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lunedì 10 luglio 2017

NEL CUORE PARTENOPEO DEL RIONE SANITA' C'E' ACQUAQUIGLIA DEL POZZARO UN LUOGO DESTINATO A FAR PARLARE MOLTO DI SE'.

IL RIONE SANITA' E IL BORGO BAROCCO DEI VERGINI NASCONDONO MOLTI TESORI IN ATTESA DI ESSERE SCOPERTI. ACQUAQUIGLIA DEL POZZARO E' UNO DI QUESTI E VINCENZO GALIERO MOSTRA COME RISCOPRIRE, SCOPRIRE E VALORIZZARE UN PATRIMONIO UNICO AL MONDO.
 di Antonio Tortora
 
Ingresso di AcquaQuiglia del Pozzaro alla Sanità in via Fontanelle 106 (Foto di Antonio Tortora)


In una delle nostre innumerevoli camminate cittadine ci siamo ritrovati fortuitamente di fronte a un piccolo cartello che ha suscitato la nostra curiosità antropologica; la meta iniziale era la parte del Rione Sanità che costituisce la base tufacea della collina di Capodimonte e che ospita lo straordinario Cimitero delle Fontanelle, unico al mondo e da noi già visitato (Slide: https://www.youtube.com/watch?v=NmR3Yjohtw4), ma la curiosità di seguire la imprevedibile e strana indicazione ha prevalso sulle originarie intenzioni. Appena entrati ci siamo subito resi conto di esserci imbattuti in Acquaquiglia del Pozzaro  ovvero in un caratteristico "vascio", abitazione popolare a fronte strada di cui già riferirono, in alcune opere, il certaldese Boccaccio nel XIV sec., il novellista Masuccio Salernitano nel XV° sec. e lo scrittore barocco Giambattista Basile. E a proposito di Basile possiamo affermare che l'ambiente in cui siamo entrati e dove siamo stati accolti da Vincenzo Galiero, è a dir poco fiabesco e introduce immediatamente in un mondo arcaico animato non solo dallo spirito del nonno di Vencenzo che in questi locali, dopo averlo stoccato in apposite vasche oggi scomparse, vendeva il baccalà agli abitanti del quartiere, ma anche da quella presenza inquietante e tuttavia storicamente accertata del "pozzaro" spesso sornionamente confuso con il Munaciello che le combinava di tutti i colori nelle case in cui riusciva ad accedere attraverso gli innumerevoli pozzi che costellavano la città antica. In un primo ambiente, che Matilde Serao non avrebbe esitato a definire uno "stambugio", dormiva e viveva tutta la famiglia del nonno di Vincenzo e un tavolo con poche sedie e un braciere testimoniano eloquentemente la povera vita che veniva condotta in questi ambienti molto angusti e umidi benchè magistralmente descritti nelle commedie di Eduardo de Filippo.

AcquaQuiglia del Pozzaro all'interno (Foto di Antonio Tortora)

In tutti gli altri ambienti c'è un pozzo scavato e ripulito, ben cinque, laddove in origine il nonno di Vincenzo aveva attrezzato vasche per il baccalà e che testimoniano l'importanza dell'acqua, in una città come Napoli e in un Rione come la Sanità, che da sempre rappresenta un potente canale esoterico di tramite e colleganza tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti. Non è un caso se in questa zona della città sono state ritrovate innumerevoli catacombe fra cui quelle di San Gaudioso, di San Gennaro e di San Severo; cimiteri come quello molto noto delle Fontanelle, necropoli preistoriche e ipogei greci. Quasi come se una precisa volontà avesse voluto collocare in tale area un aldilà fisico concreto, percepibile, visitabile e non avulso dalla vita che scorreva e che ancora scorre in quel labirinto urbanistico interrotto, quà e là, da palazzi storici di grande importanza come i Palazzi "dello Spagnolo" con le sue scale ad ali di falco, "Sanfelice" con le Sirene che accolgono il visitatore, "Traetto" che fu sede di un giardino all'italiana di sapore rinascimentale e molti altri ancora. Una sola curiosità, per così dire linguistica, ci pare che tra vasca e vascio ci sia una somiglianza notevole e parimenti ci sembra che l'lelemento acqueo e l'umidità rappresentino l'elemento di collegamento tra le due parole e i due significati. Qui, ad Acquaquiglia del Pozzaro l'umidità c'è eccome e ogni centimetro quadrato di corridoio, di gradino, di antro tufaceo svela un dettaglio, un particolare, uno spezzone di vita semplice ed essenziale, tra riggiole variopinte, attrezzi da lavoro arrugginiti, anfore e vasi, statuette che sembrano votive, piatti e cocci di ceramica, e pentole di stagno e alluminio in prossimità di pozzi che invitano a ricordare quanto l'acqua sia importante per la vita dell'uomo. Vincenzo Galiero è stato geniale nel riproporre un luogo privato a un pubblico che vuole sapere come si viveva nella Napoli del '900, e a ritroso nella Napoli antica  fin nella Neapolis degli Eunostidi, fratria particolarmente importante derivante dal vergine Eunosto che fu accusato ingiustamente di violenza carnale ai danni di Ocna e dai fratelli di questa ucciso; che celebrava i propri culti arcaici proprio in quel grande impluvio-vallata che dalle Fontanelle giungeva fino al Lavinaio. Questa fratria era in stretto contatto, per i riti funerari e i pozzi sacri, per i boschetti sacri e per gli ipogei, con tutte le più importanti fratie che a Neapolis gestivano porzioni di territorio con criteri di armonia quasi cosmica oltrechè umana; ci riferiamo agli Eumelidi legati al leggendario fondatore della città Eumelo Falero, agli Artemisi che officiavano riti a Diana laddove oggi ancora si trova il campanile della Pietrasanta, ai Kumei i primi abitanti di Neapolis che occupavano l'area fra via Mezzocannone e Piazza San Domenico Maggiore e numerose altre. Ad ogni modo il quartiere dedicato al "vergine" Eunosto oggi si chiama ancora "Borgo dei Vergini" e ciò la dice lunga sul paleosuolo antropologico presente in un territorio ricco di testimonianze del passato. 

