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giovedì 23 luglio 2015

ALCUNI DEI SIMBOLI DELLA CITTA' DI NAPOLI COME SPUNTO DI RIFLESSIONE SUL PENSIERO MERIDIANO E PARTENOPEO


         Pulcinella "maschera antropologica".
       San Gennaro "maschera mistica".
       Opere per pensare di Lello Esposito.


Una riflessione sul pensiero meridiano e partenopeo e sull'importanza dell'arte come strumento per il recupero della mente pensante in un contesto antropologico pregnante e nella vicinanza concettuale. L'arte materiale e l'arte del pensare come conferma di complementarietà.



Antonio Tortora posa accanto all'opera di Lello Esposito raffigurante il busto di san Gennaro 


Pensare è un'attività congeniale per l'uomo a tal punto che il filosofo greco Parmenide riteneva, senza ombra di dubbio, che non è possibile distinguere l'atto del pensare dall'oggetto pensato; in Sulla Natura giunta a noi in soli 19 frammenti scrive ".......τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι" ovvero "......Infatti lo stesso è pensare ed essere".
In una conferenza filosofica tenuta a Torino nel 2002 fu detto da un relatore: "nel pensare risiede la dignità degli esseri umani e.........come uomini la questione ci riguarda tutti"; poco più avanti si afferma: "con la facoltà del pensiero ci si nasce, la si può solo affinare e a questo servono i professori". Siamo d'accordo ma ci sentiamo di aggiungere ai professori un'altra categoria di persone: gli artisti. In questo caso abbiamo scelto uno dei più grandi artisti della pop art italiana Lello Esposito e ci siamo fatti ritrarre fotograficamente vicino al busto di Pulcinella sito in via Tribunali (foto di Mario Zifarelli) e più precisamente in vico Fico Purgatorio ad Arco, chiamato anche vicolo d'arte, e vicino al più grande busto di san Gennaro che Lello Esposito ha, recentemente, collocato al centro del suo splendido atelier nel cinquecentesco Palazzo Sansevero in piazza San Domenico Maggiore.
Due simboli della nostra straordinaria cultura: un Pulcinella da noi definito, in più occasioni, "maschera antropologica" e un San Gennaro che ci sentiamo di definire "maschera mistica". Infatti mentre nella scuola antropologica classica, relativa alla sfera religiosa, il soggetto che indossa la maschera deve necessariamente perdere la propria identità per assumere quella rappresentata dall'oggetto rituale in questo caso il busto di San Gennaro costituisce una sorta di maschera esteriore con cui viene rappresentato per soddisfare l'esigenza di familiarità con l'osservatore oltre che con il fedele partenopeo, strictu sensu. Ma costituisce anche, a buon diritto, una maschera interiore simboleggiata dallo sguardo fisso e dalle vuote cavità orbitali del mistico che non si fa distrarre da ciò che accade fuori nel mondo visibile bensì che si concentra in quel mondo interiore dove l'iniziato cerca la dimensione divina.
Queste sono le riflessioni che le opere di Lello Esposito ci hanno ispirato in maniera diretta e precisa e ci siamo anche con lui confrontati riscontrando la sua approvazione.
Riteniamo che il simbolo, e in tal caso i due busti, ne rappresentino l'evidenza concreta e archetipale, favorisca l'attivazione di un pensiero profondo non facilmente classificabile ma che sfugge ad ogni generalizzazione. E' un processo interpretativo individuale, originale, non sovrapponibile a nessun altro già esistente e codificato, appartiene allo stato di evoluzione di ognuno di noi.

http://www.napoli.com/viewarticolo.php?articolo=39079
http://napolidieduardo.blogspot.it/2012/12/pulcinella-maschera-antropologica.html?view=magazine


Lello Esposito ritratto accanto alla sua opera ovvero al grande busto di San Gennaro - Foto di Antonio Tortora

"L'uomo non pensa in modo analitico neppure quando affronta un problema di matematica, anzi non esiste un solo uomo che pensa come un altro. Ciascuno di noi deve sviluppare la propria arte di pensare, che può essere appresa solo sperimentandola e applicandola" - questo è quello che pensa e scrive nel "L'arte di pensare" lo studioso di psicobiologia Alberto Oliverio e si chiede anche "ma riesce a farlo ancora con spirito critico?". Noi non abbiamo una risposta da dare e rimandiamo ai testi dello stesso professore dell'Università La Sapienza di Roma: L'arte di ricordare, Prima lezione di neuroscienze, La vita nascosta del cevello, La mente: istruzioni per l'uso e altri ancora. Tuttavia nel nostro caso ci piace pensare che l'Homo Parthenopeus, aggirandosi nel territorio a lui più congeniale ovvero nella Neapolis stratificata dove vive e nell'antica ma sempre sorprendente Campania Felix con cui è intimamente interconnesso come hanno dimostrato le ricerche dell'etnomusicologo Roberto De Simone e dell'antropologo simbolista Marino Niola, gode di una condizione di assoluto privilegio rispetto al fatto che i suoi simboli archetipali sopravvivono nell'arte, anche contemporanea, come nel caso delle opere di Lello Esposito e alimentano di elementi tradizionali il presente e il futuro del pensiero partenopeo.
Considerazione questa che consente di porre in risalto le caratteristiche tradizionali, ma anche rinnovatrici, di un'area geografica mediterranea come quella napoletana che gioca ancora un ruolo di leadership rispetto ad altre realtà gravemente svuotate di significato da una globalizzazione avanzante e ormai consolidata. E ciò é ancor più significativo perchè Napoli e la cultura partenopea sono state da sempre contaminate in tutta l'evoluzione storica e antropologica ma senza mai perdere le caratteristiche peculiari di un pensiero che trae origine dalla Magna Grecia.
Pulcinella, dunque, non è solo una mera maschera carnacialesca e San Gennaro non è solo un Santo protettore della città; essi sono i simboli antichi di un pensiero contemporaneo che si appresta, con decisione, a inoltrarsi nel futuro. Questo concetto Lello Esposito lo ha ben compreso e lo traduce in arte visiva utilizzandolo come una formidabile leva vantaggiosa.


