DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA CONIATA DAL MITO, DALLA LEGGENDA E DALLA STORIA.



Bacoli e i Campi Flegrei
tra passato, presente e futuro

di Antonio Tortora (articolo ripreso da Napoli.com)



« Lasciai quel luogo perché c’era pericolo che se mi fossi affezionato troppo al soggiorno di Bauli, tutti gIi altri luoghi che mi restano da vedere non mi sarebbero piaciuti »
(Simmaco)

Bacoli Chiesa di Sant'Anna (Foto tratta dal Web)

Quando ci capita di passare per i Campi Flegrei, zona che originariamente era molto più vasta di quella attuale e che spaziava dal monte Massico alle propaggini montane del Casertano per giungere fino ai monti Lattari comprendendo tutta la Piana Campana a sud del Volturno, come testimonia Diodoro Siculo parlando dello spazio enorme su cui agivano le eruzioni del Vesuvio, non possiamo fare a meno di ricordare tutte le giornate trascorse con il più affermato storico contemporaneo della zona, il bacolese Gianni Race.
Infatti, verso la fine degli anni ’80 nel salotto della sua casa, sulle sponde del lago Miseno e a ridosso del centro storico di Bacoli, trascorrevamo ore e ore a chiacchierare di storia flegrea e di scoperte archeologiche di cui era sempre a conoscenza visto il suo lavoro di magistrato onorario e di consulente scientifico delle Procure.
L’avvocato, perché questa era la sua vera professione, spesso mi invitava a presentazioni di libri, a visite al Castello Aragonese di Baia che, all’epoca, essendo stato da poco liberato dai terremotati e non essendo dunque già sede museale non poteva essere ufficialmente visitato; ma anche e soprattutto a visite estemporanee presso luoghi ben conosciuti dagli studiosi ma completamente dimenticati dalla popolazione locale e di difficile raggiungibilità, per mancanza di segnaletica, da parte dei turisti per caso e dei curiosi della storia; fra questi siti ricordiamo la Piscina Mirabilis vera cattedrale sotterranea, le Terme romane di Baia, il Sacello degli Augustali luogo fortemente energetico, la evocativa Tomba di Agrippina, i vari Templi di Diana, Mercurio e Venere; inoltre la Casina Vanvitelliana del Fusaro e il Colombario romano presso lo stesso specchio d’acqua, ed infine la straordinaria Cuma con la città bassa, l’acropoli e l’Antro della Sibilla.
Circa l’Anfiteatro Cumano è solo da pochi anni che procedono le campagne di scavo ma già c’erano indizi e tracce evidenti dell’intera struttura. Dal salotto di casa ingombro di libri e reperti preziosi agli scavi, ai sotterranei, ai sacelli, alle lapidi marmoree da tradurre in un continuo movimento che ci fece amare molto Bacoli con la sua capacità di irradiarsi verso tutto ciò che, a nostro avviso, nella vita conta davvero: arte, storia, natura impareggiabile, mare, paesaggi mozzafiato, sentieri sul plateau di Miseno e viuzze strette ma accoglienti nel centro storico.
Dopo questo genere di visite rimaneva sempre una nostalgia forte e immediata. Da quel momento cominciammo a conoscere la zona fin nei suoi più intimi spazi e ancora oggi, a distanza di tanti anni, ci torniamo volentieri. Abbiamo sempre considerato Bacoli una sorta di spartiacque tra il Castello di Baia e Capo Miseno, un punto strategico da cui muoversi per le più belle escursioni da fare nella zona; non solo ma abbiamo immaginato, come in un colossal della cinematografia americana, la flotta augustea ancorata e pronta a partire per lontane missioni oppure intenta a esercitazioni militari che proprio a Militum Schola si tenevano frequentemente.
E allora folti gruppi di milites egizi, traci, dalmati, africani, cilici ma anche greci, italici e sardi inquadrati e ben disciplinati sotto il comando di ammiragli che erano appellati con i titoli di navarchi archigubernatores e capitani di vascello, di corvetta e di fregata chiamati trierarchi si muovevano al ritmo marziale dei tibicines (suono dei flauti).
Le navi della poderosa flotta in ordine di grandezza: liburne, triremi, quadriremi, quinquereme ed esareme cariche di uomini, catapulte-onagri, torri-tabulatae e falariche erano inquadrate in formazione di attacco pronte a partire in ogni momento ma soltanto dopo accurati preparativi.
