Novella Natalizia


Durante l'ultima domenica dell'anno liturgico e festa di Cristo Re, una delle balze collinari di Monte Sant'Angelo alla Corvara facente parte, unitamente al Monte Barbaro e al cratere del Campiglione, dell'apparato vulcanico che i romani chiamavano Mons Gaurus, le voci di un centinaio di persone si sono mischiate ai suoni di una natura in parte incontaminata, nella ricostruzione antropologica di una "Novella Popolare di Natale".
Si è trattato essenzialmente di un nutrito gruppo di pellegrini che, in abiti antichi e calcando un set improvvisato ma molto ben ricostruito, hanno rappresentato scene di un'antica novella popolare campana dell'800. 
Si è trattato di una pregevole nonché rarissima ricostruzione antropologica di eventi riguardanti la fede cristiana e la riproposizione di quella che può essere definita una originale via di mezzo tra i racconti tradizionali e le novelle popolari che, sebbene in maniera residuale, ancora persistono nel sostrato culturale di un'ampia zona geografica che si estende fra la città di Napoli e la sua provincia.
Le molteplici scene, mirabilmente inserite in un corollario suggestivo di paesaggi ampi e naturali, hanno riproposto piccoli episodi di vita quotidiana come il mercato con venditori ambulanti, compratori, viandanti e donzelle; una natività ricca di personaggi ben riconoscibili nell'immaginario collettivo che a Natale assumeranno tutto il carattere e tutta la potenza evocativa che da duemila anni li caratterizza; un'osteria affollata di avventori dove la lieta novella della nascita del Cristo viene annunciata da un angelo posto su un'altura; i Magi con gli occhi rivolti al cielo con l'intento di seguire la stella cometa con la sua imponente traccia luminosa; una tarantella popolare destinata a contestualizzare la gioia di un Natale tutto popolare e allo stesso tempo bucolico; un provvidenziale pastore che conduce un gregge di pecore al posto giusto nel momento giusto.
Infine un frate che, dopo aver sognato un presepe triste e vuoto, si ritrova su un palcoscenico reale pieno di vita dove tutti i valori positivi di una vita interamente fondati sulla provvidenza divina trionfano e allietano ogni fatica. 
Il valore antropologico della rappresentazione risiede nell'aver dato nuova vita a una tecnica narrativa orale che, a differenza di quella scritta più codificata e più certa nella sua derivazione da fonti ben identificate, si rimodula adattandosi alle circostanze e ai paesaggi culturali. 
In altre parole tutti i partecipanti, dagli attori principali alle comparse, hanno attinto a un immaginario collettivo che ancora difende le sue posizioni in un  mondo contadino campano non ancora del tutto disgregato e che mostra la volontà di sopravvivere in un territorio che, pur non essendo più configurabile come la Campania Felix di un tempo, è pur sempre il luogo in cui il Natale, con il suo straordinario carico di simboli e riti, mitici, magici e religiosi, continua a non lasciare indifferenti.

Cav. Antonio Tortora (foto e testo)


"Non nobis Domine, Non nobis, sed nomini tuo da gloriam"
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