Ma riesce a farlo ancora con spirito critico?

lunedì 8 giugno 2015

I GIORNALISTI ANTONIO TORTORA E DANILO CAPONE IN ESCURSIONE ARCHEOANTROPOLOGICA AL LAGO D'AVERNO E AL TEMPIO DI APOLLO


E' vero che già abbiamo dedicato una intera sezione del nostro sito al Lago d'Averno ma è altrettanto vero che ogni escursione ci consente di scoprire cose nuove e di provare emozioni forti.

Per questa ragione ci siamo recati, con il collega Danilo Capone, presso le sponde di un Lago che idealmente da un punto di vista culturale e geograficamente dal punto di vista della colonizzazione greca, delimita i confini nord di quella importantissima area che da tempo immemore è stata definita Magna Grecia; qui i coloni calcidesi-euboici, più o meno fra l'VIII° e il VII° secolo a. C., colonizzarono l'area flegrea e principalmente Kyme (Cuma) subito dopo aver fondato Pithecusa (Ischia). Ci troviamo, stando a Publio Ovidio Nasone che ne riferisce nei Fasti una delle sue opere più difficili, in quello che è il nucleo vero e originario dell'Italia, affermando"Itala nam tellus Graecia maior erat" ovvero "Ciò che chiamiamo Italia era Magna Grecia". Ma torniamo al Lago d'Averno, resistendo alla tentazione di dilungarci troppo, e ci piace narrare di una tradizione medievale, risalente a colui che amava definirsi Petrus ultimus monachorum servus ovvero a San Pier Damiani che raccontò, a proposito del Lago flegreo, la seguente storia. Ogni sabato sera un nutrito stormo di uccelli neri compariva, come d'incanto, sullo specchio d'acqua e cominciava a svolazzare di continuo e senza mai fermarsi neanche per mangiare e bere; nessuno poteva catturarli neanche con le reti perchè apparivano come figure spettrali, diremo oggi ectoplasmatiche ovvero visibili ma non consistenti dal punto di vista materiale. Poi all'inizio della settimana, con estrema puntualità compariva un corvo nero dalle proporzioni colossali che con un forte gracchiare li chiamava a raccolta obbligandoli a gettarsi nelle acque nere e impenetrabili allo sguardo. Si trattava secondo, il ravennate Dottore della Chiesa, delle anime dei defunti che nel dies dominicus avevano il privilegio, per dono divino, di rimanere distanti dagli ordinari e terribili supplizi infernali.

 

Slide Fotografica di Antonio Tortora

Bene noi ci siamo recati nel celebre luogo virgiliano, dove popolazioni Cimmerie abitano in città sotterranee a guardia dell'ingresso dell'Ade, per verificare quanto riportato dalla leggenda medievale, violando la "spelonca" e l'"ampia vorago", la "scheggiosa roccia" e "le selve annose e folte" (libro VI° dell'Eneide); ma, in verità, di anime dei defunti non ne abbiamo incontrate, per fortuna; e ciò nonostante la suggestione derivante dal visitare il Tempio di Apollo sia stata davvero forte e irripetibile. Stiamo parlando di un'opera gigantesca che è stata considerata dallo stesso Amedeo Maiuri: "fra le più imponenti costruzioni circolari con volta a cupola dell'architettura romana, con un diametro di circa 38 metri e un'altezza di soli cinque metri inferiore a quella del Pantheon".
Così come l'ecista, ovvero colui che oltre a consultare l'Oracolo di Apollo nel Santuario di Delfi era anche destinato a conservare e trasportare il fuoco sacro dalla città d'origine al sito dove sarebbe sorta la colonia, anche noi al cospetto delle possenti mura del tempio abbiamo rivolto qualche domanda all'Oracolo impersonando ora Archia o Evarco, ora Falanto o Lamis (fra i più noti ecisti dell'antichità); ma di risposte non ne abbiamo avute, almeno per il momento. Il mistero dell'Averno, dei ruderi e delle grotte abitate da Sibille che lo circondano rimane inviolato. Ma torneremo per altre escursioni per saperne di più.
E' un'esperienza straordinaria che consigliamo a tutti gli appassionati dei Campi Flegrei.



Antonio Tortora e Danilo Capone in escursione archeoantropologica al Lago d'Averno e al Tempio di Apollo
Foto di Antonio Tortora



Antonio Tortora sulle sponde del Lago d'Averno (Foto di D.Capone)


Danilo Capone nei ruderi del Tempio di Apolllo (Foto di A.Tortora)