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lunedì 16 febbraio 2015

A pochi chilometri da Napoli, in provincia di Caserta, l'Eremo di San Michele Arcangelo antico luogo di culto micaelico.


A pochi chilometri da Napoli, percorrendo l'autostrada e uscendo a Caserta sud verso Maddaloni si trova, chiaramente indicato e a poca distanza dall'Acquedotto Carolino, l'Eremo di San Michele Arcangelo e Santa Maria del Monte. Un'oasi di vera spiritualità dove il pellegrino, il fedele, il turista per caso o il semplice curioso in cerca di luoghi non molto lontani dove poter vivere qualche ora in completa tranquillità, comprende immediatamente la magia del contatto con la natura e la ricchezza di un territorio casertano troppo spesso maltenuto e scarsamente valorizzato.


Ingresso Eremo di S.Michele Arcangelo - Valle di Maddaloni (Ce)
Foto di Antonio Tortora


LA LEGGENDA POPOLARE
Si narra che nel sec. VI sia stato lo stesso Arcangelo Michele a volere sulla cima del monte di Maddaloni una chiesetta a Lui dedicata. Un giovinetto del luogo, che era solito portare a pascolo le sue capre sui monti circostanti, una mattina condusse il suo piccolo gregge sulla sommità del monte, sicuro di trovare pascoli migliori. Giunto sul posto, fu attratto dalla presenza di un giovane di aspetto celestiale che portava pietre sulla sommità del monte.
Con semplicità il giovane capraio cercò di rendersi utile, aiutando lo sconosciuto nel suo lavoro. Dopo qualche giorno il capraio domandò al giovane chi fosse, e questi gli rispose di essere l'Arcangelo Michele e che desiderava l'erezione di una Cappella laddove aveva ammucchiato le pietre. L'Autorità ecclesiastica, quella civile ed il popolo appena vennero a conoscenza del desiderio dell' Arcangelo, gli edificarono nel luogo prescelto una chiesetta.


UN PO' DI STORIA
L’attuale Santuario dedicato a San Michele Arcangelo e a Santa Maria del Monte sito nel Comune di Maddaloni, ricco di vicende storiche ha origine molto remote e la sua costruzione si fa risalire all’epoca dei longobardi tra 820 e l’860. Infatti la principessa beneventana Teodorata sull’esempio della regina Teodolinda (per il longobardi del nord) sviluppò il culto micaelico nell’italia meridionale. Il santuario, detto anticamente Eremo, fu menzionato nel 969, dall’arcivescovo di Benevento Landulfo, nel segnare i confini della Diocesi di Sant’Agata dei Goti,“in monte Magdaluni, qui dicitur sanctus…” e nel 1092 dal Conte di Caserta Goffredo che concesse al monastero di san Giovanni di Capua un podere situato.., “ in S.Angelo de Mataluni”. 
                          
 Scritti tratti dal sito: http://www.santuariosanmichelemaddaloni.net/storia.html                     






Breve descrizione delle opere artistiche presenti nel Santuario (tratto dal sito istituzionale)

 STATUA DI SAN MICHELE ARCANGELO
L'artistica statua lignea dell'Arcangelo, si ignora quando e da chi sia stata scolpita. Dalle fattezze scultoree dobbiamo supporre che sia molto antica, all'incirca risale alla seconda metà del XV sec.
La statua rappresenta un giovane guerriero, con elmo piumato, armatura a maglia, che con l'indice e il medio della mano sinistra regge una bilancia contenente due anime nei piattini, e con la destra, invece, armata di lancia, colpisce Satana tra le fiamme infernali.
La statua è copia di un antico dipinto esistente un tempo nella Chiesa parrocchiale di S. Benedetto Abate in Maddaloni.


ALTARE DI SANTA MARIA DEL MONTE
L'altare che guarda sul grande piazzale è un ricordo dell' Anno Mariano 1987/88.
L'immagine di Maria, Madre del Redentore, è opera in bronzo dello scultore francescano Tarcisio Musto, ed è posta su due vele di cemento come segno e vessillo di salvezza.
L'immagine è stata benedetta dal Papa Giovanni Paolo II nella sua visita a Caserta il 23 maggio 1992.
Il Vescovo di Caserta Raffaele Nogaro ha benedetto il monumento altare il 10 ottobre 1993 e ha denominato il Santuario di San Michele col nuovo nome di Santuario di San Michele Arcangelo e Santa Maria del Monte.


