domenica 14 dicembre 2014

Indagine Antropologica al Sacrario Mauriziano

Antonio Tortora studia la simbologia esoterico-templare e i monoliti del Sacrario Mauriziano di Pescocostanzo alle falde del Monte Rotella 1482 mt




Sacrario Mauriziano link 
relativo al Sator:link 
i Templari: link 
la regola latina dei Templari: link


Osservazione antropologico-esoterica
di Antonio Tortora al Sacrario Mauriziano
















"Et in Arcadia ego", la scritta che i tre pastori-poeti con corone d'alloro e la seducente donna esaminano su una lastra marmorea di una tomba con cui si sono imbattuti appena usciti dal bosco, personaggi a dir poco misteriosi, può avere più significati e da oltre quattro secoli è oggetto di innumerevoli interpretazioni. Il quadro che raffigura l'insieme è un'olio su tela realizzato da Nicolas Poussin nel 1630 e corrisponde, da un punto di vista simbolico, a un'altro olio su tela realizzato da Giovanni Francesco Barbieri detto "Il Guercino" intorno al 1620.
L'enigmatica frase, i personaggi rappresentati e i luoghi descritti, con tutto il loro intrinseco bagaglio di suggestioni, hanno impregnato, lungo tutto il '600, il movimento culturale Arcadia di cui il poeta partenopeo Jacopo Sannazzaro fu illustre componente. Ma cosa sisgnifica veramente “Et in Arcadia ego”? Ne diamo qui qualche probabile ma pur sempre incerta interpretazione. 
Per E. Panofskij, che si rifà alla tradizione elegiaca risalente al latino Ausonio e alla tomba di Terenzio, significa "La morte esiste (perfino) in Arcadia", oppure "Io vissi in Arcadia"; in entrambi i casi una sorta di memento mori che esprime la transitorietà e la precarietà della vita.
Comunque sia si tratta di un vero rompicato, forse non casualmente associato, nel Sacrario Mauriziano di Pescocostanzo, alla frase palindroma del Sator altrettanto enigmatica. Da questo punto di vista poco giova sapere che l’Arcadia era abitata, stando a uno studio pubblicato nel 1995 su Scientific American, da una popolazione della Grecia meridionale antichissima che in circa cinquantamila anni avrebbe reso l’intero territorio completamente arido e inospitale. Dunque sarebbe stata una sorta di ex paradiso perduto e a tratti davvero utopistico di cui anche Virgilio, per rimanere alle latitudini neapolitane, che evidentemente conobbe società di uomini capaci di vivere il reale e il metafisico, il mito e la storia insieme, descrive copiosamente nelle sue opere immortali.
Certo nel Sacrario, dove ci siamo soffermati per alcune doverose riflessioni, la frase recita “I tego arcana Dei” ed è evidente che si tratta di un anagramma che però non soddisfa, almeno nelle interpretazioni di Andrews e Schellenberger, la curiosità dei ricercatori; infatti essi postulano la mancanza della parola “sum” che se fosse inserita nel contesto potrebbe far significare la frase opportunamente anagrammata: “Io tocco la tomba di Dio – Gesu”. Dunque la frase dovrebbe essere stata riportata incompleta dai pittori per motivi incomprensibili, la presunta parola mancante dovrebbe essere quella giusta, l’intera frase subirebbe la forzatura, così cara agli esoteristi, di un anagramma; ma come sappiamo le combinazioni plausibili possono essere anche centinaia. 
A dire il vero anche lo stesso Goethe si rifece a una traduzione tedesca, stretta e letterale laddove pure mancava il verbo latino “sum”, ricordando un viaggio che fece da giovane in Italia. Dice letteralmente: “Auch ich in Arkadien”. 
A questo punto ci fermiamo, senza fare ipotesi che spettano ai veri studiosi di esoterismo e agli iniziati, invitando il lettore a compiere una visita al Sacrario Mauriziano di Pescocostanzo e a osservare la sua magia e l’ambiente bucolico per capire. (Antonio Tortora)

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