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mercoledì 14 settembre 2016

FU PUBLIO VIRGILIO MARONE IL VERO PATRONO DELLA CITTA' DI NAPOLI? PER OLTRE UN MILLENNIO SEMBRA PROPRIO DI SI.

IL LEGAME TRA IL POETA ROMANO VIRGILIO E LA CITTA' DI NAPOLI E' TALMENTE STRETTO CHE A DISTANZA DI OLTRE UN MILLENNIO, OVVERO DAL MEDIOEVO PERIODO IN CUI IL SOMMO VATE DIVENTA LEGGENDA, LA SUA FIGURA CONTINUA A IMPLEMENTARE LA CULTURA PARTENOPEA.
di Antonio Tortora

L'interno della tomba di Virgilio a Piedigrotta - Napoli (Foto di Antonio Tortora)

Siccome su Virgilio è stato detto e scritto di tutto, dando origine anche a tesi contrastanti, non desideriamo entrare in questioni di carattere storico-letterario ma ci interessa soprattutto esaminare, in maniera sintetica, i miracoli, i prodigi e le magie compiute dal Virgilio protettore della città per evidenziarne l'aspetto più esoterico e nello stesso tempo più coinvolgente del suo agire; non a caso sul suo epitaffio ancora oggi si legge: "Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces" e l'omaggio alla città di Napoli, da parte del Poeta, è assoluto e incondizionato. Con ogni probabilità Virgilio rappresentò anche la summa di una immensa cultura, essenzialmente neoplatonica, che caratterizzò tutta la Napoli colta dell'epoca angioina e aragonese e che fu trasferita alla posterità da monaci amanuensi che dedicarono gran parte della loro vita alla conservazione e alla protezione della cultura scritta; ed è grazie a loro che il sapere greco alessandrino (a Napoli era insediata una importante colonia proveniente da Alessandria d'Egitto), la filosofia classica in genere, la matematica, l'astronomia (su base astrologica) e le conoscenze dell'alchimia spirituale e sperimentale, resero Neapolis la nuova Alessandria e cuore palpitante di studi e ricerche che ancora reggono il ritmo evolutivo del pensiero contemporaneo. Non va neanche dimenticata la pregevole e notevole raccolta di documenti e opere scritte che erano conservati nel Castrum Lucullanum.


Ingresso del Vergiliano a Piedigrotta (Foto di Antonio Tortora)


Ma questa è un'altra storia e vogliamo attenerci al tema a memento dei napoletani la cui memoria storica non va, generalmente, oltre la figura del più recente martire San Gennaro in qualità di principale protettore cristiano della città. In altri contesti geografici e culturali la figura di Virgilio è ufficialmente riconosciuta come poeta approdato all'ars poetica all'indomani di una crisi esistenziale generata da insuccessi clamorosi nel settore giuridico e oratorio; infatti il suo carattere schivo e riservato gli impedirono di esercitare la professione di advocatus. Nel contesto partenopeo, invece, Virgilio fu visto e considerato come artefice di prodigi, magus, sciamano e veggente, negromante, rabdomante e ancora una imprecisata quantità di altri sostantivi esoterici. Questo perchè intervenne magicamente e forse con l'intervento di entità non umane per sanare un territorio problematico e per beneficiare unicamente i suoi concittadini che per molti secoli lo hanno venerato, nonostante i tentativi della Chiesa di cancellarne la memoria.

