mercoledì 31 dicembre 2014

Fine anno 2014 Napoli imbiancata. La neve simbolo di speranza e nitore dell'anima della città.

Napoli si è svegliata, questo 31 dicembre 2014, sotto una soffice e bassa coltre di neve; é, a nostro avviso, un buon fine di anno all'insegna del candore e della pulizia (simbolicamente parlando).




Scorcio di lungomare innevato (Foto di Stefano Sposito)



"Tutto è soltanto un simbolo" afferma Carlo Bontempelli in un volume dedicato al romanzo "I Bundebbrok: decadenza di una famiglia" del saggista tedesco Thomas Mann che nulla c'entra con il nostro discorso, come contenuto dell'opera narrativa, ma che con la pregnanza del titolo ci aiuta a introdurre le nostre brevi considerazioni. 
La neve richiama alla mente la purezza, il candore e, non secondariamente per la cultura giapponese, la caducità di tutte le cose della vita; e come la neve subito si scioglie a contatto con il suolo così i petali del sakura ovvero del fiore di ciliegio vengono spazzati dal vento ancor prima di raggiungere il suolo. Non a caso la maggioranza delle imprese eroiche dei Samurai, condotte sia singolarmente che in gruppo, sono sempre state precedute, accompagnate o seguite da abbondanti nevicate, quasi a voler indicare la giustezza della loro causa; almeno questa era l'interpretazione che i guerrieri davano al fenomeno naturale nella sua manifestazione di volontà celeste e divina. Non sappiamo se ciò possa valere anche per la nostra amata Neapolis e se dobbiamo rimanere nella speranzosa attesa di un eroico guerriero che ci liberi dai mali che ci affliggono e che ci sono stati inflitti da una sorta di nemesi storica davvero inclemente; tuttavia forse bisognerebbe riscoprire il guerriero di luce che c'è in ognuno di noi di stirpe megaridiana. E' Paolo Coelho che suggerisce le tre cose su cui dover contare e da serbare nel proprio equipaggiamento individuale: fede, speranza e amore. Nulla di tutto questo ci manca e per circa tre millenni l'abbiamo dimostrato al mondo intero; non resta che diventare un pò Samurai e applicare le leggi del Bushido che poi non sono altro, sia pur orientalizzate, che quelle della Cavalleria europea medievale e quelle del mos maiorum della civiltà romana. In noi prevale, come imprescindibile quintessenza, il concetto ellenizzato di "humanitas".
Ma c'è un'altra analogia che ci incuriosisce e ci fa riflettere ovvero l'abbinamento, sempre nella letteratura e nella poetica nipponica, del colore bianco (haku) con i colori rosso e nero. Associato al rosso significa gioia e celebrazione, associato al nero richiama il lutto e le occasioni dolorose.
Per il napoletano, secondo una nostra libera interpretazione piuttosto che secondo una scuola di pensiero antropologica, il rosso raffigura nell'immaginario collettivo il magma vulcanico del Vesuvio e dei vastissimi Campi Flegrei che, pur avendo tanto distrutto in più occasioni, sono anche visti come portatori di vita e fertilità; cosicchè parte della Campania Felix deve proprio la sua capacità di produrre ogni tipo di frutto a questi due fenomeni ignei e naturali. 
Circa il nero, esso è il colore che una certa propaganda politico-mediatica getta, o tenta di gettare, sui mille colori (come canta Pino Daniele) di una città civilissima che ha esportato cultura, filosofia, arte e musica in tutto il mondo e che continua a farlo attraverso quella emigrazione forzata che oggi viene elegantemente, ma anche ingannevolmente, definita "fuga di cervelli".
Questo ci piaceva dire e questo abbiamo detto con un parallelismo un pò ardito, ma di sicuro
interessante, fra cultura simbolica giapponese e cultura simbolica partenopea. D'altra parte a ogni latitudine i simboli, immagini viventi degli archetipi originari da cui tutto proviene, servono a farci capire l'essenza stessa delle cose. 
(di Antonio Tortora)