Un piccolo inciso sulla presenza dei sardi; essi non potevano mancare dal momento che rappresentavano i mitici e nuragici popoli del mare definiti dallo studioso Leonardo Melis “Shardana”, veri conquistatori dei mari in un’epoca indefinita tra la storia e la preistoria operanti su veloci imbarcazioni che oggi potremo identificare come veri e proprio aliscafi estremamente sofisticati.
D’altra parte i romani erano abili, anzi erano in questo specialisti, nel valorizzare le caratteristiche non solo guerriere e marinaresche dei popoli che avevano sottomesso. Ma non vogliamo perderci per cui torniamo al tema.
Alcune delle lapidi, all’epoca circa 180, da cui si ricavano tutti questi interessanti elementi conoscitivi sulla provenienza dei milites sono state esaminate dal Race che dalla loro traduzione, impregnato di cultura umanistica quale era, traeva un grande piacere e noi con lui. Su tutta l’area campeggia la mole tufacea di Capo Miseno che prese il nome dal trombettiere-suonatore di corno o di conchiglia di Enea che pur essendo figlio del dio Eolo fu trascinato nelle profondità marine da un essere soprannaturale mitologicamente definito Tritone. Tanto che la stessa forma del promontorio richiama l’immagine di un gigantesco tumulo funerario.
Tuttavia una forte allusione al vulcanismo flegreo si rintraccia dall’identificazione che Strabone compie tra Capo Miseno e la patria dei Lestrigoni ovvero dei giganti che attaccarono Ulisse e uccisero uno dei suoi compagni, proprio Miseno, lanciando sassi contro le navi dell’eroe definito in qualche rarissimo caso ma bel felicemente “polytropos” ovvero multiforme e cioè capace di cambiare a seconda delle esigenze; in altre parole colui che si adatta per sopravvivere e per portare a termine il lungo ed epico viaggio della vita.
Un Ulisse variabile come la stessa costa tirrenica di cui parliamo che alterna spiaggette sabbiose e calette difficili da raggiungere con dirupi a strapiombo sul mare.
Comunque solo ora, a distanza di anni e assommando le dovute conoscenze, abbiamo ben compreso perché tutto il Golfo di Napoli fu definito dagli antichi greci “cratere cumano” quasi avesse la forma complessiva di una coppa; una sorta di Graal cui da millenni viene posta la domanda sbagliata, per parafrasare il mito dei Cavalieri della Tavola Rotonda, e la risposta non giunge mai.
Per la verità alcune teorie ipotizzano la presenza del Graal proprio in area flegrea¸ all’interno del Monte Barbaro, e se ne è discusso pochi anni fa in un convegno alle Stufe di Nerone moderato dal più grande studioso medievista italiano Franco Cardini.
Proprio non riusciamo a “stare sul pezzo”, la passione ci porta su altri BINARI.
Tornando a Bacoli, straordinario centro di poco più di 28mila anime, nella più remota antichità si identificava con la stessa Cuma (Kyme in greco e Cumae in latino) che aveva un’area di influenza di parecchi chilometri comprendendo Miseno, Baia, Arco Felice, l’attuale Bacoli (antica Bauli) compreso la famosa acropoli con il misterioso Antro della Sibilla che ancora oggi conserva le sue caratteristiche di luogo primordiale e archetipale.
Tutto ciò è riscontrabile, in maniera scientifica e documentata, proprio nelle opere del Race, e dimostra che mentre Cuma fu fondata dai greci provenienti dall’Eubea dopo essersi insediati a Pithecusae (l’odierna Ischia) e dopo averla abbandonata a causa degli sconvolgimenti vulcanici, fu proprio Cuma a colonizzare altri territori fra cui Neapolis, Dicearchia ovvero la contemporanea Pozzuoli e Messina; non solo ma esercitò un serrato dominio anche sui territori interni come quelli pompeiani, sorrentini, nolani e avellani.
Un centro di irradiazione colonizzatrice formidabile di cui anche noi partenopei siamo figli diretti con la seconda fondazione e ricolonizzazione della città.
Cuma-Bauli come capitale di quell’area geografica che definiamo “occidente” e patria originaria di quella lingua italiana che è stata capace di essere assimilata e integrata in tutti quei territori di cui abbiamo accennato, almeno volendo seguire le digressioni virgiliane il cui distico ….“ tenet nun Parthenope”…. ancora echeggia nella nostra mente.