Tratto da www.romanoimpero.com

Cosa fece per la città e per i napoletani? Proviamo a stilare una lista riepilogativa dei suoi interventi magici tenendo conto degli scritti di Donato in una sua agiografia del II° secolo, della "Cronica di Partenope" a cura di Antonio Altamura, de "Il Segno di Virgilio" opera straordinaria scritta dal Maestro Roberto De Simone, della "Descrittione dei luoghi antiqui di Napoli e del suo amenissimo distretto" di Benedetto Di Falco, di alcuni scritti di Paolo Izzo che pure si è soffermato sugli aspetti magico-esoterici delle azioni virgiliane ed ancora di numerosi altri volumi e documenti la cui lista completa richiederebbe troppo spazio.
Per prima cosa pare abbia realizzato un impianto fognario che in tal caso sarebbe una delle più antiche cloache dell'area europea antica; senza indugio convogliò le acque di numerose sorgenti al fine di far giungere l'acqua a tutte le fontane pubbliche della città, una sorta di opera di ingegneria idraulica essenziale per un sito così densamente popolato. Edificò mura di cinta possenti e inviolabili a tal punto da rendere la città inespugnabile, il che storicamente corrisponde a verità. Si sarebbe servito di conoscenze astrologiche per realizzare una mosca bronzea o forse d'oro per scacciare gli sciami di mosche che appestavano le zone paludose della città alla stessa maniera in cui una sanguisuga d'oro (riferimenti alchimistici) avrebbe sanato i numerosi pozzi dalla pericolosa ed eccessiva proliferazione di tali animali. Per guarire dalle più svariate malattie i cavalli presenti su tutto il territorio cittadino e nelle campagne limitrofe realizzò, sfruttando i segreti dell'arte fusoria, un cavallo di bronzo attorno al quale venivano fatti girare i veri cavalli che, per incanto taumaturgico, guarivano istantaneamente. I territori a quell'epoca erano letteralmente invasi dagli insetti pertanto eliminò il fastidioso e insopportabile canto delle cicale realizzando una cicala di rame sotto particolari influssi astrali; escogitò sistemi magici per conservare la carne sia fresca che salata per molto tempo garantendo ai napoletani un equilibrato e continuo approvvigionamento alimentare. Virgilio operò anche da un punto di vista meteorologico contrastando il Favonio, vento secco e caldo di ponente che i greci chiamavano Zefiro, costruendo una figura antropomorfa bronzea intenta a soffiare in una tromba contrariamente allo spirare del vento; così facendo garantì la stabilità di un clima favorevole alle coltivazioni (orti e vigneti) che insistevano all'interno e in prossimità delle mura cittadine, soprattutto in collina di fronte al Golfo partenopeo. Preoccupato della salute dei suoi concittadini ebbe modo di piantare un orto di erbe medicamentose e magiche per la cura delle più svariate malattie compresa la cecità con la famosa erba lucia (da cui la cristiana Santa Lucia patrona della vista); l'orto, di cui rimase traccia documentale negli archivi del Santuario di Montevergine fino al Medioevo, fu coltivato sul Monte Partenio nell'avellinese il cui nome deriva da Parthenias che significa vergine e non a caso lo stesso Virgilio, la cui radice onomastica parla da sè, era soprannominato per tutta una serie di ragioni "verginello". Oltre alla carne, all'acqua, alla salute e alle erbe provvide anche a un'altra componente essenziale della dieta partenopea ovvera al pesce, gettando in mare lungo la costa cittadina un pesce di pietra incantato che garantiva, in quel luogo, una continua e abbondante pesca. Simbolicamente, e non solo come diremmo noi oggi per arredo urbano, collocò ai lati di una delle porte cittadine, Porta Nolana, due marmoree teste da cui poter trarre previsioni e speranze ogniqualvolta ci si passava vicino; si trattava di una testa maschile dall'espressione contenta e gioiosa e di una testa femminile dalla mimica mesta e malinconica. Si occupò anche dell'ordine pubblico visto e considerato che durante le poco sportive e molto cruenti lotte che venivano periodicamente organizzate presso il sito di Carbonara