Leggendo "La Pelle" di Curzio Malaparte, opera che in origine avrebbe dovuto essere intitolata "La Peste" ma che così non fu a causa della pubblicazione dell'omonimo e fortunato romanzo di Albert Camus nello stesso periodo, si legge: "Il Pendino è un vicolo lugubre, non tanto per la sua strettezza tagliato com'è fra gli alti muri, verdi di muffa, di antiche e sordide case, nè per l'oscurità che vi regna eterna, anche nelle giornate di sole, quanto per la stranezza della sua popolazione. Famoso è infatti il Pendino di Santa Barbara per molte nane che vi abitano. Son così piccole che giungono a stento al ginocchio di un uomo di media statura.....tra le più brutte nane che vi siano al mondo". Calca poi la dose paragonandole ai "mostriciattoli di Bruegel o di Bosch". Vengono, a questo punto, alla mente le nane del Goya e del Velasquez cosicchè i riferimenti al laidume femmineo di questo quartiere partenopeo risultano davvero al completo.
Escursione antropologica di Antonio Tortora
Francamente pensiamo che questo tipo di letteratura non abbia fatto bene alla nostra città martoriata dai bombardamenti americani e questa forma di esagerazione visionaria con cui Malaparte descrive alcune situazioni che immagina essersi verificate a Napoli in quel periodo non è condivisibile, pur tenendo presente la giusta denuncia malapartiana che nel "La Peste", con cui avrebbe voluto intitolare originariamente l'opera narrativa, racchiuse in sè tutto l'orrore di una intera Europa in cui delazione, prostituzione, corruzione e ignobiltà dilagavano a macchia d'olio.
"La Pelle" inizia proprio con la descrizione delle nane d'E gradelle 'e Santa Barbara forse contrapponibili alla supposta bellezza dei giovani e trionfatori militari americani, per poi soffermarsi su episodi grotteschi come l'esposizione, per un solo dollaro, della giovane vergine a gambe divaricate sul letto di un "basso"; la vendita di ciuffi di peli pubici appartenenti a donne bionde ai militari di pelle nera perchè, ai neri si sa, "like blondes". Il disgusto, per noi che non amiamo Malaparte, ci impedirebbe di elencare altri orrori ma dobbiamo farlo per onestà intellettuale, e ciò senza giudicare e senza entrare del merito dell'abilità narrativa dell'autore. Napoli come piazza che offre giovanissimi disperati e senza futuro ai ricchi omosessuali provenienti da ogni parte d'Europa, é il caso del nobile Jeanlouis; il rituale della "figliata" laddove da un omosessuale viene simulata la gestazione e il parto di un feto dal fallo smisurato; il pranzo offerto agli ufficiali americani e loro consorti a base di bambina bollita che in realtà non é altro che un pesce sirenoide che è stato prelevato dall'Acquario di Napoli e l'orrore dei commensali. Qui ci fermiamo e riflettiamo su quanto prevalga l'elemento romanzesco e visionario sull'elemento documentaristico e giornalistico. E' vero lo stesso Malaparte in una lettera all'editore Bompiani chiarisce che "La Pelle" è opera di fantasia ma aggiunge drammaticamente che si tratta di un romanzo storico contemporaneo. Per noi è assurdo ma è la sua opinione e va riportata per dovere di cronaca. E' davvero una "fiction based on facts"come scrive Luigi Martellina in "Malaparte saggista politico: le rivoluzioni europee"?