Faro di Capo Miseno (Foto tratta dal web)

Cosicchè studiare la presenza di Virgilio nei Campi Flegrei significa abbracciare in un unico colpo d’occhio il sepolcro del Poeta e Mago a Piedigrotta con la Crypta Neapolitana e il sacello dedicato al dio solare Mitra, la costa posillipina con la Scuola virgiliana della Gaiola, Coroglio e Bagnoli, il cratere di Agnano, gli Astroni e la Solfatara, Pozzuoli e Lucrino, il Lago d’Averno con i Bagni di Tritoli e le Terme di Baia; ed ancora Bacoli, Miseno e Torre Gaveta, Cuma e il monito della Sibilla Deifobe rivolta ad Enea: “gli uomini non tardano ai sacri comandi”.
In altre parole significa irradiare il pensiero, il mito e la storia procedendo da Bacoli sede prescelta dagli antichi Dei per preservare innumerevoli segreti che solo a tempo debito saranno rivelati.
D’altra parte gli imperatori, i saggi e i retori, i senatori e l’intera classe dominante dell’antica Roma non a caso scelsero l’area flegrea per le loro vacanze, per le loro meditazioni e per la loro vita interiore quando decidevano di fuggire dalla vita pubblica. Luogo di tolleranza e di accoglienza finanche per la nutrita comunità ebraica che nel XVII° fu letteralmente cacciata dalla Spagna.
Per queste ragioni, davvero forti e significative, l’area flegrea non poteva non rientrare nei viaggi del Grand Tour laddove, con la presenza esterrefatta dello stesso Goethe e del Winckelmann, venne riscoperta l’età classica inaugurando un nuovo filone culturale che penetrò tutta l’Europa.
È un peccato che le circa centomila presenze estive, con una popolazione residente più che triplicata da maggio a ottobre, si accorgano solo del mare e dei lidi accoglienti che insistono sul lato costiero dell’area bacolese; ma questo può essere un inizio per richiamare un maggior numero di presenze, anche durante le altre stagioni, per la visita ai siti archeologici che sono davvero numerosi e imprescindibili per chi voglia abbinare cultura e tempo libero, mito e natura, storia e arte.
Per la verità la cittadina si sta attrezzando in tal senso e con le prossime elezioni amministrative potrebbero esserci interessanti novità; i giovani del luogo vogliono uscire dal torpore cui le vecchie classi dirigenti li hanno abituati.
Anche i due splendidi laghi salmastri Fusaro e Miseno e i quattro porti naturali disseminati lungo la fascia costiera attendono da troppo tempo una doverosa valorizzazione.
Quattromila e più natanti da diporto non sono pochi e indicano una volontà turistica tenace e pronta a dare il proprio contributo alla crescita di Bacoli così come un terziario ben radicato sul territorio, con le sue oltre 521 imprese commerciali, i suoi 130 ristoranti, i suoi 10 ALBERGHI, gli esercizi agrituristici in netto aumento e un gran numero di esercizi di ristorazione suddivisi tra ristoranti di primo livello, osterie, trattorie, pub, presidi slow food e take away, non possono essere trascurati da un Comune-azienda che ha il compito di salvaguardare l’economia e il benessere dell’intera area.
Senza trascurare, ovviamente, le numerose aziende vinicole che ormai esportano Falanghina, Aglianico e Piedirosso anche all’estero rispettando l’antica vinificazione flegrea e i moderni disciplinari produttivi.
La parola ora passa ai giovani di buona volontà e a quelli meno giovani che hanno a cuore il futuro dei figli e dei nipoti che non devono più essere ossessionati dall’idea, malsana e depauperante, di emigrare verso lidi sconosciuti dove sarebbero costretti a recidere il legame con la propria terra. Ciò dovrebbe essere una scelta consapevole e non un obbligo dettato dalle difficoltà economiche.
L’”eccedenza del passato” concetto elaborato nell’ambito della filosofia di Giambattista Vico non deve rappresentare una zavorra pesante da sostenere bensì un’agile risorsa perché una comunità, come quella bacolese ma non solo, non dispone unicamente di storia da studiare e da valutare ma anche di una capacità progettuale che si proietta verso un futuro di sviluppo che, volendolo fortemente, può essere avviato sin da ora.
L’amico indimenticato Gianni Race, ne siamo certi, leggendo queste note e queste considerazioni, le condividerebbe sottoscrivendole appieno.