ci scappava il morto; in tal caso impose l'obbligo di indossare corazze ed elmi riducendo sensibilmente il danno fisico. All'ingresso di Forcella, zona notoriamente infestata da vermi e serpenti anche di ragguardevoli dimensioni, fece lastricare l'intera strada con pietre mischiate a uno specifico sigillo magico; da quel momento non ci fu più alcuna paura di percorrere la strada completamente disinfestata. Ricorrere alla classe medica, già all'epoca, era piuttosto caro pertanto i più poveri e bisognosi non potevano permettersi quello che era considerato un lusso e morivano di continuo. Virgilio, non dimentichiamolo mai sciamano e taumaturgo, fece costruire bagni termali in tutta la zona flegrea, in particolare tra Baia e Pozzuoli, indicandone le innumerevoli proprietà terapeutiche. A tal proposito ci piace ricordare l'opera dell'autore medievale Pietro da Eboli che riportò analiticamente tali proprietà in un'opera dedicata allo Stupor Mundi, ovvero all'imperatore Federico II° di Svevia, "De balneis puteolanis". Purtroppo e inopinatamente i medici aderenti alla scuola medica salernitana non videro di buon occhio tale operazione e si affrettarono ad abbattere tutte le indicazioni stradali, le lapidi con le ralative prescrizioni e anche molte tracce delle sorgenti e delle vasche; ma furono puniti dagli dei che provocarono un nubifragio per cui tutti i medici perirono tra i flutti in prossimità della Punta della Campanella, tranne uno che ebbe il triste compito di testimoniare l'ira degli dei che, in quel caso e senza dubbio, parteggiavano per Virgilio e per l'intero popolo napoletano. Ma il nostro protettore non fu contento fino a quando non realizzò, in tempi brevissimi forse in una sola notte e con l'aiuto di migliaia di creaure extraterrene, che la Chiesa in un secondo momento bollò come demoni, la Grotta di Posillipo, chiamata anche Crypta Neapolitana, al fine di favorire il raggiungimento, da parte dei bisognosi di cure termali, di quei bagni salutari ed essenziali le cui qualità sono ancora oggi riconosciute pure dalla medicina dogmatica e ufficiale. A questa magnifica opera di ingegneria si aggiunsero poi le altre due vie sotterranee di Seiano e la Crypta Romana ad opera dell'architetto Cocceio Nerva. Nel caso della Crypta Neapolitana sono molti i riferimenti di carattere astronomico e astrologico e di sicuro in questo luogo venivano officiati riti del mitraismo e altri culti misterici e solari; non a caso una stele dedicata a Mitra fu rinvenuta giusto in posizione equidistante dai due ingressi, ovvero dal lato di Napoli e dalla parte di Pozzuoli. Infine, ma di sicuro in letteratura sono reperibili altre operazioni magiche virgiliane, come si narra nel trentunesimo paragrafo della "Cronaca di Partenope" l'uovo magico (palladio) fu consacrato al Castel dell'Ovo da cui tutta la storia della nobile e antica Napoli prende l'avvio. Qui è mirabilmente scritto: "Era in del tempo de lo ditto Virgilio un castello edificato dentro mare, sovra uno scoglio, come perfi' mo' è, il quale se chiamava lo Castello Marino overo di mare, in dell'opera del quale castello Virgilio, delettandose con soe arte, consacrò un ovo, il primo che fe' una gallina: lo quale ovo puose dentro una caraffa, la quale caraffa et ovo fe' ponere dentro una gabia di ferro suttilissimamente lavorata. E la detta gabia, la quale contineva la caraffa e l'ovo, fè ligare o appendere o chiovare con alcune lamine di ferro sotto uno trave di cerqua che stava appoggiato per traverso a le mura d'una cammarella fatta studiosamente per questa accasione con doe fossice, per le quali intrava il lume; e con grande diligenzia e solennità la fe' guardare in de la detta cammarella in luogo segreto e fatto siguro da bone porte e chiavature di ferro, imperochè da quell'ovo, da lo quale lo Castello pigliò il nome, pendevano tutti li fatti del Castello. Li antiqui nostri tennero che dall'ovo pendevano li fatti e la fortuna del castello Marino: zoè lo Castello dovìa durare tanto quanto l'ovo si conservava cossi' guardato".

