La nostra slide relativa al Sacrario Mauriziano-Templare di Pescocostanzo e' stata ripresa dalla PrecettoriaO.S.M.T.J Jacques De Molay Priorato New York.
................ d'ispirazione cristiana nasce da
un'idea di persona che è "immagine e somiglianza di Dio ", di un Dio che
entra nella storia con libertà, gratuità ed umiltà, e che insegna la
carità, l'amore come principio della relazione tra Dio e gli uomini e
degli uomini tra loro...................
Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam
Esame antropologico dei simboli esoterici presenti nel Sacrario Mauriziano e Templare
Substantia Templarii: Il nuovo Cavaliere del Tempio non ha più la corazza degli antichi Templari ma ha sempre il bianco mantello - segno dei tre principi che gli appartengono di diritto e per dovere: povertà, castità e obbedienza - e la croce ricamata che con i suoi quattro bracci, indicanti le direzioni cosmiche si proiettano in ogni dove. I cavalli e i bianchi destrieri su cui i Cavalieri partivano dall'Hisn al Akrad ovvero dalla Fortezza dei Curdi, chiamata oggi Qal'al-Hisn ovvero Cittadella della fortezza e meglio conoscito come l'inespugnabile Krak dei Cavalieri, non costituiscono più i mezzi di locomozione e le macchine da battaglia di questi guerrieri rosso-crociati. Oggi infatti non si tratta più di difendere i pellegrini in transito per la Terra Santa e Gerusalemme bensì il nuovo compito consiste nell'individuare i nuovi mostri della società, della scienza e dello spirito contrastandoli efficacemente a difesa strenua dei deboli e degli emarginati. Solo il Cavaliere Templare può, nella modernità tecnologica e nel recupero doveroso di sistemi valoriali che poco hanno a che fare con il format religione ma che molto hanno a che fare con la giustizia umana, sconfiggere un male che troppo spesso si annida nei più vari e insospettabili sitemi di potere. Il laser sostituisce la spada nella buona battaglia di chi ha il compito di vigilare contro gli abusi e difendere coloro che non sono in grado di farlo. Un estremo atto di generosità che ha un contenuto universale, proprio come l'estensione strategica dei Templari, e che si rapporta simbolicamente al concetto che è un'unica cosa a sorreggere tutto il creato e l'universo mondo. Tale principio è riportato nella Tabula Smaragdina scritta da Ermete Trismegisto su una lastra di smeraldo di un verde cangiante con una punta di diamante: "Et sicut omnes res fuerunt ab uno, mediatione unius; sic omnes res natae fuerunt ab hac una re, adaptatione" (trad: E poiché tutte le cose sono e provengono da una, per la mediazione di
una, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica mediante
adattamento).Ci piace aggiungere anche un'altra frase, apparentemente semplice, lasciata ai posteri dal Magister Sapientiae Trismegisto: "Verum, sine mendacio certum et verissimum" (trad. Il vero senza menzogna, è certo e verissimo). Essi vivono, i Cavalieri del Tempio sono in mezzo a noi, non hanno mai smesso di agire con giustizia e rettitudine e tutti coloro che porranno la giusta domanda avranno modo di percepirne la presenza.
E' vero che già abbiamo dedicato una intera sezione del nostro sito al Lago d'Averno ma è altrettanto vero che ogni escursione ci consente di scoprire cose nuove e di provare emozioni forti.