Tratto dal quotidiano online Napoli.com:  http://www.napoli.com/viewarticolo.php?articolo=41445&pagenum=0

lunedì 26 gennaio 2015

Per un'antropologia dell'informazione partenopea.

Recensione del nostro sitoblog antoniotortora.it apparsa sulle pagine de Il Mattino online in data 24 gennaio 2015 a firma del collega Marco Perillo che ringraziamo molto per la sensibilità con cui ha trattato l'argomento mostrando di aver compreso fino in fondo lo spirito con cui abbiamo duramente lavorato in team con i tecnici informatici nonchè amici Marco Manna ed Enrico Aiello. 

Un altro riconoscimento importante al nostro lavoro svolto nell'interesse della città. 

L'Homo Parthenopeus é qualcosa di più, é valore aggiunto alla vita stessa di Neapolis ed è bene che si comprenda che la cultura é l'elemento più importante e imprescindibile per comprendere il nostro passato, per vivere il nostro presente, per sperare nel nostro futuro.

 articolo blog guru meditation


martedì 20 gennaio 2015

PER UN'ANTROPOLOGIA DELLA FONDAZIONE DI PARTENOPE E IL MITO DELLA SIRENA

La Fontana di Spina Corona detta "e' zizze" simbolo archetipico della città e richiamo costante alle sue antiche e nobili origini. Un'interpretazione.


"Anche se non si volesse credere alla verità che nascondono, è impossibile non credere alla loro incomparabile potenza simbolica. Nonostante la loro consunzione moderna, i miti restano, al pari della metafisica, un ponte gettato verso la trascendenza. (Ernst Jünger)"