Panorama sulla città dal Parco Vergiliano (Foto di Antonio Tortora)




lunedì 8 giugno 2015

I GIORNALISTI ANTONIO TORTORA E DANILO CAPONE IN ESCURSIONE ARCHEOANTROPOLOGICA AL LAGO D'AVERNO E AL TEMPIO DI APOLLO


E' vero che già abbiamo dedicato una intera sezione del nostro sito al Lago d'Averno ma è altrettanto vero che ogni escursione ci consente di scoprire cose nuove e di provare emozioni forti.

Per questa ragione ci siamo recati, con il collega Danilo Capone, presso le sponde di un Lago che idealmente da un punto di vista culturale e geograficamente dal punto di vista della colonizzazione greca, delimita i confini nord di quella importantissima area che da tempo immemore è stata definita Magna Grecia; qui i coloni calcidesi-euboici, più o meno fra l'VIII° e il VII° secolo a. C., colonizzarono l'area flegrea e principalmente Kyme (Cuma) subito dopo aver fondato Pithecusa (Ischia). Ci troviamo, stando a Publio Ovidio Nasone che ne riferisce nei Fasti una delle sue opere più difficili, in quello che è il nucleo vero e originario dell'Italia, affermando"Itala nam tellus Graecia maior erat" ovvero "Ciò che chiamiamo Italia era Magna Grecia". Ma torniamo al Lago d'Averno, resistendo alla tentazione di dilungarci troppo, e ci piace narrare di una tradizione medievale, risalente a colui che amava definirsi Petrus ultimus monachorum servus ovvero a San Pier Damiani che raccontò, a proposito del Lago flegreo, la seguente storia. Ogni sabato sera un nutrito stormo di uccelli neri compariva, come d'incanto, sullo specchio d'acqua e cominciava a svolazzare di continuo e senza mai fermarsi neanche per mangiare e bere; nessuno poteva catturarli neanche con le reti perchè apparivano come figure spettrali, diremo oggi ectoplasmatiche ovvero visibili ma non consistenti dal punto di vista materiale. Poi all'inizio della settimana, con estrema puntualità compariva un corvo nero dalle proporzioni colossali che con un forte gracchiare li chiamava a raccolta obbligandoli a gettarsi nelle acque nere e impenetrabili allo sguardo. Si trattava secondo, il ravennate Dottore della Chiesa, delle anime dei defunti che nel dies dominicus avevano il privilegio, per dono divino, di rimanere distanti dagli ordinari e terribili supplizi infernali.

 

Slide Fotografica di Antonio Tortora

Bene noi ci siamo recati nel celebre luogo virgiliano, dove popolazioni Cimmerie abitano in città sotterranee a guardia dell'ingresso dell'Ade, per verificare quanto riportato dalla leggenda medievale, violando la "spelonca" e l'"ampia vorago", la "scheggiosa roccia" e "le selve annose e folte" (libro VI° dell'Eneide); ma, in verità, di anime dei defunti non ne abbiamo incontrate, per fortuna; e ciò nonostante la suggestione derivante dal visitare il Tempio di Apollo sia stata davvero forte e irripetibile. Stiamo parlando di un'opera gigantesca che è stata considerata dallo stesso Amedeo Maiuri: "fra le più imponenti costruzioni circolari con volta a cupola dell'architettura romana, con un diametro di circa 38 metri e un'altezza di soli cinque metri inferiore a quella del Pantheon".
Così come l'ecista, ovvero colui che oltre a consultare l'Oracolo di Apollo nel Santuario di Delfi era anche destinato a conservare e trasportare il fuoco sacro dalla città d'origine al sito dove sarebbe sorta la colonia, anche noi al cospetto delle possenti mura del tempio abbiamo rivolto qualche domanda all'Oracolo impersonando ora Archia o Evarco, ora Falanto o Lamis (fra i più noti ecisti dell'antichità); ma di risposte non ne abbiamo avute, almeno per il momento. Il mistero dell'Averno, dei ruderi e delle grotte abitate da Sibille che lo circondano rimane inviolato. Ma torneremo per altre escursioni per saperne di più.
E' un'esperienza straordinaria che consigliamo a tutti gli appassionati dei Campi Flegrei.



Antonio Tortora e Danilo Capone in escursione archeoantropologica al Lago d'Averno e al Tempio di Apollo
Foto di Antonio Tortora



Antonio Tortora sulle sponde del Lago d'Averno (Foto di D.Capone)


Danilo Capone nei ruderi del Tempio di Apolllo (Foto di A.Tortora)  

domenica 5 aprile 2015

La Chiesa di Santa Maria del Parto a Mergellina e la Tomba di Jacopo Sannazaro

C'è un significato esoterico nella Tomba dell'umanista arcadico napoletano Jacopo Sannazaro?