Auguri       
Megaride Partenope Palepoli Neapolis



Fiocco di neve
Fiore di ciliegio

sabato 27 dicembre 2014

OFFICINA DELLA TAMMORRA: ANCESTRAL SOUNDS IN NAPLES

Dagli antichi Alessandrini clac di Nerone a Paola ed Enrico 

Gargiulo bravi artigiani passando per Giambattista Basile 

grande novelliere barocco


Qualunque stile di musica popolare preferiate: giuglianese dai ritmi semplici e con molteplici "vutate" e giravolte; vesuviano sarnese-sommese con paranze dotate anche di fisarmonica che intensificano il ritmo sincronicamente alla botta di tamburo; pimontese e costiera amalfitana con il tamburo in vibrazione continua e ossessiva; nocerino dai movimenti pantomimici molto intensi e complessi; siete nel territorio della Tammorra. E se volete saperne di più non potete non recarvi in visita all'Officina della Tammorra di Vico San Severino 39, in piena Spaccanapoli, dove gli strumenti tradizionali della musica campana vengono prodotti e venduti da Paola ed Enrico Gargiulo
"Tammurri" in pelle di capra o pecora con cimbali o cicere di metallo, "triccaballacche" con caratteristici martelletti lignei che vengono percossi l'uno contro l'altro, "castagnette" simmetriche a forma di conchiglia fondamentali per la tammorriata e infine "putipù" detti anche "caccavelle" che con lo sfregamento di una mano umida lungo una canna inserita in una scatola di latta tonda produce un suono a dir poco irriverente.


                                                         Officina della Tammorra


Ascoltando i ritmi della Tammorra vengono in mente i suoni che dovevano essere prodotti dalla clac di giovani Alessandrini che l'imperatore Nerone portava al seguito in occasione delle sue memorabili performance canore e teatrali all'interno dell'Odeon, a poca distanza dalla odierna P.zza San Gaetano. Questi partecipavano alle regali manifestazioni con irrefrenabile entusiasmo suonando, come se fossero scrosci di applausi, "bombi", "imbrices" e "testae"; un mix di ronzio di grosse api, di suoni rochi di corni, di pioggia che batte sulle tegole ed infine un crepitio di carboni accesi; il tutto amplificato all'ennesima potenza, visto il cospicuo numero di giovinetti di discendenza egizia e di robusti individui scelti fra la plebe neapolitana che Nerone coinvolgeva nelle rappresentazioni. Grandi casinisti erano questi Alessandrini e forse proprio da essi e dagli antichi neapolitani derivano i cori da stadio oggi così comuni ma anche così simili alle "modulatae laudationes" descritte dall'attento Svetonio.
Non solo ma per chi, come noi, ha avuto modo di apprezzare la Festa di Piedigrotta, sia pur nelle sue versioni più corrotte e più lontane dallo spirito originario, non possono non venire alla mente le mirabili descrizioni raffigurate con plasticità esemplare nella IX Egloga da Giambattista Basile quando descrive, non senza rimpianto e già alla fine del '500, la festosa sarabanda e gli strumenti della festa per eccellenza, la più antica di tutte. 

                                                                

                                                                ……….lo cunzierto

De lo tiempo passato,
Lo pettano e la carta,
L’ossa nmiezo a le ddeta,
Lo crocrò che parlava,
Lo bello zucozuco,
La cocchiara sbattuta
Co lo tagliero e co lo pignatiello,
Lo votta fuoco co lo fiscariello”.



Insomma "lu scetavaiasse", "lu rebbecchino", "lu triccaballacche", il "putipù", i "mattoni" e le "craste" sono tutti antichi strumenti  da cui derivano quelli impiegati per suonare la musica tradizionale napoletana e campana. Di recente l'Officina della Tammorra ha ricevuto una visita, con attestato di benemerenza, da parte del Principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie Duca di Castro.

Tammorre in esposizione nell'Officina


Enrico e Paola Gargiulo con Beppe Barra




                                             


    venerdì 26 dicembre 2014

    Il Manifesto del Web Journalism elaborato da un gruppo di giornalisti tedeschi











                                 Quale libertà di stampa?
                                  
                                 Quale libertà per il Web?

      Lo stato dell'arte in Italia e il Manifesto del Web Journalism


    Ciò che non appare è


    Utopia o distopia? Fatto sta che i tempi sono cambiati e occorre una buona dose di coraggio per affrontare i cambiamenti. Sono iscritto da molti anni all'Ordine dei Giornalisti e forse non tutto mi convince di ciò che é enunciato nel Manifesto del Web Journalism, per forma e per contenuti. Tuttavia da qualche parte bisogna cominciare ed é giusto che i Blogger tedeschi prima e di tutto il mondo poi ipotizzino una  "Magna Charta Libertatum" del Web, questa volta non in latino come quella che il re d'Inghilterra Giovanni Senzaterra concesse ai baroni del Regno il 15 giugno 1215, bensì in tutte le lingue parlate.