Foto di Antonio Tortora


Qualunque sia la collocazione della tomba della Sirena Partenope, la Fontana di Spina Corona detta "a' funtan 'e zizze" si impone per modestia e discrezione interpretativa in una strada parallela al Corso Umberto; quasi non vuole apparire, quasi non vuole dire, ne tantomeno vuole svelare il mistero antico che si cela sotto il peso di duemilacinquecento anni di storia e oltre.
In via Guacci Nobile la potenza mai sopita di un simbolo, perchè il simbolo rimane sempre attivo e inesausto fintanto qualcuno riesca a interpretarlo, esercita il suo fascino e continua a incantare e a suggerire la quiete che ogni vero partenopeo, passionale per temperamento ed esuberante per carattere, stenta a trovare nei pensieri e nelle azioni. La forza distruttiva del Vesuvio fa paura e nello stesso tempo modella il paesaggio; la seraficità ardente (in modo paradossale) della Sirena suggerisce in un soffio di voce appena percettibile "dum vesevi syrena incendia mulcet" verso inciso, in origine, sul marmo bianco della fontana . Già ma quale vulcano si addolcisce con la sua acqua limpida? Quello fisico e imponente che domina la linea di costa della parte più bella della Campania Felix oppure quello del cuore dei suoi figli partenopei che batte all'impazzata?
Odysseus and the Sirens. Detail from an Attic red figured stamnos,
ca. 480-470 BC. From Vulci Foto tratta dal Web
Il richiamo al lac virginis, all'acetum fontis e all'aqua vitae della fontana mercuriale é immediato anche se questa fontana alchemica ne ha tre di bocche; l'invito concettuale a tale similitudine e all'essenza della prima fase della coniunctio (descritta nel Rosarium Philosophorum) é troppo forte. Ma forse sbagliamo. Chissà.
Comunque i siti dove si ipotizza possano essere rinvenute tracce della tomba della Sirena non sono molto lontani da quel piccolo altorilievo dove, oltre allo "sterminator vesevo" di leopardiana memoria, si possono ammirare un violino e lingue di fiamme; musica e fuoco della stessa essenza ignea. Oggi la fontana è senza acqua e, apparentemente, il prezioso liquido non raffredda i tellurici ardori del maestoso vulcano; tuttavia il suo fascino non cede il passo alla malinconia che deriva dalla incuria colpevole di un popolo che, afflitto dalle difficoltà materiali, cerca con ogni mezzo di attingere, insopprimibilmente, alle più profonde fonti vitali. Il simbolo androginico della città non abbandona i suoi figli perchè é in essi incarnata e le più antiche feste lampadiche, di origine greca, e le più recenti feste di Piedigrotta testimoniano il legame con colei che fu, per lungo tempo, chiamata la Regina Partenope, la Fortuna della città, la Fondatrice. E il fasto, contrariamente all'epoca contemporanea, era tale che il Pontano defini il tempio-tomba della Sirena, a suo dire persistente nel sito dove oggi ammiriamo la Basilica di San Giovanni Maggiore, "mirae magnitudini".
Su questo tema abbiamo fatto una chiacchierata con un amico di cui, ne siamo sicuri, rimarrà significativa traccia. 
Foto di Antonio Tortora


« Dopo Dicearchia c’è Neapolis […] viene indicata sul posto la tomba di una delle Sirene, Partenope, e vi si tiene un agone ginnico, secondo un antico oracolo », traduzione da Geografia (V, 4, 7) di Strabone. Il luogo di sepoltura di Partenope fu individuato, nella lunga storia delle città napoletana, in più siti disparati. I più noti sono il tempio presumibilmente dedicato a Partenope, pressappoco posizionato dove oggi vi sono le più antiche fondamenta del Castel dell’Ovo, inoltre sulla collina di Sant’Aniello. Più in generale, come ci informa Strabone (I, 2, 12), una località della penisola sorrentina era dedicata al culto delle Sirene. 

Tratto da:

http://digilander.libero.it/storia_e_numismatica/La%20Sirena%20Partenope%20ed%20i%20nummi%20neapolitani%20-%20Gionata%20Barbieri%20-%202007.pdf

giovedì 15 gennaio 2015

Da San Giovanni Maggiore a Gradini Santa Barbara

Le scale di Napoli

Le calatediscesegradinigradonirampe, scale di Napoli sono degli antichi percorsi pedonali che congiungono le colline con il centro e la costa. I più antichi percorsi gradinati della città, il più delle volte, sono nati grazie all'interramento di torrenti o sorgenti, che un tempo scorrevano appena fuori la città.

Queste strade furono innalzate anche per collegare facilmente le varie emergenze monumentali, soprattutto religiose: monasteri, ritiri, chiese, ecc. o soprattutto, per esigenze urbanistiche. Risultano tutt'oggi oggetto di studio e sono considerati dei veri e propri capolavori urbanistici.