Quando si passa per Mirlinium, così come era chiamata Mergellina da alcuni cronisti del XIII° secolo o per Mergoglino, antico nome con cui fu chiamata in epoca aragonese, si prova la sensazione immediata di trovarsi in una posizione, quasi perfettamente baricentrica, che affaccia su un Golfo che, da sempre, affascina l'osservatore e il visitatore. D'altra parte non è un caso se Plinio, Svetonio, Seneca e Stazio ne hanno decantato la bellezza e il fascino quasi soprannaturale. Che dire poi di Silio Italico che individuò in una parte dell'insenatura la dimora nascosta delle Muse e di Virgilio che proprio in questo tratto di costa si attardò a comporre le Georgiche. In epoche più o meno recenti anche il Boccaccio, Gabriele d'Annunzio e la poetessa di origini armene Vittoria Aganoor Pompilj apprezzarono il sito dedicandogli pagine di liriche e osservazioni. Ma quello che ci interessa maggiormente sottolineare, vista anche la narrazione leggendaria che parla di un amore impossibile fra un pescatore della zona e una bellissima sirena che portò alla morte per annegamento del giovane che si chiamava proprio Mergellino, é la presenza della chiesa di Santa Maria del Parto fatta erigere dal Poeta Jacopo Sannazaro. Ed è proprio qui che si trova il suo sepolcro attraverso le cui forme rinascimentali viene espressa, con chiarezza e per dirla con Benedetto Croce "quella mescolanza di sacro e profano tanto caratteristica nella poesia del Sannazaro". 


Reportage fotografico di Antonio Tortora

Ma, a un'attenta analisi, si vede che il sepolcro é nella sua interezza di concezione profana; infatti si tratta di un vero e proprio trionfo di busti dedicati ad Apollo e Minerva, alla divinità non olimpica Pan, a Nettuno e a Marsia genio delle sorgenti e dei fiumi dell'Asia Minore mentre lo stesso busto del poeta è collocato fra due amorini. Il tutto di fattura michelangiolesca, con alcune incertezze sulla paternità delle opere; il dubbio risiede fra lo scultore fiorentino frà Giovanni Angelo Montorio e il napoletano Girolamo Santacroce. Ma questa é faccenda che riguarda gli storici dell'arte. Elementi di paganitas si riscontrano anche nell'epigrafe "Da sacro cineri flores: Hic ille Maroni Sincerus Musa proximus ut tumulo" scritta dall'umanista Pietro Bembo che, così facendo, paragona l'arte poetica del Sannazaro a quella di Virgilio. L'assenza di motivi religiosi o comunque legati alla teologia ufficiale obbligò i frati "Servi di Maria" a far aggiungere i nomi biblici di David e Judith al di sotto delle sculture raffiguranti Apollo e Minerva; in caso contrario il vicerè spagnolo avrebbe fatto rimuovere l'intera opera.



Slide Fotografica di Antonio Tortora

Il poeta, nella narrazione magico-allegorica dove si avvertono fortissimi l'influsso dei classici e il temperamento malinconico del Sannazaro, descrive le avventure iniziatiche di Sincero, pastore fra i pastori della mitica Arcadia laddove, per una delusione d'amore e forse anche di carattere politico, si immerge in un mondo fatto di Ninfe come Aretusa, Dei, miti pelasgici e fiumi sotterranei come l'Alfeo e il Sebeto. Qui risale all'origine della vita e di tutto ciò che lo circonda nella realtà materiale, perchè Arcadia viene dall' antica radice ARK  da cui Arceo e Arkeo che significano, rispettivamente in latino e in greco, "custodire" e "preservare" e da Arktos che si ricollega al mito polare dell'Artico e dell'orso dunque, simbolicamente, al Polo celeste, al Centro del Mondo ed infine a uno dei Centri della Tradizione Primordiale. Inoltre lo stesso nome del fiume Alfeo, carsico per eccellenza e destinato a ricomparire periodicamente solo per coloro che sono iniziati, deriva dalla prima lettera dell'alfabeto semitico, l'Aleph, e dalla prima lettera dell'alfabeto greco, l'Alpha, derivando simbolicamente da una testa bovina. A questo punto ci troviamo, esotericamente, ad osservare un viaggio iniziatico che prevede la fusione del potere fecondante del fiume Alfeo principio maschile, e della natura umida e femminile, di Aretusa intesa come Vacca. Le lettere derivanti da questa unione come anche tutti i concetti espressi in parole creano immagini e idee da cui la poesia, attraverso i suoni, vivificano le Selve di cui parla il Sannazaro nell'Arcadia e che corrispondono senza dubbio ai circoli poetici e alle Accademie. Tutto termina, nel dispiegamento poetico, quando Sincero rimane turbato da un sogno spaventoso che lo obbliga a tornare nella realtà visibile dove scopre, con amarezza, che la donna amata è andata, è morta riassorbita nel principio da cui tutto deriva.
Si tratta di materia complessa e che richiede conoscenze di carattere esoterico ma che, doverosamente, andava accennata perchè la suggestione del luogo descritto nelle slide fotografiche va vissuta recandosi sul posto e osservando con attenzione i dettagli dell'opera.
Va da se che anche l'opera di Jacopo Sannazaro "De Partu Virginis", più tarda rispetto all'Arcadia, suscitò scandalo fra i contemporanei che ne contestarono l'arditezza classica e pagana su di un tema, come la nascita del Cristo, che doveva essere per forza trattato nell'ambito dell'ortodossia e nel rispetto dei canoni teologici. Ma questa è un'altra storia.