Per questa ragione ci siamo recati, con il collega Danilo Capone, presso le sponde di un Lago che idealmente da un punto di vista culturale e geograficamente dal punto di vista della colonizzazione greca, delimita i confini nord di quella importantissima area che da tempo immemore è stata definita Magna Grecia; qui i coloni calcidesi-euboici, più o meno fra l'VIII° e il VII° secolo a. C., colonizzarono l'area flegrea e principalmente Kyme (Cuma) subito dopo aver fondato Pithecusa (Ischia). Ci troviamo, stando a Publio Ovidio Nasone che ne riferisce nei Fasti una delle sue opere più difficili, in quello che è il nucleo vero e originario dell'Italia, affermando"Itala nam tellus Graecia maior erat" ovvero "Ciò che chiamiamo Italia era Magna Grecia". Ma torniamo al Lago d'Averno, resistendo alla tentazione di dilungarci troppo, e ci piace narrare di una tradizione medievale, risalente a colui che amava definirsi Petrus ultimus monachorum servus ovvero a San Pier Damiani che raccontò, a proposito del Lago flegreo, la seguente storia.Ogni sabato seraun nutrito stormo di uccelli neri compariva, come d'incanto, sullo specchio d'acqua e cominciava a svolazzare di continuo e senza mai fermarsi neanche per mangiare e bere; nessuno poteva catturarlineanche con le reti perchè apparivano come figure spettrali, diremo oggi ectoplasmatiche ovvero visibili ma non consistenti dal punto di vista materiale. Poi all'inizio della settimana, con estrema puntualità compariva un corvo nero dalle proporzioni colossali che con un forte gracchiare li chiamava a raccolta obbligandoli a gettarsi nelle acque nere e impenetrabili allo sguardo. Si trattava secondo, il ravennate Dottore della Chiesa, delle anime dei defunti che nel dies dominicus avevano il privilegio, per dono divino, di rimanere distanti dagli ordinari e terribili supplizi infernali.
Slide Fotografica di Antonio Tortora
Bene noi ci siamo recati nel celebre luogo virgiliano, dove popolazioni Cimmerie abitano in città sotterranee a guardia dell'ingresso dell'Ade, per verificare quanto riportato dalla leggenda medievale, violando la "spelonca" e l'"ampia vorago", la "scheggiosa roccia" e "le selve annose e folte" (libro VI° dell'Eneide); ma, in verità, di anime dei defunti non ne abbiamo incontrate, per fortuna; e ciò nonostante la suggestione derivante dal visitare il Tempio di Apollo sia stata davvero forte e irripetibile. Stiamo parlando di un'opera gigantesca che è stata considerata dallo stesso Amedeo Maiuri: "fra le più imponenti costruzioni circolari con volta a cupola dell'architettura romana, con un diametro di circa 38 metri e un'altezza di soli cinque metri inferiore a quella del Pantheon". Così come l'ecista, ovvero colui che oltre a consultare l'Oracolo di Apollo nel Santuario di Delfi era anche destinato a conservare e trasportare il fuoco sacro dalla città d'origine al sito dove sarebbe sorta la colonia, anche noi al cospetto delle possenti mura del tempio abbiamo rivolto qualche domanda all'Oracolo impersonando ora Archia o Evarco, ora Falanto o Lamis (fra i più noti ecisti dell'antichità); ma di risposte non ne abbiamo avute, almeno per il momento. Il mistero dell'Averno, dei ruderi e delle grotte abitate da Sibille che lo circondano rimane inviolato. Ma torneremo per altre escursioni per saperne di più. E' un'esperienza straordinaria che consigliamo a tutti gli appassionati dei Campi Flegrei.
Foto di Antonio Tortora
Antonio Tortora sulle sponde del Lago d'Averno (Foto di D.Capone)
Danilo Capone nei ruderi del Tempio di Apolllo (Foto di A.Tortora)
All'interno degli archi dei Ponti della Valle - Maddaloni (Ce) Foto di Antonio Tortora
Quando parliamo dell'Acquedotto Carolino e dei cosiddetti Ponti della Valle non dobbiamo mai dimenticare che si tratta della maggiore opera di ingegneria idraulica dell'epoca realizzata per volere di Carlo III° di Borbone e grazie alle competenze per certi versi visionarie dell'architetto tardo barocco Lodewijk van Wittel. Con i suoi 40 chilometri (l'antica misura di lunghezza del Regno delle Due Sicilie era il "braccio" che equivaleva a 0,5421 metri) superava arditamente un territorio, orograficamente molto complesso, che partiva dalle sorgenti "del Fizzo" poste alla falde del Taburno per raggiungere il monumentale parco della Reggia di Caserta. Contrariamente a quello che molti credono la funzione dell'acquedotto era di natura sociale e non meramente dilettevole ovvero avrebbe dovuto raggiungere, con le sue acque potabili, Caserta, il borgo utopistico di Ferdinandopoli a San Leucio, patria della filatura della seta, ed infine Napoli. Purtroppo dopo poco meno di vent'anni, nel 1770, l'opera rimane incompleta e le acque vengono riversate nel vecchio acquedotto del Carmignano.