Acquaquiglia del Pozzaro Cunicolo d'ingresso che costeggia uno dei 5 pozzi (Foto di Antonio Tortora
Per noi che abbiamo visitato la Napoli underground più volte registriamo come la sensazione che anche i silenziosi e bui ambienti sotterranei di cimmeriana memoria riproducano cardini e decumani, plateiai e stenopoi, quasi esattamente a quel caotico e colorato mondo di superficie dove ci piace vagare alla ricerca di luoghi straordinari. Ma che significa Acquaquiglia? Qual'è la sua origine etimologica? Pare che il significato debba essere ricercato, durante il periodo angioino, in una zona malfamata ricadente in prossimità del Porto, tra il Mandracchio e la Dogana del Sale, laddove c'era la Fontana della Quaquiglia (ci risiamo con l'acqua!) che viene appunto dal francese "coquille" che significa lumaca e che di recente è stata restaurata. Ma c'è pure un'altra versione, ipotizzata dal Galiero che la farebbe derivare dal greco "fontana dell'acqua Aquilia" che in epoca antica sarebbe stata ubicata nei pressi di Portosalvo laddove comunque persiste una fontana della "maruzza" ovvero della lumaca voluta dalla corporazione dei pescatori. Ad ogni modo Vincenzo Galiero è un fabbro dal temperamento forte e tenace e abbiamo motivo di credere che non si stancherà tanto facilmente di accogliere turisti e curiosi come solo lui sa fare e di illustrare le meraviglie di questo pezzetto di sottosuolo che potrebbe, secondo diverse scuole di pensiero, essere collegato al cimitero delle Fontanelle, poco distante e sempre pronto a meravigliare i numerosi visitatori che ivi si recano per lasciarsi affascinare da una Napoli che, per sua natura, non si lascia andare nonostante le numerose classi di amministratori e decisori politici che si sono inutilmente avvicendati senza aver mai voluto mettere mano alla riqualificazione di un Rione che rappresenta un unicum nella storia d'Italia e forse mondiale. Intanto ci aggiriamo fra i pozzi e proviamo a immaginare come poteva e doveva essere la vita in quest'antro pieno di mistero e di presenze ectoplasmatiche e scopriamo i dettagli di una realtà che sopravvive a sè stessa nonostante il baccalà non sia più venduto in questo "vascio" che rappresenta solo l'inizio di una grande avventura e nonostante il profumo del pesce nordico abbia lasciato il posto all'odore di tufo che si sgretola millimetro dopo millimetro. Qui, ne siamo certi, il piccone e la pala riprenderanno a scavare e a portare alla luce tutto ciò che deve essere portato alla luce. Non solo ci torneremo, e di frequente, ma l'intero Rione Sanità e lo stesso Borgo dei Vergini registreranno la nostra presenza abituale e consueta nella speranza che anche il lettore di questo articolo si fidi di ciò che abbiamo scritto e si rechi in questo quartiere incredibile.

Il Munaciello va via e ci lascia alle nostre meditazioni (Foto di Antonio Tortora)


martedì 7 febbraio 2017

VIAGGIO NELLA NAPOLI SOTTERRANEA ALLA RICERCA DELLE CORRENTI ENERGETICHE CHE DA SEMPRE ALIMENTANO NAPOLI E COLORO CHE LA POPOLANO: UN' ESPERIENZA ANTROPOLOGICA E INIZIATICA

 UN DOCUMENTARIO INTERAMENTE GIRATO NEL CUORE ENERGETICO, TELLURICO E CTONIO DI UNA NAPOLI CHE NON SMETTE MAI DI MERAVIGLIARE.

"Qui, nella Napoli Sotterranea, misteri, miti e riti mostrano la loro vera essenza: sono enigmi che, se risolti, portano alla conoscenza non senza aver prima affrontato e approfondito credenze e leggende tramandate da tempi immemori cristallizzati nella mente dei figli di Parthenope. Nella pura essenza tufacea l’ uomo spirituale segue i dettami del “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem (Veram Medicinam)”, elaborato da Basilio Valentino, e lascia dietro di sé una vita di allegorie, parabole, paragoni e similitudini per affrontare sé stesso e il mistero".
di Antonio Tortora

                 Il nuovo documentario del giornalista partenopeo Antonio Tortora

Dopo infinite peregrinazioni sotterranee e di superficie, abbiamo voluto realizzare il presente documentario a testimonianza di innata passione per una Napoli tutta da scoprire e da riscoprire, per una storia non sempre conosciuta, per i numerosi misteri non sempre svelati, per una vitalità messa spesso a dura prova da catastrofici eventi naturali e da irresponsabili comportamenti umani.
Napoli, a dispetto di tutto e di tutti, vive e non smette mai di stimolare l'umana curiosità, il desiderio insaziabile di conoscere, l'amore per la bellezza, nè giammai smette di brillare come faro di cultura e civiltà in tutto il Mediterraneo pieno di Sirene e nell'italico Sud incantato e traboccante di eroi e gesta leggendarie. Qui, nel documentario che forse qualcuno avrà la pazienza di seguire nella sua interezza, un punto di vista molto particolare consente di gettare uno sguardo meditato e profondo su una Napoli che, troppo spesso, viene visitata frettolosamente sia dai residenti che dai viaggiatori e dai forestieri; si tratta del punto di vista di chi non si è accontentato di percorrere la città attraverso cardini e decumani, piazzette e vicoli bensì di chi non è mai sazio di quello che vede e che scopre in un percorso energetico che, in fin dei conti, è anche un viaggio antropologico e iniziatico alla ricerca delle proprie radici.
Il silenzio della Napoli Sotterranea, in contrasto armonico con il caos di superficie, contribuisce al raggiungimento di quel pensiero meridiano che sia sotto il cielo che all'ombra della roccia tufacea aleggia, costantemente, nella mente di colui che apparentemente sembra vagare senza meta ma che invece, nella realtà, segue piste cognitive alla ricerca di sè e della sua essenza.
Napoli è ricca di Chiese cristiane e di templi pagani tuttavia i suoi sotterranei rappresentano l'unico vero tempio dove gli uomini hanno officiato i loro riti millenari e hanno scoperto e seguito le linee energetiche che caratterizzano i "luoghi di forza" senza i quali nessuna religiosità e nessun mistero si sarebbero potuti coltivare così a lungo; l'essenza magica dell'iniziazione esoterica, intesa come sepoltura simulata e come viaggio nell'Ade, è tutta qui tra queste porose pareti tufacee. Morte, germinazione e vita si alternano simbolicamente ogniqualvolta l'uomo scende per le ripide scale e dimentica l'ordinario, il consueto, il rassicurante per accedere allo straordinario, all'inconsueto, all'incerto snodarsi di quei percorsi che fin troppo spesso incontra nel mondo dell'onirico, del sogno e dell'immaginazione. Diremo quasi che si tratti di valore aggiunto alla vita di superficie, di effluvi tellurici che si orientano verso il cuore dell'uomo e che si fasano con la sua più profonda vita interiore. Un'esperienza significativa che abbiamo provato a raccontare, a ruota libera, senza riferimenti scritti, facendo qualche errore, dimenticando forse qualcosa ma, di sicuro, mettendoci l'anima e il cuore.


Per la realizzazione del documentario si ringrazia l’Associazione culturale“Napoli Sotterranea”, il suo Presidente Enzo Albertini, la infaticabile Rosaria Albertini, l’amica Nadia Manisera, tutto lo staff dell’Associazione e, in modo particolare, la regista del video Silvia Guerra che con passione ha realizzato le riprese, ha montato le immagini e ne ha curato l’audio. Inoltre, per la collaborazione tecnica, ci fa piacere ricordare l'impegno degli amici Enrico Aiello e Marco Manna di Evolution.Labs che da sempre e con entusiasmo seguono la nostra attività culturale e di informazione.
 

sabato 31 dicembre 2016

NAPOLI SOTTERRANEA: PERDERSI E RITROVARSI FRA CORRENTI ENERGETICHE, RETI GEOMANTICHE E GENIUS LOCI DI UNA CITTA' CHE RAPPRESENTA UNO SNODO FONDAMENTALE PER LE INFLUENZE TELLURICHE E COSMICHE.