"Va', dalla tua amata, e quando sarai riemerso dal mare, mescolati con la fonte, e siate un'acqua sola"
                                                 (Luciano: Dialogo di Poseidone e Alfeo)






lunedì 15 dicembre 2014

Palazzo Venezia - Spaccanapoli

Dal quotidiano online Napoli.com  18/5/2013 articolo di Antonio Tortora su: Il Palazzo Venezia di Napoli

 Visita al Palazzo Venezia di Napoli
del 13 dicembre 2014

Reportage fotografico di Antonio Tortora



In una Guida rossa del Touring Club Italiano pubblicata nel 1976, a pagina 140, a proposito di uno storico palazzo napoletano ubicato in via Benedetto Croce, meglio conosciuta come Spaccanapoli, si legge: ”gli segue, n.19, il palazzo già degli inviati veneti nel Regno, donato nel 1412 dal re Ladislao alla Serenissima, rimaneggiato nel 1610 (tracce nel cortile) e nel 1646-88, quasi interamente rifatto nel 1818”. 

Decisamente scarna come descrizione pur volendo tenere presente che Palazzo Venezia confina con il forse più conosciuto Palazzo Filomarino dove abitò per lungo tempo il filosofo marsicano Benedetto Croce e su cui forse il Touring Club Italiano avrà speso qualche parola in più. 

Eppure la storica dell’economia nonché ricercatrice Gigliola Pagano De Divitiis, autrice dell’unico volume ben documentato su Palazzo Venezia, nel corso di un’intervista rilasciata a Vittorio Paliotti all’inizio degli anni 2000 affermò: “per me questo che è uno dei più bei palazzi napoletani del trecento è Venezia, con la sua laguna, che sta a Spaccanapoli”.

Più vecchio di almeno mezzo secolo del suo omonimo romano reso famoso dalle vicende politiche degli inizi del ‘900, fu sede diplomatica dagli inizi del ‘400 e per oltre tre secoli ospitò consoli, ambasciatori e residenti veneti con il compito di “tenere aperti gli occhi e riferire” oltre che acquistare frumento ed altre mercanzie; tuttavia i rapporti fra Napoli e Venezia risalgono almeno all’epoca in cui sul trono di Napoli sedeva lo “stupor mundi” e “puer Apuliae” Federico II° di Svevia.

Dunque un rapporto lungo e davvero importante in quanto getta le basi per quella che diventerà la moderna diplomazia in cui il Regno di Napoli già in epoca angioina con Ladislao I° detto il Magnanimo e il Regno delle Due Sicilie in epoca borbonica si distinsero intessendo una formidabile rete di rapporti politici, commerciali e culturali.

Dopo questa breve ma doverosa parentesi storica cerchiamo ora di capire l’importanza attuale del nobile palazzo che già agli inizi del 1600 venne definito da alcuni ingegneri “vecchissimo et antiquo” e pertanto fu restaurato nel 1643 da uno dei più importanti architetti che operarono a Napoli in quel tempo, il bergamasco Cosimo Fanzago.