Ciononostante il monumentale viadotto chiamato "Ponti della Valle" affascina per l'arditezza spericolata con cui la Valle di Maddaloni viene superata da Luigi Vanvitelli che con un ponte ad archi, simile a quelli realizzati dai Romani, collegò il monte Longano con il monte Garzano. "L'opera sarà reale - scrive lo stesso celebre ingegnere in un suo carteggio - vi farò gli ornati corrispondenti alla grande in stile de' Romani antichi, perchè l'opera lo comporta et è assai onorevole e cospicua per il Re e per me ancora" Il riferimento é chiaro; si tratta del Pont du Gard realizzato presso Nimes, sul fiume Gardon in Francia, da Agrippa, regnante Augusto; ovviamente più piccolo di quello di Maddaloni che si articola in tre ordini di archi a tutto sesto. Il primo livello è strutturato in 19 archi, il livello intermedio in 27 archi e quello superiore, una vera e propria strada pavimentata in pietra e larga tre metri percorribile in carrozza, in 43 archi.
Abbiamo realizzato, a testimonianza della magnificenza dell'opera vanvitelliana e dell'impegno sociale e politico di Carlo III° di Borbone, due slide antropologiche e due album fotografici che, ci auguriamo, possano stimolare la curiosità di coloro che ancora sono tiepidi nei confronti di opere così straordinarie e purtuttavia ancora così sconosciute.
Youtube: interno dell'Acquedotto Carolino
Album fotografico: Interno dell'Acquedotto Carolino (foto di Antonio Tortora)
"Per il recupero della nostra storia é fondamentale salvare questa opera ingegneristica monumentale dal degrado e dalla dimenticanza; la nostra corta memoria, infatti, non ci consente di valorizzare i beni culturali presenti e innervati sul territorio casertano che é, incredibile dictu, uno dei più interessanti e ricchi della Campania. Ma anche uno dei più sconosciuti. Tale lacuna deriva dalle caratteristiche di una regione, la Campania Felix, che con l'aggressione militare é stata assoggettata a un'Italia di facciata ed é stata distrutta nella sua organicità. Difatti i capoluoghi di provincia campani si sono, da quel triste 1861, comportati come i Comuni e le Signorie del passato che non facevano altro che combattersi fra loro. Pertanto é stato generato una sorta di razzismo strisciante che ha portato al relativo isolamento di ampie contrade e ad una guerra sorda fra diverse amministrazioni. Invece occorre cooperazione per uscire dall'impasse e i Borbone l'avevano ben compresa la logica unitaria che tanto ha giovato a tutto il Regno delle Due Sicilie. Cosicchè attraverso l'Acquedotto Carolino le due province, beneventana e casertana, furono collegate dalla cosa più preziosa che esiste: l'acqua e i problemi incommensurabili che misero a dura prova Luigi Vanvitelli e le sue maestranze furono brillantemente superati dalla creatività, dall'ingegno e dall'intelligenza. Per noi che guardiamo con ammirazione a un passato, che tutto sommato, non é poi tanto lontano non resta che accettare l'eredità unitaria e simbolica che fece grande un Regno e che che purtroppo tende a mettere in risalto la mediocrità del presente. Complimenti a tutti coloro che amano la propria terra e si battono per risollevarne le sorti."
Album fotografico: Esterni dell'Acquedotto Carolino (Foto di Antonio Tortora)
La costruzione dell'Acquedotto Carolino attraverso le lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III° di Borbone durante la reggenza del Regno delle Due Sicilie(17591767) di Mariaclaudia Izzo: http://www.rterradilavoro.altervista.org/articoli/05-03.pdf
ESCURSIONE ANTROPOLOGICA DI ANTONIO TORTORA A SAN MARTINO (CASTEL SANT'ELMO) CON FOTO DI MARIO ZIFARELLI.