NAPOLI CROCEVIA ENERGETICO CAPACE DI RIVITALIZZARSI COSTANTEMENTE NONOSTANTE LO STRAVOLGIMENTO EDILIZIO, ARCHITETTONICO ED ANTROPOLOGICO.
di Antonio Tortora

Antonio Tortora nei meandri della Napoli Sotterranea (Foto di Mario Zifarelli)
Un geomacer ovvero un maestro di geomanzia, un rabdomante, un radioestesista, o anche un conoscitore di quegli elementi, vento e acqua, che plasmano la terra ovvero un adepto dell'arte del Feng Shui, tutti profondi conoscitori dell'arte di comprendere il respiro della terra armonicamente inserita nel cosmo, a Napoli troverebbero pane per i loro denti; pane in abbondanza. La nostra ricerca parte da quel desiderio improvviso, costante e radicale, di scendere nelle viscere della città attraverso quei camminamenti in origine messi a disposizione dalla pattuglia di coraggiosi amici e soci che fanno capo all'Associazione Napoli Sotterranea, presieduta dallo speleologo Enzo Albertini che sin dalla fine degli anni '60 ha effettuato interessanti scoperte nel sottosuolo partenopeo, inaugurando quel filone che è stato battezzato dai media e dagli esperti del marketing turistico "il primo caso di turismo sotterraneo"; dunque un vero e proprio primato. Stiamo parlando di uno sterminato, e ancora parzialmente conosciuto, giacimento culturale capace di soddisfare ogni interesse storico, archeologico, antropologico e, aggiungiamo noi, energetico. Le centinaia di migliaia di visitatori che sono scesi a circa 40 metri sotto il livello stradale, percorrendo una rampa di 136 comode scale, si sono ritrovati catapultati, quasi in un batter d'occhio, al centro di un portale spazio-temporale che attraversa ben 23 secoli di storia.