Dopo il Trattato di Campoformio fu stabilito dal congresso di Vienna che Palazzo Venezia passasse all’Austria che, a sua volta, nella seconda decade dell’800 lo vendette per 10.350 ducati al giurista Gaspare Capone; è ancora visibile sulla volta dell’androne lo stemma del marchesato dei Capone e spesso viene per questa ragione denominato Palazzo Capone, da non confondere con un altro ottocentesco palazzo così denominato ma ubicato in via Santa Brigida. 

Ebbene qualche anno fa un giovane imprenditore, sognando di restituire il fabbricato indicato da alcune fonti storiche come “Palazzo San Marco di Venezia” agli antichi fasti, tenta l’impresa straordinaria di metterlo a disposizione del pubblico, ospitando mostre di arte moderna e contemporanea in tutte le sue forme dalla pittura alla scultura e alla fotografia, presentazioni di libri, incontri di poesia, spettacoli di danza e concerti. 

Parliamo di Gennaro Buccino, presidente de L’Incanto S.r.l. Palazzo Venezia associazione aderente al Club Unesco Napoli, che oltre al nutrito calendario annuale di iniziative fornisce anche una interessante proposta didattica dedicata agli allievi delle scuole primarie e secondarie di ogni ordine e grado della Regione Campania. 

Il suo obiettivo dichiarato consiste “nel rilanciare un sito che è stato, per troppo tempo, vittima di una vera e propria congiura del silenzio, al fine di riproporre quanto di buono e di culturalmente valido una simile realtà può generare in una città che tanto fatica a recuperare il suo prestigio nel mondo”. 

Noi non sappiamo se il Duca Tixon di Maddaloni, nobile di antico casato e attuale proprietario dello stabile, sia a conoscenza di tutte le iniziative che si tengono nell’ex ambasciata veneta, l’unica cosa di cui siamo certi è che l’impegno profuso dall’infaticabile Gennaro Buccino e dal suo semivolontaristico ma efficiente staff sta dando i frutti sperati. 

Cosicché passando per Spaccanapoli all’ingresso di Palazzo Venezia si possono leggere locandine che annunciano continue iniziative non solo serali e la scritta “free entrance to museum, exhibition and garden” richiama anche turisti stranieri che, a dire il vero, sembrano più informati di quelli italiani e degli stessi cittadini partenopei. 

Per Buccino è il coronamento di un sogno; infatti sin da bambino, possedendo la sua famiglia un negozio in prossimità dello storico palazzo, entrava a curiosare con il permesso del vecchio custode Aldo e fantasticava di diventarne in qualche maniera il proprietario. 

Inoltre ci confida che non ha mai compreso “per quale ragione i napoletani fossero storicamente obbligati a lasciare la propria città per poter trovare un lavoro quando la città rappresenta di per se un vero e proprio giacimento culturale capace di creare lavoro per un’infinità di persone”. 

Un animo travagliato che sin dagli anni ’70 cercava una strada da seguire e l’ha trovata trasformando l’utopia in realtà...

Qualche anno fa, all’inizio della sua splendida avventura l’associazione “L’Incanto” non riuscì a far inserire Palazzo Venezia nel programma di Maggio dei Monumenti mentre quest’anno il Palazzo è stato inserito nel programma 2013 del Comune di Napoli interamente dedicato a cortili, chiostri e sagrati e inoltre l’assessorato al turismo e ai beni culturali della Regione Campania ha rappresentato l’Associazione culturale “Palazzo Venezia” alla Borsa Internazionale del Turismo di Milano. 
Una bella vittoria, non c’è che dire.

Entrando nel cortile sulla sinistra si accede all’appartamento storico del primo piano laddove si tengono le mostre permanenti e vengono allestite quelle temporanee ma ciò che davvero è straordinario è il giardino pensile, molto ridotto rispetto all’antica estensione, ma con una piccola cappella dedicata alla Madonna posta sotto l’originale volta affrescata e stellata e la casina in stile pompeiano realizzata in epoca neoclassica. 