ALTARE DELLA PIETA'
La scultura bronzea con l’altare è stata donata da una suora, suor Guglielmina da Cerreto.
Il gruppo bronzeo di Maria con Gesù morto ai suoi piedi è stato realizzato dalla ditta Agnone di Isernia nel 2001.
Essa è stata collocata su un altare di tufo con mensa in marmo al termine delle quattordici stazioni della via Crucis (pur esse in bronzo) che circondano tutto il Santuario. Qui si sosta per pregare e contemplare tutto l’amore di Dio per noi.


Reportage fotografico di Antonio Tortora




Sul campanile dell'Eremo (Foto di Antonio Tortora)

Il monte su cui si erige il Santuario di San. Michele è l'ultima vetta della catena dei monti Tifatini che partendo da Capua formando un anfiteatro naturale, si spinge verso sud. Il Santuario è posto sulla sommità dell'ultimo colle, a mt. 524 l.m. e guarda dall'alto Maddaloni, Caserta col suo Palazzo Reale e tutti i paesi limitrofi e all'orizzonte a sud il Vesuvio, il golfo di Napoli e tutte le isole, a ovest il litorale del Mar Tirreno, e a est la catena del Taburno, e a nord i monti del Matese.
Lo sguardo spazia all'intorno su un panorama unico e singolare, fasciato all'intorno da pinete.


giovedì 4 dicembre 2014

Domenico Grenci


foto di gruppo di pipe
di Domenico Grenci
con valigetta in legno

Emigrato in America in cerca di fortuna per far fronte ai bisogni quotidiani della sua numerosa famiglia (una moglie e cinque  figli), approda a  Chicago e, dopo  un esordio  come  ebanista  in un mobilificio, si presenta in un laboratorio  di pipe  artigianali e  propone al gestore  la realizzazione di pipe intagliate;
l'impresario rimane  colpito  dalla  sua abilità  e destrezza nel'uso  degli scalpelli e  fiutando l'opportunità di un  salto di qualità  della  sua  merce, non  esita  a cominciare  con lui  un sodalizio che si protrarrà per molti anni; gli viene addirittura creata una postazione di lavoro in un locale a vetrina, che dava modo ala gente di assistere in diretta ala realizzazione delle piccole opere. 
Questo è stato un periodo  economicamente  prosperoso e  negli Stati  Uniti, "videro  la  luce"  molte  centinaia  di pipe intagliate che riproducevano sul fornello una moltitudine di volti comuni ma  anche i grandi protagonisti della  politica  statunitense  del tempo.  
Ma la lontananza dalla sua terra,  e  in  modo  particolare dalla  sua famiglia  non giovava  ala  sua  sensibilità  di marito e di padre e, memore  del suo disagio  ad  essere 
cresciuto senza la presenza del padre,  dopo cinque anni di lavoro  decide  di ritornare definitivamente in Calabria, nel suo paese natio e di continuare questa attività, che tanto lo gratificava,  vicino ala  sua famiglia,  pur mantenendo i contatti lavorativi con il vecchio impresario al dì là del’Oceano. 
Adibisce, dunque, un locale a laboratorio, fornendolo di tutte le attrezzature necessarie a coprire l'intero ciclo lavorativo dalla bollitura del ciocco (radica di erica), alla pipa finita con tanto di timbro. E’ caro ricordare come con il marchio abbia voluto onorare la sua terra e difatti in Italia, in Europa, negli Stati Uniti d'America e in tanti altri paesi del mondo sono sparse decine di migliaia di pipe artigianali marchiate GRENCI–CALABRIAITALY.
altra raccolta di pipe pregiate
di Domenico Grenci
in valigetta di legno.


tratto da: www.brognaturonelcuore.it


mercoledì 3 dicembre 2014

Foto di barche in costruzione di Antonio Tortora

Mergellina, Margellina o Mergoglino


« sull'arenoso dorso, a cui riluce / di Capri la marina / e di Napoli il porto e Mergellina. »
(Giacomo Leopardi, La Ginestra)


Quesito: 
Si tratta di semplice fasciame di imbarcazioni, stringhe bosoniche o p-brane della fisica teorica, costrutti spazio temporali o nanotubi allotropici? 
Risposta: "Qualunque cosa sia é in via di costruzione; solo il risultato ne mostrerà chiaramente il grado di creatività e il processo evolutivo" dall'introvabile opera di Antonio Tortora  "La vita presente é l'unica opportunità che non deve essere assolutamente persa" Pseudobiblia 2014.