Rampa di scale di accesso alla Napoli Sotterranea (Foto di Mario Zifarelli)
Di certo non possiamo esimerci dall'indicare, per sommi capi anche perchè già ci siamo occupati in precedenza e professionalmente dell'argomento, i punti salienti della suggestiva e inedita passeggiata sotterranea; infatti una volta compiuta la discesa, esperte guide condurranno turisti, visitatori occasionali, appassionati e studiosi in una serie di ambienti evocativi e a dir poco fiabeschi. Dai ricoveri aerei risalenti alla seconda guerra mondiale, perchè Napoli fu ripetutamente bombardata dalle flottiglie aeree statunitensi, alle cisterne di epoca greca ricavate da cavità tufacee preesistenti; dagli orti ipogei dove sono state avviate attività didattico-scientifiche cui anche l'ente spaziale americano Nasa si mostra interessato alla Stazione sismica Arianna che ha il compito di registrare, aggiornandoli ogni tre minuti, i movimenti tellurici; dalla spettacolare cisterna romana illuminata raggiungibile attraverso un percorso buio e stretto ma assolutamente affascinante al Museo della Guerra allestito con materiali, oggetti e documenti risalenti alla prima metà degli anni '40. Inoltre attraverso un "basso" di vico Cinquesanti si potrà accedere al teatro greco-romano già indicato dallo studioso Bartolomeo Capasso e soprannominato teatro di Nerone oltrechè si potrà visitare, in un altro "basso", una mostra permanente del presepe popolare antico e i resti di canali di scarico borbonici lastricati da caratteristiche riggiole napoletane. 
Sigillo del Vitriol dal Viridarium Chymicum di Daniel Stolcius von Stolcenberg (Francoforte, 1624)
Ma tornando al nostro desiderio di scendere nelle viscere della città non può non venirci in mente il sigillo alchemico e rosacrociano nonchè massonico ed esoterico che incita decisamente alla discesa nelle profondità della terra e della conoscenza: «Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem»; un primo passo per l'iniziazione verso cui l'alchimista Basilius Valentinus, famoso monaco benedettino tedesco della prima metà del 1600, consigliava di procedere con speditezza. D'altra parte nella patria di Don Raimondo di Sangro Principe di Sansevero, il quale amava definirsi Haravec che nella lingua incaica significherebbe "inventore", non è tanto strano che un desiderio mai sopito di ricerca e di consapevolezza riemerga prepotente e faccia presa su chi, come noi, abbia sviluppato un'attitudine speciale nei confronti di un qualcosa che non è del tutto definibile razionalmente. Parliamo di quella costruzione spirituale, interna, assolutamente individuale, che deriva dal fare esperienza in questa vita per crescere e per comprendere, anche se per doverosi gradi, il proprio ruolo nel mondo terreno e nel cosmo. In effetti già discendere nella sotterraneità equivale a rintracciare quel silenzio e quell' assenza di agitazione che agevolano la possibilità di individuare filoni energetici occultati dal piano stradale metropolitano dove regna il caos e la confusione. Mentre assistiamo, in superficie, alla continua costruzione di meridiani e paralleli artificiali che stanno a significare le circoscrizioni amministrative, le strade e i vicoli, i quartieri e tutte le divisioni che l'uomo moderno e contemporaneo ha voluto realizzare per frammentare e rottamare sè stesso come parte di un tutto e quindi dell'universo, scendondo in profondità riusciamo a percepire il retaggio dei venti, delle acque, delle pietre e dei metalli che un tempo dominavano incontrastati convergendo verso quei nodi geobiologici definiti Rete di Harmann (radiazioni terrestri gamma-ionizzanti) e Reticolo di Curry (radiazioni a maglia più larga). In effetti a noi non interessa tanto il tecnicismo che si cela dietro agli studi a e alle intuizioni del medico tedesco Ernst Hartmann sul magnetismo terrestre e del bioclimatologo bavarese Manfred Curry sulla rete elettrica che avvolge e attraversa il pianeta, quanto la nostra eperienza diretta derivante dal percorrere le vie, i vicoli, le piazze, i tunnel e le cavità sotterranee. Cosicchè oltre alla superficie della città che consente la riscoperta della filosofia del camminare intesa come meditazione mediterranea elaborata dal filosofo Duccio Demetrio e quel pensiero meridiano di cui parla il sociologo Franco Cassano e teso alla recupero dell'identità ricca e molteplice del nostro Sud, ci piace  indicare un nuovo modo di interpretare quell'altrove sotterraneo e normalmente celato alla vista che caratterizza il sottosuolo partenopeo. Tra ipogei greci, tunnel romani, catacombe, acquedotti, grotte marine, cave di piperno e ricoveri antiaerei, tutti scavati nel tufo giallo napoletano, ci si immerge in quella massa geologica vivente, palpitante e mutevole che si estende fra il Somma-Vesuvio e i Campi Flegrei e cioè fra i due complessi vulcanici che non cessano di destare proccupazione per le loro intemperanze sismiche e telluriche; segno inequivocabile di una vitalità straordinaria e, tutto sommato, ancora giovane da un punto di vista geologico. Parliamo di oltre 700mila metri quadrati di cavità esplorate che, con ogni probabilità rappresenta molto meno della metà di quella che è stata sapientemente definita Napoli Sotterranea, un brand che affascina, in epoca contemporanea, i turisti e che, da circa cinquemila anni, intriga l' "Homo  Parthenopeus" che con il sottosuolo ha intrecciato un rapporto quasi magico e costante nel tempo. A testimonianza di ciò le fonti storiche, letterarie, artistiche e antropologiche sono davvero innumerevoli a partire da Seneca che definiva "baratro dell'inferno" la grotta di Posillipo per la sua prossimità al Lago d'Averno a Petronio che alludeva ai misteri celebrati nel cuore costiero della piana campana; da Stazio che rimaneva meravigliato dal notevole movimento umano che si registrava in tutte le cavità anche in quelle più pericolose al geografo medievale Beniamino di Tudela che descriveva gli oltre 700 metri della Crypta Neapolitana; da Ambrogio Leone, storiografo aulico nolano che scrisse in merito alle catacombe a Giulio Cesare Capaccio che alludeva a "mine scavate e meati  di terra artificiale che con scopo si dividono fra loro congiunte". E qui ci fermiamo perchè l'elenco mai potrà essere esaustivo tenendo presente tutti gli autori stranieri impegnati nel Gran Tour  partenopeo tra la fine del'600 e la fine dell'800 e gli infiniti scrittori che ne hanno parlato in epoca moderna e contemporanea. 
Napoli Sotterranea "Percorso lavico" (Foto di Mario Zifarelli)
La Napoli esoterica e dei misteri partenopei trova le sue radici nelle profondità della terra, di quei tufi gialli densi e resistenti ma malleabili e duttili, caratteristiche tipiche dell' "Homo Parthenopeus", che da sempre si è mosso agevolmente fra il culto di Priapo e i misteri orfici, isiaci e dionisiaci; i miracoli taumaturgici di Virgilio Mago e i sangui liquefatti dei suoi Santi Patroni; la cappella-tempio Sansevero e il bugnato enigmatico del Gesù Nuovo. Tra i pozzi magici da cui prelevare l'acqua sanatrice di tutti i mali e i mitrei romani con il sole che perennemente uccide il Toro Mistico, fra le grotte platamonie affollate da menadi nude e jerofanti rivestiti di scaglie di pesce che celebrano riti tramandati da molte ere in onore della mitica Sirena Parthenope, fondatrice della città, e gli insegnamenti di quel maestro di sapienza che fu Ermete Trismegisto. Fra il vicus Alexandrinus e 'o Cuorpo 'e Napule con la restaurata statua del fiume dio Nilo. 
Una vera e propria mappa dei luoghi di forza che dissemina la città e che non può essere conosciuta appieno senza accedere a quelle grotte, a quegli antri e a quei cunicoli che rappresentano l'archetipo dell'utero materno e dunque i miti di origine e di rinascita che attraverso la graduale e consapevole iniziazione conducono l'uomo in quello che il commentatore virgiliano Servio definisce il vero "mondo" nel momento in cui racconta la discesa di Cerere agli inferi nella penosa ricerca della figlia Proserpina. In tutte le antiche tradizioni la caverna è considerata un vero e proprio serbatoio di energia tellurica e ctonia oltrechè tempio sotterraneo dove è possibile rintracciare, intuitivamente oltre che geologicamente, tutti i ricordi ancestrali del periodo glaciale attraverso l'attivazione di un'essenza vitale magica che, di norma, risulta latente ma che durante l'indagine e l'esplorazione sotterranea mette in contatto il cuore dell'individuo con le stelle interne e il resto del cosmo ricordandogli profondamente che, così come l'uomo primitivo entrava in contatto con le potenze ctonie, alla stessa maniera e sia pure inconsapevolmente, l'uomo moderno può tendere alla rinascita non appena riemerge dalle buie profondità dopo essere stato protagonista di una morte e di una sepoltura simulata e ritualizzata.
Napoli Sotterranea, Cisterna romana (Foto di Mario Zifarelli)
D'altra parte anche in superficie i nuraghe sardi costruiti dagli Shardana ovvero dai popoli del mare nonchè i templi e i boschetti sacri druidici, per lanciare lo sguardo in epoche remote, e i castelli e le cattedrali medievali avevano lo stesso scopo delle caverne sebbene costruiti secondo i canoni delle geometrie sacre: introdurre l'uomo in un micromondo capace di presentare costanti e variabili di un intero universo. Tuttavia noi partenopei siamo fortunati a vivere in una città che, differentemente da tutte le altre, si espande in un multiverso profondo e stratificato laddove il paleosuolo ricco di tracce antropologiche e saturo di energie che aspettano solo di essere riscoperte quasi come se il viaggio conducesse all'interno del corpo terreste raggiungendo vene, arterie e organi vitali, ci accoglie agevolmente e ci guida agli innumerevoli pozzi che svolgono il ruolo chiaro di porta del sole e di occhio cosmico. Se la montagna, per dirla alla Guenòn, è sempre stata rappresentata da un triangolo retto più grande con il vertice rivolto verso l'alto, la caverna non a caso è sempre stata identificata da un triangolo retto più piccolo con il vertice rivolto verso il basso e inscritto all'interno del primo raffigurante la montagna; non a caso ad ogni verità manifestata corrisponde una verità occulta e solo con il cuore, il cui simbolo è appunto costituito dai due triangoli intersecati, può essere raggiunto.
Appare superfluo rifarsi alle tradizioni orientali, mediorientali, africane, mesoamericane e nordiche per scoprire le mitologie delle caverne e del sottosuolo dal momento che già i Cimmeri omerici e flegrei abitavano le nostre contrade campane  nelle loro case sotterranee e caliginose chiamate "argillae" collegate da lunghissimi tunnel, e l'abitare in caverne non era del tutto sconosciuto alle locali popolazioni preistoriche. Quanto invece appare doveroso sottolineare l'esistenza di numerose leggende, in gran parte negate da Benedetto Croce ma rivalutate da Matilde Serao, che riguardavano le misteriose entità che abitavano le profondità cittadine fra cui gli spiriti degli antichi minatori chiamati anche cavatori, i "munacielli" del Decumano maggiore ovvero di via dei Tribunali nonchè di Sant'Eframo ai Ponti Rossi, le anime del Purgatorio nell'ipogeo dell'omonima chiesa di Purgatorio ad Arco e del Cimitero delle Fontanelle, il genius loci androgino che in epoca romana caratterizzava il luogo e con cui gli antichi abitanti dovevano scendere a patti al fine di potervi abitare (nullus locus sine genio dice Servio), il greco daimon o essere divino fino alla bella 'mbriana spirito domestico piacente e talvolta buona consigliera. 
Naturalmente nelle nostre incursioni sotterranee non abbiamo mai incontrato le entità enumerate tuttavia abbiamo percepito la sensazione sgradevole del perdersi, come la definisce l'antropologo siciliano Franco La Cecla, ma anche la sensazione rasserenante del ritrovarsi, del riemergere, del tornare alla luce; una sorta di rinascita simbolica dopo aver combattuto contro i guardiani di tesori nascosti che nello stesso tempo si possono manifestare anche come pericolose entità psichiche. Qui il richiamo al regno della metallurgia diventa naturale per chi, come noi, si è trovato spesso ad osservare procedimenti di forgia laddove il metallo fuso scivola nel crogiolo simulando, su scala infinitesima, una colata lavica in tutta la sua magnificenza e il suo splendore alchemico; e forse, oseremo pensare, qualche scoria scomoda e pesante come un fardello rimane lì nelle profondità della Napoli Sotterranea a testimonianza di un'avvenuta trasformazione interiore e di una interiorizzazione psicologica finalizzata alla conoscenza di sè. Anche le iscrizioni misteriose scolpite nella roccia, come le croci penitenziali risalenti all'epoca medievale e altri segni mai decifrati e di incerta cronologia e paternità, possono risvegliare nel visitatore un tale senso di meraviglia da cambiare qualcosa nell'intimo; qualcosa di non razionale ma di profondo e luminoso. Un arricchimento rispetto al quale, pur non trattandosi di una vera e propria discesa nel regno di Agarthi, nella tibetana Shambhala con il suo re-sacerdote Rudra chakrin, nell' Aryavartha degli indù e dei Veda o nella Janaidar dei Kirghizi, vale pur sempre la pena tentare e lasciarsi attrarre dal richiamo forte e magnetico che dall'antro di Piazza San Gaetano lungo Via dei Tribunali conduce verso le profondità della Neapolis più antica della stessa sua fondazione ufficiale e verso l'interiorità di ciascuno di noi.
Nostra slide: https://www.youtube.com/watch?v=V-FomPUWWuw

mercoledì 14 settembre 2016

FU PUBLIO VIRGILIO MARONE IL VERO PATRONO DELLA CITTA' DI NAPOLI? PER OLTRE UN MILLENNIO SEMBRA PROPRIO DI SI.