In questo splendido, fortificato e panoramico luogo scattammo con Mario Zifarelli alcune foto interessanti per la mostra "Napoli Svelata"; e non poteva essere altrimenti visto che si tratta di un sito che riveste un'importanza fondamentale, dal punto di vista storico, architettonico ed esoterico. La pianta stellata di Castel Sant'Elmo sorge in un luogo fortemente simbolico dove, oltre a fondere la terra con il cielo e la città con l'aere metafisico, l'antico Patulcius poi Paturcium era consacrato a Giano la divinità romana double-faced di cui, caso piuttosto raro anzi diremo unico, non è stato possibile trovare divinità equivalenti nel pantheon greco. Cosicchè anche per gli antichi eruditi costituiva un enigmatico mistero. Una delle divinità più antiche del culto romano e già presente nei calendari più arcaici; ciò testimonia l'importanza che anche i Romani attribuirono a un luogo che rappresenta il "contatto" energetico fra terra e cielo, fra energia tellurica e energia cosmica; un vero e proprio omphalos. Per chi sa osservare ancora oggi Giano apre e chiude le porte solstiziali. Ma tornando alle foto, i soggetti che più ci colpirono, fra gli altri, furono lo stemma in pietra di Carlo V°, con la sua possente e straordinaria aquila bicefala, posto sul portale d'ingresso cui si accedeva, un tempo, attraverso un ponte levatoio; il tutto in prossimità della cosiddetta "Grotta dell'Eremita" costellata di croci penitenziali incise nelle pareti. E ancora attirò la nostra attenzione la cappella da cui si accede alle carceri dove il domenicano calabrese Tommaso Campanella, sottoposto a processo ben cinque volte da parte dell'Inquisizione e condannato a dura pena detentiva, scrisse varie opere tra cui la Città del Sole. Alcuni suoi scritti raggiunsero l'esterno delle mura fortificate e delle segrete in cui visse per anni, grazie a Tobias Adami e Wilhelm Wense, suoi fedeli e coraggiosi discepoli, finendo nelle giuste mani di Valentin Andreae fondatore dei Rosa Croce; da qui il filone che lo lega a Giordano Bruno, alle dottrine rosacrociane e a tutti coloro, utopisti e liberi pensatori, che si adoperarono e sempre si adopereranno per riformare i mondi della politica, della cultura e della società.
"Dicono che è gran dubbio sapere se 'l mondo fu fatto di nulla o delle rovine d'altri mondi o del caos; ma par verisimile che sia fatto, anzi certo." (da La città del Sole di Tommaso Campanella)"
Le orribili "nane" del Pendino di Santa Barbara viste dallo scrittore Malaparte e la devastazione che segue la Seconda Guerra Mondiale.
Leggendo "La Pelle" di Curzio Malaparte, opera che in origine avrebbe dovuto essere intitolata "La Peste" ma che così non fu a causa della pubblicazione dell'omonimo e fortunato romanzo di Albert Camus nello stesso periodo, si legge: "Il Pendino è un vicolo lugubre, non tanto per la sua strettezza tagliato com'è fra gli alti muri, verdi di muffa, di antiche e sordide case, nè per l'oscurità che vi regna eterna, anche nelle giornate di sole, quanto per la stranezza della sua popolazione. Famoso è infatti il Pendino di Santa Barbara per molte nane che vi abitano. Son così piccole che giungono a stento al ginocchio di un uomo di media statura.....tra le più brutte nane che vi siano al mondo". Calca poi la dose paragonandole ai "mostriciattoli di Bruegel o di Bosch". Vengono, a questo punto, alla mente le nane del Goya e del Velasquez cosicchè i riferimenti al laidume femmineo di questo quartiere partenopeo risultano davvero al completo.