    E' evidente che una stretta autoritaria cerca di impedire la libera circolazione delle idee in diversi paesi e il Web viene ritenuto da alcuni governi e da un'infinità di servizi di intelligence uno strumento per controllare e spiare i cittadini; ma questo fatto, espressione di tempi complessi e difficili da vivere, non può e non deve impedire a nessun cittadino del mondo di rinunciare ai propri diritti soprattutto in materia di circolazione delle idee. Anche se noi giornalisti, almeno in Italia, siamo iscritti per legge a un Ordine Professionale sottoposto alla vigilanza dello Stato, potenzialmente e con lo svilupparsi di nuove e potenti tecnologie, i cittadini possono diventare tutti operatori dell'informazione, in qualunque momento, trattando gli argomenti più disparati e con tutti i mezzi a disposizione.

    "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione" recita l'articolo 21 della Costituzione italiana" e inoltre "La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni e censure". Naturalmente ciò non sempre accade e di autorizzazioni, in un paese burocratizzato e accentratore come il nostro, e di censure, laddove vige ancora un sistema normativo e giuridico che affonda le sue radici nei primo decenni del '900 e in qualche caso anche alla fine dell'800, caso unico al mondo, c'é poco da stare sereni quando si mette penna in carta. Orbene, finché l'art.21 della Costituzione rimarrà in vigore e non sarà eliminato nè tantomeno stravolto a causa della frenesia riformista e riformatrice, ci sarà sempre un margine di trattativa fra chi eserciterà il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni o di fare informazione libera e affrancata da ogni condizionamento e chi, invece, teme la libera espressione e l'informazione veritiera. 

    Alla luce di quanto affermato ben venga il Manifesto del Web Journalism.
    Per la Freedom House (https://www.freedomhouse.org/) l'Italia non é affatto un paese libero e lo dimostra il fatto che, unitamente alla Turchia, figura fra i due soli paesi europei occidentali nella lista di quelli "parzialmente liberi", formula che, ovviamente deve essere interpretata come un eufemismo con forzatura retorica in eccesso e certamente non in difetto. Cosicché questo dato sta a significare che ci sono alcuni paesi comunisti dell'Europa orientale che godono di maggiore libertà. E' un paradosso per tutti ma per un operatore dell'informazione ciò costituisce un dramma.
    Inoltre e drammaticamente anche Reporters sans frontières il cui sito di riferimento internazionale è Reporters Without Borders (http://en.rsf.org/), va giù duro e pone l'Italia al 57° posto per la libertà di stampa, con una censura feroce che opera nei confronti di tutti i mezzi di comunicazione, dalla televisione alla stampa senza lasciare indenne neanche Internet. (Antonio Tortora)

    Nell'interesse di tutti

    Versione italiana dei 17 punti del Manifesto del Web Journalism:


    1. "Internet è diverso" Il nuovo mezzo di comunicazione è molto differente rispetto agli altri media. Chi vuol lavorare nel campo dell'informazione deve adattare i propri metodi di lavoro alla realtà tecnologica di oggi invece di ignorare e contestare il mondo multimediale. Bisogna produrre prodotti giornalisti nuovi e migliori.
    2. "Internet è un impero mediatico tascabile" Grazie a internet è possibile fare dell'ottimo giornalismo anche senza immensi investimenti. Il web riorganizza le strutture esistenti dei media abbattenndo gli antichi confini che esistevano tra giornali, televisione, radio etc.
    3."Internet è la nostra società e la nostra società è internet"  Wikipedia, YouTube e i social network sono diventati una parte della vita quotidiana per la maggioranza delle persone nel mondo occidentale. I mezzi di comunicazione, se intendono sopravvivere alla rivoluzione tecnologica contemporanea, devono capire i legittimi interessi dei nuovi utenti e abbracciare le loro forme di comunicazione.
    4. "La libertà di internet è inviolabile" Il giornalismo del XXI secolo che comunica digitalmente deve adattarsi all'architettura aperta di Internet. Non è ammissibile che si limiti questa libertà in nome di interessi particolari commerciali o politici, spesso presentati come interessi generali. Bloccare parzialmente l'accesso a internet mette a repentaglio il libero flusso delle informazioni e il diritto fondamentale di informarsi.
    5. "Internet è la vittoria dell'informazione" Per la prima volta grazie a Internet l'utente può scegliere realmente come informarsi e attraverso i motori di ricerca attingere a un patrimonio d'informazione immenso.
    6. "I cambiamenti apportati da Internet migliorano il giornalismo" Grazie a internet il giornalismo può svolgere un'azione socio-educativa completamente nuova. Ciò significa presentare notizie in continuo cambiamento attraverso un processo inarrestabile. Chi vuol praticare il giornalismo deve essere stimolato da un nuovo idealismo e capire che le risorse offerte da internet sono un incredibile stimolo a migliorare.
    7. "La rete richiede collegamenti" La rete è fatta di collegamenti. Chi non li usa si autoesclude dal dibattito sociale e ciò vale anche per i siti web dei tradizionali mezzi di comunicazione.
    8. "Linkare premia, citare abbellisce" Chi fa giornalismo online deve offrire all'utente un prodotto sempre più completo. Linkare le fonti e citarle permette di conoscere direttamente e più ampiamente i temi di cui si dibatte.
    9. "Internet è la nuova sede per il discorso politico" Il giornalismo del XXI secolo deve fare in modo che il dibattito politico si trasferisca sempre di più sulla rete così il pubblico potrà partecipare direttamente ai discorsi politici e dire la sua.
    10. "Oggi libertà di stampa significa libertà d'opinione"  I giornalisti non devono temere che la rete possa sminuire il loro compito di selezionare le notizie e informare. La vera dicotomia che invece internet realizza è quella tra il buon e cattivo giornalismo.
    11. "Sempre di più: le informazioni non sono mai troppe" Sin dall'antichità l'umanità ha capito che più informazioni si hanno più è grande la libertà. Internet è il mezzo che può più di tutti può allargare la nostra libertà.
    12. "La tradizione non è un modello di business" Come dimostra già la realtà odierna è possibile fare buon giornalismo su internet e guadagnare denaro. Non bisogna ignorare lo sviluppo tecnologico solo perché secondo alcuni distruggerà le aziende giornalistiche, ma bisogna avere il coraggio di investire e ampliare la piattaforma multimediale.
    13. “Il diritto d'autore diventa un dovere civico su Internet” La rete deve rispettare il diritto d'autore, ma anche il sistema del copyright deve adattarsi ai nuovi modelli di distribuzione e non chiudersi nei meccanismi di approvvigionamento del passato.
    14. "Internet ha molte valute" Il modo più tradizionale di finanziare i giornali online è attraverso la pubblicità. Altri modi per finanziare i prodotti giornalistici devono esseri testati.
    15. “Cio' che rimane sulla rete resta sulla rete” Il giornalismo del XXI secolo non è più qualcosa di transitorio. Grazie alla rete tutto rimane nella memoria degli archivi e dei motori di ricerca e ciò fa in modo che testi, suoni e immagini siano recuperabili e rappresentino fonti di storia contemporanea. Ciò stimola a sviluppare un livello qualitativo sempre migliore.
    16. "La qualità resta la più importante delle qualità" Le richieste degli utenti sono sempre maggiori. Perché un utente resti fedele ad un particolare giornale online, quest'ultimo deve garantire qualità e soddisfare le richieste del lettore senza rinunciare ai propri principi.
    17. "Tutto per tutti" Internet ha dimostrato che l'utente giornalistico del XXI secolo è esigente e nel caso di un dubbio su un articolo è pronto a studiare la fonte per essere maggiormente informato. I giornalisti del XXI secolo che il lettore cerca non sono quelli che offrono solo risposte, ma quelli che sono disposti a comunicare e a indagare.


    Non è il mondo che vogliamo


    Versione originale in inglese dei 17 punti del Manifesto del Web Journalism:

    1. The Internet is different.

    It produces different public spheres, different terms of trade and different cultural skills. The media must adapt their work methods to today’s technological reality instead of ignoring or challenging it.  It is their duty to develop the best possible form of journalism based on the available technology. This includes new journalistic products and methods.

    2. The Internet is a pocket-sized media empire.

    The web rearranges existing media structures by transcending their former boundaries and oligopolies. The publication and dissemination of media contents are no longer tied to heavy investments. Journalism’s self-conception is—fortunately—being cured of its gatekeeping function. All that remains is the journalistic quality through which journalism distinguishes itself from mere publication.

    3. The Internet is our society is the Internet.

    Web-based platforms like social networks, Wikipedia or YouTube have become a part of everyday life for the majority of people in the western world. They are as accessible as the telephone or television. If media companies want to continue to exist, they must understand the lifeworld of today’s users and embrace their forms of communication. This includes basic forms of social communication: listening and responding, also known as dialog.

    4. The freedom of the Internet is inviolable.

    The Internet’s open architecture constitutes the basic IT law of a society which communicates digitally and, consequently, of journalism. It may not be modified for the sake of protecting the special commercial or political interests often hidden behind the pretense of public interest. Regardless of how it is done, blocking access to the Internet endangers the free flow of information and corrupts our fundamental right to a self-determined level of information.

    5. The Internet is the victory of information.

    Due to inadequate technology, media companies, research centers, public institutions and other organizations compiled and classified the world’s information up to now. Today every citizen can set up her own personal news filter while search engines tap into wealths of information of a magnitude never before known. Individuals can now inform themselves better than ever.