IL LEGAME TRA IL POETA ROMANO VIRGILIO E LA CITTA' DI NAPOLI E' TALMENTE STRETTO CHE A DISTANZA DI OLTRE UN MILLENNIO, OVVERO DAL MEDIOEVO PERIODO IN CUI IL SOMMO VATE DIVENTA LEGGENDA, LA SUA FIGURA CONTINUA A IMPLEMENTARE LA CULTURA PARTENOPEA.
di Antonio Tortora

L'interno della tomba di Virgilio a Piedigrotta - Napoli (Foto di Antonio Tortora)

Siccome su Virgilio è stato detto e scritto di tutto, dando origine anche a tesi contrastanti, non desideriamo entrare in questioni di carattere storico-letterario ma ci interessa soprattutto esaminare, in maniera sintetica, i miracoli, i prodigi e le magie compiute dal Virgilio protettore della città per evidenziarne l'aspetto più esoterico e nello stesso tempo più coinvolgente del suo agire; non a caso sul suo epitaffio ancora oggi si legge: "Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces" e l'omaggio alla città di Napoli, da parte del Poeta, è assoluto e incondizionato. Con ogni probabilità Virgilio rappresentò anche la summa di una immensa cultura, essenzialmente neoplatonica, che caratterizzò tutta la Napoli colta dell'epoca angioina e aragonese e che fu trasferita alla posterità da monaci amanuensi che dedicarono gran parte della loro vita alla conservazione e alla protezione della cultura scritta; ed è grazie a loro che il sapere greco alessandrino (a Napoli era insediata una importante colonia proveniente da Alessandria d'Egitto), la filosofia classica in genere, la matematica, l'astronomia (su base astrologica) e le conoscenze dell'alchimia spirituale e sperimentale, resero Neapolis la nuova Alessandria e cuore palpitante di studi e ricerche che ancora reggono il ritmo evolutivo del pensiero contemporaneo. Non va neanche dimenticata la pregevole e notevole raccolta di documenti e opere scritte che erano conservati nel Castrum Lucullanum.


Ingresso del Vergiliano a Piedigrotta (Foto di Antonio Tortora)


Ma questa è un'altra storia e vogliamo attenerci al tema a memento dei napoletani la cui memoria storica non va, generalmente, oltre la figura del più recente martire San Gennaro in qualità di principale protettore cristiano della città. In altri contesti geografici e culturali la figura di Virgilio è ufficialmente riconosciuta come poeta approdato all'ars poetica all'indomani di una crisi esistenziale generata da insuccessi clamorosi nel settore giuridico e oratorio; infatti il suo carattere schivo e riservato gli impedirono di esercitare la professione di advocatus. Nel contesto partenopeo, invece, Virgilio fu visto e considerato come artefice di prodigi, magus, sciamano e veggente, negromante, rabdomante e ancora una imprecisata quantità di altri sostantivi esoterici. Questo perchè intervenne magicamente e forse con l'intervento di entità non umane per sanare un territorio problematico e per beneficiare unicamente i suoi concittadini che per molti secoli lo hanno venerato, nonostante i tentativi della Chiesa di cancellarne la memoria.