Un tempo era usuale vedere, sulle rive del nostro mare, scene del genere ovvero la costruzione di imbarcazioni realizzate secondo tecniche antiche e collaudate. 
Purtroppo di questi tempi è diventato uno spettacolo raro poiché la vetroresina e altri materiali plastico-polimerici hanno preso il posto del legno e la produzione industriale su vasta scala ha rimpiazzato quasi completamente la costruzione artigianale delle barche. 
Queste foto rappresentano la testimonianza di un'arte da sempre considerata molto importante per i popoli costieri, caratterizzati dalla vocazione marinaresca e piscatoria. 
C'é ancora qualche cantiere che merita di essere visitato sul Lungomare di Margellina (alla napoletana) e c'è ancora qualche vecchio ma arzillo pescatore in grado di raccontare le avventure di un passato ancora vivo nella memoria partenopea.

martedì 2 dicembre 2014

Floridiana


Foto antropologiche di Antonio Tortora
Scalinata
Tartarughe
Cactus
Torre incrinata

E' un peccato che gran parte del parco del complesso borbonico Villa Floridiana al Vomero sia chiuso al pubblico, spesso e volentieri, per i più svariati motivi. Ciò accade prevalentemente dopo ogni pioggia o dopo ogni giornata particolarmente ventosa. Ci chiediamo perchè non si applichi la logica della manutenzione ordinaria che diventerebbe anche azione di controllo preventiva nei confronti di eventuali rischi, tipo la caduta di rami, il crollo di tronchi indeboliti da malattie tipiche degli alberi mal curati e piccole frane. 
Si preferiscono invece interventi di emergenza che comunque richiedono costi notevoli, non spalmati nel lungo periodo, e creano disagi per tutti gli abitanti del Vomero, e non solo, che non dispongono di altri spazi naturali e polmoni verdi. Recarsi in un parco e trovare quasi tutta la sua superficie interdetta e transennata non é una bella esperienza soprattutto tenendo conto del fatto che nella nostra città di vento ne soffia poco, di pioggia ne cade altrettanto poca e i temporali scarseggiano. Fino a ventiquattro ore fa c'era scirocco, faceva caldo, si rischiava la soglia critica della siccità e si girava in manica di camicia, anche nella zona alta della città. Forse gli amministratori pubblici non sanno neanche sfruttare le fortune climatiche di una città la cui popolazione ancora prende il sole sul lungomare, nonostante l'inverno (solo calendaristico almeno per il momento), mentre gli abitanti delle città del nord si affannano a spalare fango per alluvioni, esondazioni di fiumi e mareggiate.
Se davvero per amare la città, almeno a quanto dice la cartellonistica comunale, è necessario che il cittadino indossi il casco girando in moto o pulisca i bisogni del proprio cane durante la passeggiata quotidiana forse, anzi certamente, è altrettanto necessario che gli organismi deputati alla manutenzione cittadina dovrebbero ottemperare ai loro doveri visto che si pagano fior di tasse e la macchia comunale della Città di Napoli è tra le più grandi d'Italia e tra le più ricche di personale (inefficiente aggiungiamo noi). Per verificare quanto affermato basta recarsi nel parco storico della Floridiana di via Domenico Cimarosa oppure nel parco di quartiere Viviani in via Girolamo Santa Croce laddove gran parte delle strutture interne e relative costruzioni sono crollate e praticamente inservibili oltre che pericolose per l'utenza. 
L'invito è quello di visitare i parchi urbani, di quartiere, storici e i giardini e stilare una statistica personale, a seconda della propria esperienza, presentandola al Comune che, magari, potrebbe sentirsi incentivato ad attuare politiche di manutenzione efficaci. Non è uno scherzo. Noi pensiamo che il Comune opportunamente sollecitato potrebbe dedicarsi a cose che interessano tutta la comunità in maniera costruttiva oltre che a mettere multe, sanzioni e a stabilire divieti. Potremo definirla cultura e democrazia manutentiva cui parteciperebbero tutti i cittadini di buona volontà e disposti ad assumersi la responsabilità di cittadini veri e consapevoli. A quel punto il Comune prenderebbe coscienza del fatto che esiste una vera e propria scienza manutentiva che ha impiegato più di un secolo per affermarsi a livello internazionale. 
A Napoli, appare superfluo dirlo, i sovrani Borbone sono stati gli antesignani di tale scienza e l'alluvione di Sarno del maggio 1998 lo testimonia avendo messo in evidenza i telai metallici che già verso la metà dell'800 erano stati incardinati per fissare il lato più pericoloso del monte Alvano. I morti furono tanti é vero ma mentre prima qualcosa fu realizzato per il rischio idrogeologico nulla fu fatto dall'Unità d'Italia fino alla fine degli anni '90. Oggi il rischio idrogeologico é un'emergenza nazionale. Bene, dalla Floridiana siamo arrivati, pindaricamente, al rischio idrogeologico; evidentemente ci piace spaziare ma ci piace anche sperare che si possa fare di più per Napoli.