Da San Giovanni Maggiore a Gradini Santa Barbara Escursione antropologica di Antonio Tortora
Francamente pensiamo che questo tipo di letteratura non abbia fatto bene alla nostra città martoriata dai bombardamenti americani e questa forma di esagerazione visionaria con cui Malaparte descrive alcune situazioni che immagina essersi verificate a Napoli in quel periodo non è condivisibile, pur tenendo presente la giusta denuncia malapartiana che nel "La Peste", con cui avrebbe voluto intitolare originariamente l'opera narrativa, racchiuse in sè tutto l'orrore di una intera Europa in cui delazione, prostituzione, corruzione e ignobiltà dilagavano a macchia d'olio. "La Pelle" inizia proprio con la descrizione delle nane d'E gradelle 'e Santa Barbara forse contrapponibili alla supposta bellezza dei giovani e trionfatori militari americani, per poi soffermarsi su episodi grotteschi come l'esposizione, per un solo dollaro, della giovane vergine a gambe divaricate sul letto di un "basso"; la vendita di ciuffi di peli pubici appartenenti a donne bionde ai militari di pelle nera perchè, ai neri si sa, "like blondes". Il disgusto, per noi che non amiamo Malaparte, ci impedirebbe di elencare altri orrori ma dobbiamo farlo per onestà intellettuale, e ciò senza giudicare e senza entrare del merito dell'abilità narrativa dell'autore. Napoli come piazza che offre giovanissimi disperati e senza futuro ai ricchi omosessuali provenienti da ogni parte d'Europa, é il caso del nobile Jeanlouis; il rituale della "figliata" laddove da un omosessuale viene simulata la gestazione e il parto di un feto dal fallo smisurato; il pranzo offerto agli ufficiali americani e loro consorti a base di bambina bollita che in realtà non é altro che un pesce sirenoide che è stato prelevato dall'Acquario di Napoli e l'orrore dei commensali. Qui ci fermiamo e riflettiamo su quanto prevalga l'elemento romanzesco e visionario sull'elemento documentaristico e giornalistico. E' vero lo stesso Malaparte in una lettera all'editore Bompiani chiarisce che "La Pelle" è opera di fantasia ma aggiunge drammaticamente che si tratta di un romanzo storico contemporaneo. Per noi è assurdo ma è la sua opinione e va riportata per dovere di cronaca. E' davvero una "fiction based on facts"come scrive Luigi Martellina in "Malaparte saggista politico: le rivoluzioni europee"? Insomma ha voglia Malaparte a citare lo storico Tucidide, quando ben descrive nel dettaglio l'epidemia di peste che colpì Atene durante la guerra del Peloponneso, nell'intento di dimostrare la purezza dei criteri storiografici da lui adottati, ma noi non vediamo quell'opus oratorium maxime di ciceroniana memoria in quanto non ravvisiamo quella prosa d'arte che oltre a offrire utili e doverosi insegnamenti non costituisce neanche un piacevole intrattenimento letterario. Si tratta di una patina letteraria che non convince cosicchè molte furono le discussioni e le critiche che si levarono nei confronti dell' opera malapartiana; e non ultime quello dello stesso Consiglio Comunale di Napoli che ci tenne a smentire tutto ciò che fu scritto nell'offensivo romanzo. Tenendo presente che "La Pelle" è stata tradotta in lingua straniera con numerose ristampe particolarmente in Francia, e che un importante film con Marcello Mastroianni ne è stato tratto, il danno di immagine risulta consistente e, a nostro avviso, richiederebbe un congruo risarcimento; queste brevi note critiche nascono proprio da questa ormai inderogabile esigenza riabilitativa.
Foto di Antonio Tortora: 'E gradelle 'e Santa Barbara
Nei nostri vagabondaggi antropologici non potevamo trascurare quel tratto di scale che collega largo Ecce Homo con via Sedile di Porto e che, correttamente, si chiama Via Pendino di Santa Barbara poichè tutte le strade in discesa che, in origine, permettevano di raggiungere il mare partendo dalla zona collinare erano chiamate "pendini" proprio in virtù della loro pendenza. Nel caso de 'E gradelle 'e Santa Barbara ivi persisteva anticamente una chiesa dedicata alla Santa che proteggeva, nella credenza popolare, dai tuoni e dalle saette nonchè dalle morti improvvise. A parte lo splendido e rinascimentale Palazzo Penne sito al largo Banchi Nuovi e lo stesso sanfeliciano Palazzo Amendola, chiamato popolarmente "Malefioccolo", nulla c'è di pregevole presso questo Pendino e tuttavia non abbiamo trovato traccia né delle nane di cui parlava Malaparte descrivendo una di esse che"canta affacciata ad un'altra finestrella, e sembra un grosso ragno che sporga la testa pelosa da una crepa nel muro" né dei famosi e profumati taralli 'nzogna e pepe" di cui si favoleggia; anzi il forno a legna che quotidianamente e in diversi momenti della giornata li produceva non esiste più. Un vero peccato altrimenti li avremmo certamente consigliati.