Tratto da www.romanoimpero.com

Cosa fece per la città e per i napoletani? Proviamo a stilare una lista riepilogativa dei suoi interventi magici tenendo conto degli scritti di Donato in una sua agiografia del II° secolo, della "Cronica di Partenope" a cura di Antonio Altamura, de "Il Segno di Virgilio" opera straordinaria scritta dal Maestro Roberto De Simone, della "Descrittione dei luoghi antiqui di Napoli e del suo amenissimo distretto" di Benedetto Di Falco, di alcuni scritti di Paolo Izzo che pure si è soffermato sugli aspetti magico-esoterici delle azioni virgiliane ed ancora di numerosi altri volumi e documenti la cui lista completa richiederebbe troppo spazio.
Per prima cosa pare abbia realizzato un impianto fognario che in tal caso sarebbe una delle più antiche cloache dell'area europea antica; senza indugio convogliò le acque di numerose sorgenti al fine di far giungere l'acqua a tutte le fontane pubbliche della città, una sorta di opera di ingegneria idraulica essenziale per un sito così densamente popolato. Edificò mura di cinta possenti e inviolabili a tal punto da rendere la città inespugnabile, il che storicamente corrisponde a verità. Si sarebbe servito di conoscenze astrologiche per realizzare una mosca bronzea o forse d'oro per scacciare gli sciami di mosche che appestavano le zone paludose della città alla stessa maniera in cui una sanguisuga d'oro (riferimenti alchimistici) avrebbe sanato i numerosi pozzi dalla pericolosa ed eccessiva proliferazione di tali animali. Per guarire dalle più svariate malattie i cavalli presenti su tutto il territorio cittadino e nelle campagne limitrofe realizzò, sfruttando i segreti dell'arte fusoria, un cavallo di bronzo attorno al quale venivano fatti girare i veri cavalli che, per incanto taumaturgico, guarivano istantaneamente. I territori a quell'epoca erano letteralmente invasi dagli insetti pertanto eliminò il fastidioso e insopportabile canto delle cicale realizzando una cicala di rame sotto particolari influssi astrali; escogitò sistemi magici per conservare la carne sia fresca che salata per molto tempo garantendo ai napoletani un equilibrato e continuo approvvigionamento alimentare. Virgilio operò anche da un punto di vista meteorologico contrastando il Favonio, vento secco e caldo di ponente che i greci chiamavano Zefiro, costruendo una figura antropomorfa bronzea intenta a soffiare in una tromba contrariamente allo spirare del vento; così facendo garantì la stabilità di un clima favorevole alle coltivazioni (orti e vigneti) che insistevano all'interno e in prossimità delle mura cittadine, soprattutto in collina di fronte al Golfo partenopeo. Preoccupato della salute dei suoi concittadini ebbe modo di piantare un orto di erbe medicamentose e magiche per la cura delle più svariate malattie compresa la cecità con la famosa erba lucia (da cui la cristiana Santa Lucia patrona della vista); l'orto, di cui rimase traccia documentale negli archivi del Santuario di Montevergine fino al Medioevo, fu coltivato sul Monte Partenio nell'avellinese il cui nome deriva da Parthenias che significa vergine e non a caso lo stesso Virgilio, la cui radice onomastica parla da sè, era soprannominato per tutta una serie di ragioni "verginello". Oltre alla carne, all'acqua, alla salute e alle erbe provvide anche a un'altra componente essenziale della dieta partenopea ovvera al pesce, gettando in mare lungo la costa cittadina un pesce di pietra incantato che garantiva, in quel luogo, una continua e abbondante pesca. Simbolicamente, e non solo come diremmo noi oggi per arredo urbano, collocò ai lati di una delle porte cittadine, Porta Nolana, due marmoree teste da cui poter trarre previsioni e speranze ogniqualvolta ci si passava vicino; si trattava di una testa maschile dall'espressione contenta e gioiosa e di una testa femminile dalla mimica mesta e malinconica. Si occupò anche dell'ordine pubblico visto e considerato che durante le poco sportive e molto cruenti lotte che venivano periodicamente organizzate presso il sito di Carbonara ci scappava il morto; in tal caso impose l'obbligo di indossare corazze ed elmi riducendo sensibilmente il danno fisico. All'ingresso di Forcella, zona notoriamente infestata da vermi e serpenti anche di ragguardevoli dimensioni, fece lastricare l'intera strada con pietre mischiate a uno specifico sigillo magico; da quel momento non ci fu più alcuna paura di percorrere la strada completamente disinfestata. Ricorrere alla classe medica, già all'epoca, era piuttosto caro pertanto i più poveri e bisognosi non potevano permettersi quello che era considerato un lusso e morivano di continuo. Virgilio, non dimentichiamolo mai sciamano e taumaturgo, fece costruire bagni termali in tutta la zona flegrea, in particolare tra Baia e Pozzuoli, indicandone le innumerevoli proprietà terapeutiche. A tal proposito ci piace ricordare l'opera dell'autore medievale Pietro da Eboli che riportò analiticamente tali proprietà in un'opera dedicata allo Stupor Mundi, ovvero all'imperatore Federico II° di Svevia, "De balneis puteolanis". Purtroppo e inopinatamente i medici aderenti alla scuola medica salernitana non videro di buon occhio tale operazione e si affrettarono ad abbattere tutte le indicazioni stradali, le lapidi con le ralative prescrizioni e anche molte tracce delle sorgenti e delle vasche; ma furono puniti dagli dei che provocarono un nubifragio per cui tutti i medici perirono tra i flutti in prossimità della Punta della Campanella, tranne uno che ebbe il triste compito di testimoniare l'ira degli dei che, in quel caso e senza dubbio, parteggiavano per Virgilio e per l'intero popolo napoletano. Ma il nostro protettore non fu contento fino a quando non realizzò, in tempi brevissimi forse in una sola notte e con l'aiuto di migliaia di creaure extraterrene, che la Chiesa in un secondo momento bollò come demoni, la Grotta di Posillipo, chiamata anche Crypta Neapolitana, al fine di favorire il raggiungimento, da parte dei bisognosi di cure termali, di quei bagni salutari ed essenziali le cui qualità sono ancora oggi riconosciute pure dalla medicina dogmatica e ufficiale. A questa magnifica opera di ingegneria si aggiunsero poi le altre due vie sotterranee di Seiano e la Crypta Romana ad opera dell'architetto Cocceio Nerva. Nel caso della Crypta Neapolitana sono molti i riferimenti di carattere astronomico e astrologico e di sicuro in questo luogo venivano officiati riti del mitraismo e altri culti misterici e solari; non a caso una stele dedicata a Mitra fu rinvenuta giusto in posizione equidistante dai due ingressi, ovvero dal lato di Napoli e dalla parte di Pozzuoli. Infine, ma di sicuro in letteratura sono reperibili altre operazioni magiche virgiliane, come si narra nel trentunesimo paragrafo della "Cronaca di Partenope" l'uovo magico (palladio) fu consacrato al Castel dell'Ovo da cui tutta la storia della nobile e antica Napoli prende l'avvio. Qui è mirabilmente scritto: "Era in del tempo de lo ditto Virgilio un castello edificato dentro mare, sovra uno scoglio, come perfi' mo' è, il quale se chiamava lo Castello Marino overo di mare, in dell'opera del quale castello Virgilio, delettandose con soe arte, consacrò un ovo, il primo che fe' una gallina: lo quale ovo puose dentro una caraffa, la quale caraffa et ovo fe' ponere dentro una gabia di ferro suttilissimamente lavorata. E la detta gabia, la quale contineva la caraffa e l'ovo, fè ligare o appendere o chiovare con alcune lamine di ferro sotto uno trave di cerqua che stava appoggiato per traverso a le mura d'una cammarella fatta studiosamente per questa accasione con doe fossice, per le quali intrava il lume; e con grande diligenzia e solennità la fe' guardare in de la detta cammarella in luogo segreto e fatto siguro da bone porte e chiavature di ferro, imperochè da quell'ovo, da lo quale lo Castello pigliò il nome, pendevano tutti li fatti del Castello. Li antiqui nostri tennero che dall'ovo pendevano li fatti e la fortuna del castello Marino: zoè lo Castello dovìa durare tanto quanto l'ovo si conservava cossi' guardato".

Panorama sulla città dal Parco Vergiliano (Foto di Antonio Tortora)




sabato 13 agosto 2016

PALAZZO DONN' ANNA A POSILLIPO: CAPACE DI INCANTARE PUR NELLA SUA MISTERIOSA E INSPIEGABILE PRECARIETA'

A NAPOLI ABBIAMO POSILLIPO OVVERO UNO "SCAMPOLO DI PARADISO TERRESTRE" MA ABBIAMO ANCHE IL MONUMENTALE PALAZZO DONN' ANNA OVVERO "UNA MAESTOSA MOLE CADENTE E QUASI UNA ROVINA, MA BELLISSIMA, AL COSPETTO DEL MARE" COME SCRIVE RAFFAELE LA CAPRIA.

di Antonio Tortora


Scorcio Palazzo Donn'Anna (Foto Antonio Tortora)

Trattiamo ora del dettaglio architettonico di una delle più antiche, caratteristiche, mitiche, riprodotte su tela e antiche gouaches, acquerellate, fotografate e ammirate residenze storiche di Napoli: Palazzo Donn'Anna. Infatti solo l'mmagine del Vesuvio può eguagliare l'importanza di tale immagine nel mondo e nonostante il degrado urbanistico della zona di Posillipo, a nostro avviso ma anche stando al parere delle migliaia e migliaia di persone e di turisti che ivi si recano per ammirarla ogni anno, il promontorio posillipino rimane certamente uno "scampolo di paradiso terrestre". E' bene chiarire che la Regina Giovanna II° che il popolo ha sempre erroneamente associato a donn'Anna non c' entra nulla con tale sia pur regale palazzo tufaceo, divorato dal tempo e dai marosi, per la ragione che nella prima metà del quattrocento, epoca in cui visse appunto la Regina, tale palazzo non era stato ancora costruito. Risale infatti al XVII° secolo e fu commissionato al campione del barocco partenopeo Cosimo Fanzago da Donn'Anna Carafa moglie del Vicerè di Napoli Don Ramiro Guzman De Las Torres, Duca di Medina. Non fu mai terminato per varie e alterne vicende e proprio il fatto di essere rimasto incompiuto e di conservare il suo fascino straordinario fino a i nostri giorni ha fatto scrivere a Raffaele La Capria che tale palazzo era ed è una "maestosa mole cadente e quasi una rovina, ma bellissima, al cospetto del mare". Un'immagine davvero forte e suggestiva che fa ben comprendere come la natura, prima o poi, presto o tardi, è destinata a vincere la sua battaglia con la storia. E noi condividiamo appieno tale teoria tenendo presente che il monumentale palazzo ha resistito a secoli di incuria e abbandono, al terremoto del 1688, al violento tsunami provocato dall'eruzione del Vesuvio del 1779, alle incursioni di ladri e vandali; è passato poi per molte mani nobili e aristocratiche che hanno cercato di restaurarlo. All'inizio dell'800 divenne perfino sede di una fabbrica di vetro e fu in parte demolito quando venne costruita la nuova via che costeggiava Posillipo. Ebbene il tufo di cui è prevalentemente costruito provoca, nell'osservatore attento, la sensazione che tutto il complesso architettonico, pur nella sua splendida e terribile precarietà, sia il prolungamento quasi naturale del costone tufaceo da cui si protrae verso il mare e quel groviglio inestricabile di finestre e balconi, scale interne e ammezzati, innumerevoli stanze e numerose grotte inesplorate, mura scalcinate e massi semipericolanti, davvero danno l'idea di una natura che vince sempre e preserva i suoi tesori per farli ammirare a noi, ai posteri, alla caotica modernità che pare disinteressarsi dell'antico, del bello, del pittoresco. Ma abbiamo un'altra ipotesi da tirare in ballo per i cercatori dello spirito e per gli appassionati di storia patria: e se questo luogo fosse immortale? Innerrvato nelle spire del tempo e dello spazio, del cielo e della terra, dell'acqua marina e del vulcanico tufo? Abbiamo appurato, dalle nostre ricerche sulle antiche mappe catastali, che tale manufatto era denominato "La Sirena" e un brivido sale per la schiena, a noi che amiamo la Sirena e il suo mito che da sempre ci nutre. Forse è qui che si è spiaggiata la Sirena Parthenope all'epoca in cui la città è stata fondata? Forse è qui, nei meandri e nei sotterranei del Palazzo Donn'Anna, che si trova la Tomba della Sirena oggetto di culto fino ad epoche relativamente recenti? Per noi tale luogo non è artificiale bensì è naturale, e pur se spoglio, senza stucchi, senza intonacature, senza leziosità barocche, senza grandiosità aristocratiche residue, ci pare essersi purificato dalla mano dell'uomo e dalla sua operosità per tornare a sorvegliare il Golfo e per custodire lo spirito indomito della Sirena e di una Napoli che resiste, simbolicamente e realmente, a tutto.