    6. The Internet changes improves journalism.

    Through the Internet, journalism can fulfill its social-educational role in a new way. This includes presenting information as an ever-changing, continual process; the forfeiture of print media’s inalterability is a benefit. Those who want to survive in this new world of information need a new idealism, new journalistic ideas and a sense of pleasure in exploiting this new potential.

    7. The net requires networking.

    Links are connections. We know each other through links. Those who do not use them exclude themselves from social discourse. This also holds for the websites of traditional media companies.

    8. Links reward, citations adorn.

    Search engines and aggregators facilitate quality journalism: they boost the findability of outstanding content over a long-term basis and are thus an integral part of the new, networked public sphere. References through links and citations—especially including those made without any consent or even remuneration of the originator—make the very culture of networked social discourse possible in the first place. They are by all means worthy of protection.

    9. The Internet is the new venue for political discourse.

    Democracy thrives on participation and freedom of information. Transferring the political discussion from traditional media to the Internet and expanding on this discussion by involving the active participation of the public is one of journalism’s new tasks.

    10. Today’s freedom of the press means freedom of opinion.

    Article 5 of the German Constitution does not comprise protective rights for professions or technically traditional business models. The Internet overrides the technological boundaries between the amateur and professional. This is why the privilege of freedom of the press must hold for anyone who can contribute to the fulfillment of journalistic duties. Qualitatively speaking, no differentiation should be made between paid and unpaid journalism, but rather, between good and poor journalism.

    11. More is more – there is no such thing as too much information.

    Once upon a time, institutions such as the church prioritized power over personal awareness and warned of an unsifted flood of information when the letterpress was invented. On the other hand were the pamphleteers, encyclopaedists and journalists who proved that more information leads to more freedom, both for the individual as well as society as a whole. To this day, nothing has changed in this respect.

    12. Tradition is not a business model.

    Money can be made on the Internet with journalistic content. There are many examples of this today already. Yet because the Internet is fiercely competitive, business models have to be adapted to the structure of the net. No one should try to abscond from this essential adaptation through policy-making geared to preserving the status quo. Journalism needs open competition for the best refinancing solutions on the net, along with the courage to invest in the multifaceted implementation of these solutions.

    13. Copyright becomes a civic duty on the Internet.

    Copyright is a cornerstone of information organization on the Internet. Originators’ rights to decide on the type and scope of dissemination of their contents are also valid on the net. At the same time, copyright may not be abused as a lever to safeguard obsolete supply mechanisms and shut out new distribution models or license schemes. Ownership entails obligations.

    14. The Internet has many currencies.

    Journalistic online services financed through adverts offer content in exchange for a pull effect. A reader’s, viewer’s or listener’s time is valuable. In the industry of journalism, this correlation has always been one of the fundamental tenets of financing. Other forms of refinancing which are journalistically justifiable need to be forged and tested.

    15. What’s on the net stays on the net.

    The Internet is lifting journalism to a new qualitative level. Online, text, sound and images no longer have to be transient. They remain retrievable, thus building an archive of contemporary history. Journalism must take the development of information, its interpretation and errors into account, i.e., it must admit its mistakes and correct them in a transparent manner.

    16. Quality remains the most important quality.

    The Internet debunks homogenous bulk goods. Only those who are outstanding, credible and exceptional will gain a steady following in the long run. Users’ demands have increased. Journalism must fulfill them and abide by its own frequently formulated principles.

    17. All for all.

    The web constitutes an infrastructure for social exchange superior to that of 20th century mass media: When in doubt, the “generation Wikipedia” is capable of appraising the credibility of a source, tracking news back to its original source, researching it, checking it and assessing it—alone or as part of a group effort. Journalists who snub this and are unwilling to respect these skills are not taken seriously by these Internet users. Rightly so. The Internet makes it possible to communicate directly with those once known as recipients—readers, listeners and viewers—and to take advantage of their knowledge. Not the journalists who know it all are in demand, but those who communicate and investigate.
    Internet, 07.09.2009
    Translated from the German by Jenna L. Brinning





    giovedì 25 dicembre 2014

    Gino Masecchia neapolitan artist of the caps; my friend.