Non è mera questione di meditazione, buddismo, zen, esicasmo o quant'altro; bensì è questione di interrogativi supremi che cercano risposte. Noi crediamo che nella poesia "Gradini" dello scrittore tedesco Hermann Hesse, Premio Nobel per la letteratura nel 1946, ci siano risposte precise a quesiti cui non ci si può esimere dal ricercare risposte. Il punto interrogativo del dubbio, dell'incertezza e della titubanza caratterizza la nostra vita inesorabilmente e ad un certo momento dobbiamo fermarci, tirare un respiro, impedire che l'ansia soverchi noi e tutto il nostro essere, dobbiamo aggiustarci gli occhiali sul naso e dobbiamo guardarci indietro per esaminare la nostra esperienza, dobbiamo guardare i nostri piedi per capire fin dove siamo arrivati, dobbiamo guardarci intorno per scoprire in quali territori ci siamo addentrati ed infine, cosa difficile dopo una lunga e meditata pausa, dobbiamo guardare avanti dimenticando per un secondo tutto quanto ci circonda, e riprendere finalmente il cammino. Si tratta di una scala antropologica che parte dalla materia corporea e dal corpo vivente, attraversa l'affettività, l'intelligenza e la libertà, sosta per qualche tempo nell'autocoscienza; infine raggiunge la supercoscienza. Una vera e propria piramide ascensionale che conduce l'uomo a sviluppi imprevedibili e unici per ogni essere vivente.

Da San Giovanni Maggiore a Gradini Santa Barbara
Escursione antropologica di #antoniotortora

il video:


album fotografico:


l'intera Playlist:
la poesia:

Gradini (Hermann Hesse)


Come ogni fior languisce e

giovinezza cede a vecchiaia,

anche la vita in tutti i gradi suoi fiorisce,
insieme ad ogni senno e virtù, né può durare eterna.
Quando la vita chiama, il cuore
sia pronto a partire ed a ricominciare,
per offrirsi sereno e valoroso ad altri, nuovi vincoli e legami.
Ogni inizio contiene una magia
che ci protegge e a vivere ci aiuta.
Dobbiamo attraversare spazi e spazi,
senza fermare in alcun d'essi il piede,
lo spirto universal non vuol legarci,
ma su di grado in grado sollevarci.
Appena ci avvezziamo ad una sede
rischiamo d'infiacchire nell'ignavia:
sol chi e' disposto a muoversi e partire
vince la consuetudine inceppante.
Forse il momento stesso della morte
ci farà andare incontro a nuovi spazi:
della vita il richiamo non ha fine....
Su, cuore mio, congedati e guarisci...

sabato 10 gennaio 2015

Funghi al Bosco di Capodimonte raccolti da Stefano Sposito e Antonio Tor...



sito web
orari

Il bosco fu voluto da Carlo di Borbone nel 1734. Fu concepito inizialmente come riserva da caccia ma con il Re Ferdinando II delle Due Sicilie fu trasformato in giardino all'inglese, assumendo l'aspetto che conserva attualmente.
La micologia è una branca delle scienze naturali che si occupa dello studio dei funghi. Il termine deriva dalle parole greche per fungo (múkes, μύκης) e studio (lógos, λόγος). Il campo di studio della micologia è l'intero regno dei funghi: dai macromiceti, che possono raggiungere ragguardevoli dimensioni, ai micromiceti, molto più numerosi dei primi ed infinitamente più piccoli.

venerdì 9 gennaio 2015

LAPIDE MARMOREA DEDICATA A COMINIA PLUTOGENIA SACERDOTESSA DI CERERE.

E' sempre un'emozione cercare e trovare antiche vestigia della Neapolis più arcaica


Abbiamo rintracciato una lapide marmorea dedicata a Cominia Plutogenia, sacerdotessa di Cerere, all'interno di un palazzo di Piazza San Gaetano, di fianco all'ingresso di Napoli Sotterranea e l'abbiamo fotografata per testimoniare l'evento.
Certo si tratta di una testimonianza già conosciuta da tempo agli studiosi e a gli archeologi, peraltro già citata in una edizione fine anni '70 di "Napoli Greco-Romana" di Bartolomeo Capasso e nell'opera "Il Decumano Maggiore da Castel Capuano a San Pietro a Maiella" scritta circa dieci anni fa da Carlo De Frede. Tuttavia non conoscevo l'esatta ubicazione della lapide e quando l'ho rintracciata, attraverso segnali territoriali che sempre più forti mi giungono dalle fonti più disparate, ho provato una grande emozione almeno in una triplice veste. Da cittadino che riscopre un pezzo di storia "riciclata" o di "reimpiego" per usare un termine caro agli architetti e ai tecnici delle Soprintendenze; in tal caso giova dire che a Napoli il "reimpiego" é di fondamentale importanza perchè con esso la storia urbanistica, architettonica, religiosa e antropologica della città rivive continuamente. Da giornalista perchè l'impatto conoscitivo é stato pari a quando un operatore dell'informazione scopre qualcosa che è meritevole di essere portato a conoscenza di chi non sa; dunque ha il valore tipico della notizia da cui lo studio e l'approfondimento originano. Da studioso di storia patria perché in questa miniera a cielo aperto ma talvolta anche sotterranea che é Napoli, la caccia al dettaglio, voluta o casuale, é sempre aperta.