Uno dei cortili interni di Palazzo Donn'Anna (Foto di Antonio Tortora)


Palazzo Donn'Anna dal lato del Bagno Elena (Foto di Antonio Tortora)


Più foto: https://plus.google.com/+AntonioTortoraGiornalista/posts/VENguAkBFw4

giovedì 5 febbraio 2015

Per un'antropologia del turismo consapevole. Dalla Francia un grande interesse per il nostro lavoro su "Napoli per le Scale".



Uscire fuori dal pantano del luogo comune e guardare oltre il misero orizzonte che ci é imposto dai media istituzionali; Napoli merita di essere conosciuta e capita a fondo perchè ha molto da dire e ha molto da dare; come ha sempre fatto nonostante tutto.


Pedamentina di Villanova a Posillipo Foto di Antonio Tortora

Un blog francese http://napolipole.blogspot.fr/ gestito dalla viaggiatrice e traduttrice Christine Kerverdo (Université de la Rochelle) ha ripreso il nostro studio videoantropologico "Napoli per le Scale" e lo ha rilanciato. E' esattamente quello che speravamo e desideravamo fare: amplificare la conoscenza della città di Napoli, osservata da un diverso punto di vista, non pregiudiziale e non negativo, procedendo verso la scoperta di patrimoni inestimabili e semisconosciuti ma sempre vivi e presenti nella memoria storica e contemporanea dei partenopei. Le opinioni concepite sulla base di convinzioni personali e generali, senza conoscenza diretta dei fatti, delle persone e delle cose, in particolare della nostra città, porta inevitabilmente a luoghi comuni dannosi e senza fondamento. 
In una delle nostre peregrinazioni attraverso le pedamentine della città, in particolare al Moiariello, abbiamo incontrato soltanto due turisti belgi, un pò avanti negli anni, ma abbastanza arzilli da camminare per tutto il percorso a partire da Foria fino al Bosco di Capodimonte, senza mai smettere di rimanere "perplexed" e increduli di fronte a tanta storia e a tanta bellezza. Abbiamo scambiato poche parole sensate in quanto non abbiamo dimistichezza con le lingue straniere tuttavia, attraverso il movimento del corpo, la gesticolazione delle mani e tutta la prosodia del linguaggio parlato partenopeo, ma anche belga dobbiamo aggiungere, ci siamo ben compresi, ricorrendo a un sistema di comunicazione in cui l'espressione é stata massimizzata. Siamo finiti a prendere un caffè e una sfogliatella in uno dei bar della zona, ognuno con la sua nazionalità e la sua lingua ma contenti di esserci capiti e compresi. Camminando le osservazioni antropologiche sono davvero infinite. In altre parole, noi partenopei siamo fortunati anche in questo: l'essere compresi perfettamente pure da soggetti con cui non riusciamo a comunicare secondo i canoni linguistici; l'episodio cui facciamo riferimento é la riprova di quanto affermato.
Comunque non nascondiamo la nostra soddisfazione circa la traduzione di nostri articoli o pezzi (accezione giornalistica) e post (linguaggio del blog) augurandoci che il "message in a bottle" lanciato nel mare sconfinato del web, possa raggiungere terre sempre più lontane. 

                                                            

Napolipole

Blogspot.fr. 




Pedamentina di Villanova a Posillipo - Scorcio panoramico Foto di A.Tortora


Ecco il testo in francese della traduzione del nostro post compresa la poesia di Hermann Hesse; riteniamo di fare cosa gradita a chi conosce il francesce; ancora una volta richiamiamo l'interessante blog di Christine Kerverdo http://napolipole.blogspot.fr/


Découvrir Naples par les escaliers

Lecteurs et lectrices,
Vous trouverez dans ce blog des articles et des traductions sur Naples et la Campanie. C'est un journal de voyages écrit au gré de mes déplacements et sensations, de mes lectures et traductions. Bonne lecture.

Naples par les escaliers



Les descentes, marches, gradins, rampes, degrés de Naples sont des voies piétonnes très anciennes qui relient les collines au centre-ville et à la côte. Les plus anciens escaliers de la ville sont nés de l’enfouissement des torrents ou des sources, qui, il y a longtemps, jaillissaient à l’air libre, aux portes de la ville.

Ces rues à degrés furent construites aussi pour relier facilement les différents sites principaux, surtout religieux: monastères, couvents, églises, et bien sûr, en fonction du développement de la cité. Aujourd’hui, ces escaliers font l’objet d’études et sont considérés vraiment comme des lieux historiques.

Empruntant les principaux escaliers de la ville, l’itinéraire part de l’espace piéton du Vomero, devant la Certosa San Martino- San Felice, pour descendre sur la place Dante (Sortie tarsia du métro ligne 1 de Salvator Rosa et dans la rue Pontecorvo), à Calascione (dans le quartier de Posillipo, où on peut admirer le parc zoologico-archéologique de la Gaiola), pour s’attarder dans la zone de Pizzofalcone où se trouve le rocher de tuf (c’est le site le plus ancien de Naples, le berceau de la cité parténopéenne, on y trouve aussi la villa Lamont-Joung, abandonnée) et en passant par le pallonetto de Santa Lucia, pour finir dans les Quartiers Espagnols. Cet itinéraire constitue une sorte de chemin initiatique, à la recherche des racines de l’antique cité de Neapolis ou Partenope.
Il n’est pas question de méditation seulement, de bouddhisme, de zen, ou de tout autre doctrine de ce genre: il  s’agit de questions plus qu’importantes qui exigent une réponse. Nous pensons que  le poème intitulé “Les Degrés”, de Hermann Hesse, écrivain allemand prix Nobel de littérature en 1946, donne des réponses précises aux questions que se posent ceux qui ne peuvent s’empêcher de réfléchir:

Fleurette passe et l’âge dépasse
la jeunesse : il est ainsi des fleurs
à chaque pas de la vie, de la sagesse, de la vertu ;
chacune a sa saison, nulle l’éternité.
Cœur, quand la vie t’appelle,
sois paré à partir et à recommencer,
cours, vaillant, sans regret,
te plier à des jougs nouveaux et différents.
En tout commencement un charme a sa demeure,
C’est lui qui nous protège et qui nous aide à vivre.