     L'impero dei tappi 
    Opera di Luigi Masecchia

    In giro per la città con l'amico pazzoide Gino Masecchia, neapolitan artist of the caps, E' difficile starci dietro, difatti appena tornato da Barcellona ci siamo incontrati fugacemente per discutere di futuri progetti; in verità non é facile stare dietro neanche a me per cui siamo "fasati" direbbe l'amico riflessivo Stefano che era presente all'incontro. Gino era insieme alla sua splendida e inseparabile compagna Roberta che forse lo ispirerà per qualche opera (sarebbe una bella gratificazione) o comunque collaborerà per lo sviluppo della sua attività in Spagna. Ci siamo chiesti se si può fare arte con dei volgari tappi e abbiamo scoperto che questi sono tutt'altro che volgari ma che, volendo, possono assurgere alla dignità di pigmenti artificiali per opere partorite dalla mente naturale di un uomo che raccoglie, conta, seleziona, valorizza ed espone tappi di tutti i colori e dimensioni. Genialità e arte, stress e concentrazione, colore e comunicazione questa la ricetta del successo di Gino artista di strada, di laboratorio e di museo. Riciclare significa anche sviluppare delle idee, fare arte, comunicare e soprattutto dare colore a realtà urbane che altrimenti sarebbero irrimediabilmente compromesse. Gino Masecchia ha compreso tutto ciò e ha deciso di accettare la sfida portando in giro per l'Italia e in giro per l'Europa un messaggio colorato, positivo, intelligente e straordinariamente creativo. 
    (Antonio Tortora) 

    Antonio Tortora con Gino Masecchia il Re dei Tappi a Montesanto





















                                 
    Opera di Luigi Masecchia
    Opera di Luigi Masecchia
    Nel Bar a caccia di tappi

    Qui l'impero dei tappi: 
    http://www.tappost.it/?page_id=22 

    Info:
    Inizio progetto
     luglio 2013
    Raccolti oltre 1.240.000 di tappi (circa) al 25 dicenbre 2014
    Media mensile 65.000/110.000 tappi
    Utilizzati oltre 120.000 tappiMedia percentuale d'utilizzo: 10 per cento dei tappi raccolti




                                                                             




    Napoli per le Scale

    Le calate, discese, gradini, gradoni, rampe, scale di Napoli sono degli antichi percorsi pedonali che congiungono le colline con il centro e la costa. I più antichi percorsi gradinati della città, il più delle volte, sono nati grazie all'interramento di torrenti o sorgenti, che un tempo scorrevano appena fuori la città.

    Queste strade furono innalzate anche per collegare facilmente le varie emergenze monumentali, soprattutto religiose: monasteri, ritiri, chiese, ecc. o soprattutto, per esigenze urbanistiche. Risultano tutt'oggi oggetto di studio e sono considerati dei veri e propri capolavori urbanistici.

    Un escursus che copre le principali vie ascensionali della città partendo dalla pedamentina del vomero da S. Martino - via Sanfelice, passando per la zona di piazza Dante (salita tarsia, la stazione della metropolitana linea 1 di Salvator Rosa e vico lungo pontecorvo), al Calascione (zona Posillipo, dove si può ammirare il parco faunistico-archeologico la Gaiola), intrattendendosi verso la zona della rupe tufacea di Pizzofalcone (il più antico insediamento, di cui si abbia memoria, della città di Napoli e l'abbandonata Villa Lamont-Joung) e passando per il pallonetto di S. Lucia e per i quartieri spagnoli  in un escursus emozionale alla ricerca dei simboli della città di Neapolis Partenope. Un modo diverso di festeggiare il natale, da una insolita prospettiva.
    Non é mera questione di meditazione, buddismo, zen, esicasmo o quant'altro; bensì é questione di interrogativi supremi che cercano risposte. Noi crediamo che nella poesia "Gradini" dello scrittore tedesco Hermann Hesse, Premio Nobel per la letteratura nel 1946, ci siano risposte precise a quesiti cui non ci si può esimere dal ricercare risposte. Il punto interrogativo del dubbio, dell'incertezza e della titubanza caratterizza la nostra vita inesorabilmente e ad un certo momento dobbiamo fermarci, tirare un respiro, impedire che l'ansia soverchi noi e tutto il nostro essere, dobbiamo aggiustarci gli occhiali sul naso e dobbiamo guardarci indietro per esaminare la nostra esperienza, dobbiamo guardare i nostri piedi per capire fin dove siamo arrivati, dobbiamo guardarci intorno per scoprire in quali territori ci siamo addentrati ed infine, cosa difficile dopo una lunga e meditata pausa, dobbiamo guardare avanti dimenticando per un secondo tutto quanto ci circonda, e riprendere finalmente il cammino. Si tratta di una scala antropologica che parte dalla materia corporea e dal corpo vivente, attraversa l'affettività, l'intelligenza e la libertà, sosta per qualche tempo nell'autocoscienza; infine raggiunge la supercoscienza. Una vera e propria piramide ascensionale che conduce l'uomo a sviluppi imprevedibili e unici per ogni essere vivente.