Insomma ha voglia Malaparte a citare lo storico Tucidide, quando ben descrive nel dettaglio l'epidemia di peste che colpì Atene durante la guerra del Peloponneso, nell'intento di dimostrare la purezza dei criteri storiografici da lui adottati, ma noi non vediamo quell'opus oratorium maxime di ciceroniana memoria in quanto non ravvisiamo quella prosa d'arte che oltre a offrire utili e doverosi insegnamenti non costituisce neanche un piacevole intrattenimento letterario. Si tratta di una patina letteraria che non convince cosicchè molte furono le discussioni e le critiche che si levarono nei confronti dell' opera malapartiana; e non ultime quello dello stesso Consiglio Comunale di Napoli che ci tenne a smentire tutto ciò che fu scritto nell'offensivo romanzo. Tenendo presente che "La Pelle" è stata tradotta in lingua straniera con numerose ristampe particolarmente in Francia, e che un importante film con Marcello Mastroianni ne è stato tratto, il danno di immagine risulta consistente e, a nostro avviso, richiederebbe un congruo risarcimento; queste brevi note critiche nascono proprio da questa ormai inderogabile esigenza riabilitativa.
Foto di Antonio Tortora: 'E gradelle 'e Santa Barbara |
Nei nostri vagabondaggi antropologici non potevamo trascurare quel tratto di scale che collega largo Ecce Homo con via Sedile di Porto e che, correttamente, si chiama Via Pendino di Santa Barbara poichè tutte le strade in discesa che, in origine, permettevano di raggiungere il mare partendo dalla zona collinare erano chiamate "pendini" proprio in virtù della loro pendenza. Nel caso de 'E gradelle 'e Santa Barbara ivi persisteva anticamente una chiesa dedicata alla Santa che proteggeva, nella credenza popolare, dai tuoni e dalle saette nonchè dalle morti improvvise. A parte lo splendido e rinascimentale Palazzo Penne sito al largo Banchi Nuovi e lo stesso sanfeliciano Palazzo Amendola, chiamato popolarmente "Malefioccolo", nulla c'è di pregevole presso questo Pendino e tuttavia non abbiamo trovato traccia né delle nane di cui parlava Malaparte descrivendo una di esse che"canta affacciata ad un'altra finestrella, e sembra un grosso ragno che sporga la testa pelosa da una crepa nel muro" né dei famosi e profumati taralli 'nzogna e pepe" di cui si favoleggia; anzi il forno a legna che quotidianamente e in diversi momenti della giornata li produceva non esiste più. Un vero peccato altrimenti li avremmo certamente consigliati.
"Nulla c'è di pregevole presso questo Pendino". Bruttina questa frase, se posso permettermi. E' il pendino in sé, infatti, ad essere pregevole, non c'è bisogno che ci siano monumenti di rilievo perché si possa apprezzarlo.
RispondiEliminaPersonalmente trovo che, insieme ad altri pendine e pedamentine, sia una delle eredità più affascinanti della Napoli di un tempo.
Nello scusarmi per il ritardo nel rispondere, carissimo Martin, convengo con quando osservato. Purtroppo lo stato di abbandono di intere porzioni del centro storico é destinato comunque a condizionare le valutazioni di carattere estetico; ciò accade anche per i più sfegatati amanti della città come me.
EliminaUn ringraziamento e un abbraccio accomunati dalla stessa passione.
Il "tarallaro" veramente é esistito ,era in quel luogo da fine ottocento fino ai primi anni 50.
RispondiEliminaUn posto fantastico che ricordo con piacere,nato e allevato dalle 3 nane che avevano nomea di fattucchiare o streghe ma in realtà bravissime persone che facevano balia per sopravvivere,tempi difficili inizio anni 60 ma belli da ricordare,la mattina Fortunato o tarallar o Furturella con panino e ricotta oppure la venditrice di rane o le ceveze(frutti di bosco)il tutto con un profumi di soffritto di cipolla,sugna e sugo di pomodori,non ricordo di cose lugubri o maleodoranti ma si sa,spettacolarizzare negativamente Napoli fa vendere.
RispondiEliminaMalaparte amava "terrorizzare": in Kaputt c'è la descrizione del suo incontro col dittatore Pavelic, nel suo studio, e di quelle ceste contenenti qualcosa che ricordava i frutti di mare, ma che in realtà erano 20 kg di occhi umani, dono degli Ustascia al dittatore Croato.
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