Franchissons donc, sereins, espace après espace ;
n’acceptons en aucun les liens d’une patrie,
pour nous l’esprit du monde n’a ni chaînes, ni murs ;
par degrés il veut nous hausser, nous grandir.
À peine acclimatés en un cercle de vie,
intimes en son logis, la torpeur nous menace.
Seul, prêt à lever l’ancre et à gagner le large,
tu pourras t’arracher aux glus des habitudes.

Peut-être aussi l’heure de la mort nous lancera-t-elle,
jeunes, vers de nouveaux espaces.
L’appel de la vie jamais ne prendra fin…
Allons, mon cœur, dis adieu et guéris.

(Hermann Hesse, Le jeu des perles de verre

Paris, Calmann-Lévy, 1955, pp. 429-430)

Le point d’interrogation que constitue le doute, l’incertitude, l’hésitation, caractérise la condition humaine d’une manière ou d’une autre, et, à un certain moment, nous devons nous arrêter, respirer, empêcher que l’angoisse ne nous submerge, nous et tout notre être, nous devons observer et nous devons regarder en nous-mêmes pour observer notre expérience, nous devons regarder nos pieds pour comprendre où nous sommes arrivés, nous devons tourner notre regard à l’intérieur de nous-mêmes pour découvrir les territoires où nous avons pénétré et, enfin, ce qui est difficile après une pause longue et méditative, nous devons aller de l’avant en oubliant tout ce qui nous entoure une seconde, puis reprendre le chemin finalement. Il s’agit de degrés anthropologiques, itinéraire personnel, qui part de notre corps physique, qui passe par l’affectivité, l’intelligence et la liberté, pour atteindre la conscience de soi quelques temps avant de rejoindre la conscience spirituelle. C’est une vraie pyramide ascensionnelle qui conduit l’homme à des développements imprévus et uniques, propres à chaque être vivant.

D'après "Napoli per le Scale" d'Antonio Tortora
http://antoniotortora.blogspot.it

lunedì 26 gennaio 2015

Per un'antropologia dell'informazione partenopea.

Recensione del nostro sitoblog antoniotortora.it apparsa sulle pagine de Il Mattino online in data 24 gennaio 2015 a firma del collega Marco Perillo che ringraziamo molto per la sensibilità con cui ha trattato l'argomento mostrando di aver compreso fino in fondo lo spirito con cui abbiamo duramente lavorato in team con i tecnici informatici nonchè amici Marco Manna ed Enrico Aiello. 

Un altro riconoscimento importante al nostro lavoro svolto nell'interesse della città. 

L'Homo Parthenopeus é qualcosa di più, é valore aggiunto alla vita stessa di Neapolis ed è bene che si comprenda che la cultura é l'elemento più importante e imprescindibile per comprendere il nostro passato, per vivere il nostro presente, per sperare nel nostro futuro.

 articolo blog guru meditation


martedì 20 gennaio 2015

SCRITTO INEDITO ISPIRATO DA PARTENOPE LA SIRENA E DEDICATO A SELENE "LA RISPLENDENTE"


Volevamo rendere partecipi i lettori e i surfer di una rarissima nostra emozione riportata su carta ispirati da una Musa superiore a qualunque altra per l'incanto e la capacità di ammaliare: 
                                     Partenope la Sirena

Foto tratta dal web

A suo tempo mettemmo penna in carta, in una sorta di impeto poetico, per tratteggiare un'immagine o forse un'idea di un qualcosa di sfuggente che non sempre è visibile perchè durante la notte, in genere, ci si riposa seguendo le regole cronobiologiche del ritmo circadiano (circa diem ovvero "intorno al giorno"); a meno che non si soffra di disturbi del ciclo sonno veglia e delle relative sindromi ad esso correlate. In altre parole l'oggetto da ritrarre, suggestionati dalla bellezza del Golfo partenopeo, era la luna (per i greci antichi Selene "la risplendente) che, di norma, non attrae molto la nostra attenzione, ma che in quel momento specifico funse da Musa ispiratrice per quelli che potremmo impropriamente definire "versi poetici". Infatti per questo scritto riesce davvero difficile trovare una qualche applicazione delle leggi metriche ne tantomeno per esso si può fare riferimento a una chiara definizione tipo: lirico, drammatico, bucolico, d'amore o giovanile (giovanile sarebbe poi ridicolo nel nostro caso). Tuttavia qualche elemento ispirativo di carattere marcatamente poetico c'è  e riguarda l'ispirazione che è un moto di creatività interiore, cosa rarissima nel mondo caotico in cui viviamo e la suggestione che é un qualcosa generato dall'esterno che tende a influenzarci talvolta inconsciamente. D'altra parte se vengono sapientemente miscelati il lungomare di Napoli o un qualunque altro posto panoramico della città con il buio della notte, la luna e il suo riverbero sul mare leggermente increspato l'alchimia comincia a funzionare suscitando sentimenti delicati, sogni e fantasie. Ecco la scaturigine da cui esce, forse, lo scritto che segue e che non sappiamo se possiede caratteri antropologici ma che comunque abbiamo deciso, catarticamente anche se non sappiamo bene di cosa liberarci, di rendere pubblico per il piacere di qualche sparuto lettore in cerca di emozioni. Un pò di spiritosaggine non nuoce ma l'imbarazzo, posso assicurare, è difficilmente dominabile; da buoni figli di Partenope ci armiamo di faccia tosta e procediamo schiarendoci la voce anzi la tastiera.
                                                       
                                                                        LUNA


Luna, macchia di luce su un tappeto scuro
Faro che scruta l’anima in cerca di qualcosa
Perla intrigante incastonata nei tuoi occhi
Speranza del naufrago che nuota nell’universo in cerca di un sicuro approdo.
Luna ieri sconosciuta, fredda e lontana
Oggi fraterna, tiepida e vicina
Domani chissà. Nessuno, neanche l’oracolo può fare profezie.
Luna che illumina la strada percorsa dal viandante
Che conforta le retrovie di un cuore che procede all’impazzata
Fuori dallo sguardo, magnetica come calamita potente
Dentro allo sguardo immobile come ostacolo insormontabile
Tutta intorno, trasparente come acqua sorgiva e opaca come il sale della vita
Tutta intrisa di notte e di rugiada mattutina
Flebile come una voce lontana che proviene dallo spazio
Decisa come chi avanza nell’oscurità sconfiggendo la paura di vivere
Luna spettacolare che suscita un costante corale applauso
Tutto questo e anche altro
Ma ora il poeta che l’ha decantata deve tacere, altrimenti la luna scappa via
Nel silenzio del proprio turbamento il poeta deve ascoltare una risposta, qualunque essa sia
Nelle profondità del suo cuore il poeta deve sospirare, poiché altro non può fare
Nessuno sa se la farfalla avrà la fortuna di adagiarsi sul chiaro manto lunare
Nel frattempo colui che ha cristallizzato l’essenza stessa del suo sentire, infilando parole come perle lungo un filo invisibile, cerca colei che indosserà la preziosa collana.
Versi di Antonio Tortora



Suggerimento: Per non farsi ammaliare bisogna comportarsi come Ulisse.