Si tratta di un luogo straordinario dove pensare, leggere, conversare con persone interessanti, ascoltare musica o semplicemente riposare lontano dal traffico e dal caos cittadino, passeggiando nel giardino che, sia pur piccolo, costituisce un paradigma contenente tutti i caratteri tipici del giardino napoletano del settecento e dell’ottocento.

In altre parole entrando nel giardino immediatamente si prova la forte emozione di chi entra per la prima volta in un giardino sacro situato nelle cittadelle monastiche del seicento e del settecento oppure in un giardino aristocratico ottocentesco di cui Napoli un tempo era piena. 
Per la verità ne sono ancora censiti parecchi ma alcuni sono in uno stato di semiabbandono.

È naturale che, una volta entrati in un luogo così particolare, la mente evochi le malinconiche aree di “verde attrezzato” insopportabili e caratterizzate dall’assoluta mancanza di elementi qualitativi e storici con cui le pubbliche amministrazioni, che si sono avvicendate nella nostra città, hanno sostituito il verde più antico colpevole di essere d’intralcio alla speculazione e alla dissennata espansione edilizia. 

Gennaro Buccino mi spiega che: “la casina pompeiana, classica e romaneggiante, doveva essere una coffee-house capace di far godere appieno il residente e l’ospite rimanendo in quella intimità ricercata da chi intendeva agire e pensare in tutta calma ed è questo l’obiettivo che attualmente ci proponiamo di raggiungere; provare per credere, basta ritornare in primavera per assaporare l’isolamento e la pace del luogo”. 

Sul tempietto è leggibile un’epigrafe che è destinata a far comprendere la filosofia cui si ispira l’intera struttura architettonica e in particolare il giardino che oltre a essere composto da alberi da frutto, come nello stile dell’epoca, è anche pieno di essenze ornamentali nonché di alte palme e rigogliose magnolie; la frase, datata 1818, recita in latino: “Tu pridem mihi cara domus sed ubi hortulus alter accessit quanto carior est domino nunc et adesse at abesse foro nunc tempore eodem vivere mi ruri vivere in urbe licet» e tradotta significa semplicemente e magnificamente: “Da molto tempo tu mi sei cara, o casa, ma da quando un orticello si è aggiunto quanto più cara sei ora al tuo padrone ed io ora posso prender parte alla vita pubblica o non parteciparvi ed allo stesso tempo posso vivere in campagna e vivere in città”.

Certo il titolare dell’impresa è appagato di tutti gli sforzi che ha dovuto sostenere per rilanciare a Napoli, in Italia e all’estero una realtà storico-architettonica che viceversa sarebbe andata irrimediabilmente perduta mentre l’intera città dovrebbe, almeno una volta, recarsi in visita a un ambiente che all’esterno appare anonimo a causa di continui rifacimenti e restauri ma che all’interno si presenta ancora preziosamente conservato; allo stesso tempo è consapevole che la strada da percorrere è ancora lunga ma il passaparola, fra i turisti e i visitatori occasionali, sta già cominciando a funzionare.

Mentre al termine della visita andiamo via il presidente Buccino ci mostra con orgoglio il pavimento originale, composto da tipiche riggiole napoletane, recuperato dopo un lungo lavoro di scrostatura dei pannelli di linoleum che altri improvvidi padroni di casa avevano sistemato ricoprendo del tutto il tesoro nascosto.

A Palazzo Venezia – Capone non manca la quiete del luogo né l’accoglienza e il coraggio di un privato cittadino che ha deciso di recuperare un piccolo pezzo di quello sterminato giacimento culturale che costituisce la nostra città.




Fonte: http://www.napoli.com/
Per Palazzo Venezia: http://www.palazzovenezianapoli.it/

domenica 30 novembre 2014

Lago d'Averno

Cancello degli inferi, o paradiso in terra?

Il poeta Virgilio nel sesto libro dell'Eneide colloca vicino a tale lago l'ingresso mistico agli Inferi, dove l'eroe Enea deve recarsi (scrupea, tuta lacu nigro nemorumque tenebris VI, 238). 

Oggi sede di più prosaiche attività (come quelle dell'azienda agricola Mirabella)