    Gradini (Hermann Hesse)

    Come ogni fior languisce e
    giovinezza cede a vecchiaia,
    anche la vita in tutti i gradi suoi fiorisce,
    insieme ad ogni senno e virtù, né può durare eterna.
    Quando la vita chiama, il cuore
    sia pronto a partire ed a ricominciare,
    per offrirsi sereno e valoroso ad altri, nuovi vincoli e legami.
    Ogni inizio contiene una magia
    che ci protegge e a vivere ci aiuta.
    Dobbiamo attraversare spazi e spazi,
    senza fermare in alcun d'essi il piede,
    lo spirto universal non vuol legarci,
    ma su di grado in grado sollevarci.
    Appena ci avvezziamo ad una sede
    rischiamo d'infiacchire nell'ignavia:
    sol chi e' disposto a muoversi e partire
    vince la consuetudine inceppante.
    Forse il momento stesso della morte
    ci farà andare incontro a nuovi spazi:
    della vita il richiamo non ha fine....
    Su, cuore mio, congedati e guarisci...

    martedì 23 dicembre 2014

    Recensione RAI

    Recensione del Blog Guru Meditation andata in onda sulla RAI il 22 dicembre 2014 nel corso del programma "Buongiorno Regione" delle ore 7.30 e nel corso del TGR Campania delle ore 14.00







    Si tratta di una gratificazione morale dedicata all'autore materiale delle foto che ha dedicato un tempo infinito alla peregrinazione urbana, non solo nel centro storico bensì anche in altri quartieri più periferici ma non per questo meno importanti, come il Vomero e Posillipo, al fine di rintracciare scorci particolari, rare prospettive, incantevoli panoramiche; non solo ma anche inedite e sconosciute tracce antropologiche in siti impregnati di cultura e storia.
    Tuttavia ciò non sarebbe mai stato possibile senza la collaborazione e l'amicizia del consulente informatico Marco Manna, titolare del laboratorio informatico Evolution Lab e di Enrico Aiello silenzioso ma efficiente "computer programmer analyst". Si tratta di un team che opera seguendo una traccia emozionale profonda che parte dalla passione per Partenope per convergere sull'approfondimento di una conoscenza che difficilmente potrà esaurirsi in tempi brevi data la vastità di un patrimonio monumentale, archeologico e artistico che non ha eguali in nessuna parte del mondo.
    L'obiettivo dichiarato é quello di "sibi indulgere" di nepotiana memoria perché conoscere Neapolis, sia quella alla luce che la sotterranea, sia quella lungo la costa che la collinare, sia il centro storico con i suoi cardini e decumani che le zone più periferiche, conferisce un senso alle vestigia di una storia plurimillenaria e parimenti ci consente di trattarci bene anzi benissimo. E' una questione di sensibilità d'animo e di appartenenza al territorio. 
    Tutto questo ci rincuora soprattutto in un momento storico come quello attuale dove tutto appare in crisi e la stessa nostra amata città, capitale incontrastata di tutto il Mezzogiorno d'Italia pre e post-unitaria, ci appare sempre più Palepoli, invecchiata e stanca. 
    Ma è solo apparenza e le sorprese che essa ci riserva a ogni nostra escursione fotografica sono innumerevoli e stupefacenti come la genuinità e l'accoglienza, impensabile ad altre latitudini e longitudini del nostro Paese, con cui molte persone del tutto sconosciute, ci hanno consentito di entrare nelle loro case e nelle loro proprietà per fare scatti fotografici; esse evidentemente si sono accorte dell'amore che nutriamo per un suolo che non rappresenta soltanto un mero luogo di nascita per tutti noi ma anche, e soprattutto, il cuore palpitante dell'intera Campania Felix.
    (Antonio Tortora)

    lunedì 22 dicembre 2014

    Reperti litici e ricostruzioni di manufatti neolitici raccolti da Antonio Tortora ed esposti al Museo di Antropologia