Base marmorea dell'erma dedicata a Cominia Plutogenia
Foto di Antonio Tortora


Foto di Antonio Tortora
La qualità delle foto non è eccezionale, e me ne scuso, ma per imperizia informatica non riesco a renderla leggibile. Tuttavia ne fornisco la traduzione riportata dal Capasso nel paragrafo dedicato ai Monumenti posti nel foro:  "A Cominia Plutogenia, sacerdotessa di Cerere legislatrice, figlia di Sa....., moglie di Paccio Caledo già arconte, madre di Paccio Caledieno, già edile, ava di Castricio Pollione già arconte, Tiberio Castricio Caledieno, già demarco, pose alla bisavola in segno di affetto, per decreto del consiglio municipale"


Foto di Antonio Tortora
E' proprio nel Foro, più o meno nelle vicinanze del Tempio dei Dioscuri (attuale chiesa di San Paolo) e al centro esatto del Decumano Maggiore (via Tribunali) che si trovavano le erme dedicate a imperatori e a illustri personalità che abitarono nella città o che fecero qualcosa di importante per Neapolis. D'altra parte non a caso il Tempio di Cerere, sito laddove oggi sorge il Tempio di San Gregorio Armeno, era collocato nelle vicinanze come anche il Tempio di Apollo, il Teatro e l'Odeon, dove cantò Nerone; in pieno centro del centro cittadino. Per cui è del tutto naturale rintracciare le vestigia dell'antico culto reso alla dea della fertilità sotto forma di iscrizioni, lapidi e frammenti di statute. E' presente la sacerdotessa Tettia Casta che gestiva una casa delle donne da cui ciclicamente partivano per Roma le sacerdotesse di Cerere; Terenzia Paramone che andò a dirigere il Tempio di Cerere a Pompei con il cognome Thesmoforos; la canefora con fiaccola e canestro di cui già abbiamo parlato altrove
(http://antoniotortora.blogspot.it/2014/12/canefora-tempio-di-cerere-s-gregorio.html) e Sabina sacerdos Cereris publica la cui lapide fu rinvenuta nella casa del segretario di Carlo V°. Napoli, insieme a Velia erano considerate il luogo ideale da cui far provenire le sacerdotesse di Cerere e queste appartenevano alle famiglie più importanti dei due centri.
Anche quei tempi Neapolis era importante dal punto di vista religioso e questo, forse, spiega perchè ancora oggi la parte centrale dei Decumani é chiamata "il miglio sacro".
In rete abbiamo rintracciato una curiosità che poniamo all'attenzione del lettore meno frettoloso: 

SOME NEAPOLITAN FAMILIES
of Martti Leiwo

ABSTRACT: Naples (Neapolis) was the only city in the Western Mediterranean which was maintained by the Romansas officially Greek-speaking city. Thus all the decrees of its boule were written in Greek till the beginning of the 4thcentury A.D. when the change to Latin suddenly happens. However, it is not clear whether it really was a Greek city,
or was it rather a normal Campanian city. With this in mind, the purpose of my paper here is to study some Neapolitan families roughly from the 1st century B.C. to the 1st century A.D. The mainpoints of the paper are: the acculturation of Greek, Roman and Oscan speaking population, the choice oflanguage in the funerary inscriptions of the Neapolitan
family tombs, the choice of names in a family, the possible surviving of the traditional Greek individual names in the Roman nomenclature of Naples.

Studio completo - link: http://helios-eie.ekt.gr/EIE/bitstream/10442/309/1/A01.021.08.pdf