    Reperti litici e ricostruzioni di manufatti neolitici realizzati a scopo didattico, ceduti dalla collezione privata di Antonio Tortora, catalogati ed esposti presso il Museo di Antropologia di Napoli in via Mezzocannone 8
    Si tratta prevalentemente di noduli e schegge di selce grigia provenienti da selcifere del Gargano (Fg), ovvero da un esteso territorio fra Vieste e Peschici ma anche più a sud, laddove tali miniere erano già rinomate in epoca neolitica. La Defensola era la più famosa d'Europa ma anche i siti minerari di San Marco e Arciprete presso Vieste, di Cruci vicino Peschici e di località Principe nelle vicinanze di Mattinata erano molto sfruttati dagli esperti escavatori neolitici.
    Anni fa la ricerca faticosa, sotto il bollente sole garganico, ma appassionante per l'intuito con cui é stata condotta, ha dato i suoi frutti e pezzi naturali davvero belli e oggetti costruiti da abili mani ancestrali sono conservati per essere studiati dagli esperti, per essere ammirati dai visitatori occasionali. 
    Chi si interessa di tutte le manifestazioni dell'evoluzione umana, compreso il gusto per la lettura, la ricerca e l'esotico, può essere definito un antropologo amateur; pertanto pur da semplice autodidatta, ovvero senza preparazione accademica e formale ma seguendo semplicemente l'istinto, si può dare un modesto contributo a quella passione collettiva che ha consentito all'uomo di spiegare l'evoluzione umana. 
    La nostra affermazione viene corroborata, ad esempio, dall'esploratore J.P.Mills, che era un profondo conoscitore della popolazione Nagas del nord-est dell'India, in "Anthropology as a hobby" pubblicato nel lontano 1952 ma attualissimo tenuto conto del nostro particolare punto di vista. Viene inoltre avvalorata da E.B.Tylor che insegnò da una cattedra di Antropologia pur essendo un semplice operaio fonditore nell'azienda paterna; da H.Schlieman che era un semplice commerciante, senza alcuna formazione accademica, cui però si deve tutto quanto si sa di storia anatolica; da Pitt Rivers il cui ritratto dovrebbe campeggiare in ogni museo che si rispetti visto che diventò il padre della scienza museale pur essendo un semplice militare di carriera; di E.Dubois che scoprì l'Homo Erectus ed era un semplice medico. Insomma vogliamo dire che la curiosità é alla base di tutte le forme di conoscenza e il curioso é, per definizione, un "antropologo honoris causa". 
    Quando qualche nostro concittadino cerca qualcosa e i tanti perchè non sempre ben chiari, indipendentemente dal risultato della ricerca, scopre di avere la vocazione dell'Homo Partenopeus che costantemente pensa: "humani nihil a me alienum puto" e non dimentichiamo mai che proprio a Napoli, fra il cinquecento e l'ottocento, prosperarono circa 220 Accademie sorte spontaneamente e ad opera di grandi ingegni, e fra queste, nella prima metà del seicento, l'Accademia dei Curiosi. Essa è annoverata solo al cinquantaseiesimo posto in un elenco proposto da Paolo Izzo nel volume "Le uova dell'Angelo", per Stamperia del Valentino, dove si parla guarda caso proprio delle Accademie e degli Accademici a Napoli dalle origini al secolo dei Lumi.

    Per saperne un pò di più sulla selce garganica:
    https://www.academia.edu/5211573/MIniere_del_Gargano_Arch._Viva


    "La Giullare" Maria Balzano Barbò e la Narrative Jewelry

    Maria Balzano Barbò, che si autodefinisce "La Giullare", che costruisce "Artefatti da portare", che ha inventato la "Narrative Jewelry". I suoi Amuleti Narrativi possono essere ammirati, in microesposizioni domenicali e itineranti all'aperto, in Piazza San Domenico Maggiore. Vedere per capire; acquistare per regalare a sè stessi o ad altri. Ne vale la pena".



    Antonio Tortora antropologo amateur con Maria Balzano Barbò artista e "filosofa" partenopea

    Link di riferimento: http://amuletinarrativi.tumblr.com/

    Restauro Ipogeo della Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco. Un'avventura antropologica.

    Articolo apparso su Napoli.com a firma di Antonio Tortora il 9 novembre 2012


    Sono terminati i lavori di restauro dei due ipogei e del corridoio della Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco che figura al quarantanovesimo posto nella lista delle Chiese presenti nel quartiere San Lorenzo in posizione strategica fra i 203 luoghi di culto del centro storico, distribuiti nel cuore della Napoli greco-romana e classificati dall’Unesco. 
    In via Tribunali 39 è stato svolto un lungo e meticoloso lavoro che ha richiesto l’impegno continuativo dell’antropologo fisico e paleopatogo della Federico II° Pier Paolo Petrone e del giornalista appassionato di antropologia culturale Antonio Tortora.
    Classificazione reperti ossei
    Viene in mente ciò che il Cardinale Michele Giordano scrisse in un pregevole volume pubblicato negli anni ‘90: “Il centro antico di ogni città custodisce preziose memorie storiche sulle origini, l’arte, le tradizioni di un popolo. 
    Migliaia di reperti ossei
    Ciò vale in maniera particolare con Napoli, che può vantare un patrimonio culturale e morale di straordinaria entità; un patrimonio che si snoda spesso attraverso itinerari legati alla fede, come ben sa chiunque abbia ammirato, almeno una volta le chiese, i campanili, le cappelle che adornano le più caratteristiche strade del cuore della città. 
    Queste ricchezze da tempo corrono il rischio di essere abbandonate e di scomparire dall’orizzonte della cultura cittadina, portando con sé nell’oblio frammenti insostituibili della nostra storia”.

    Ebbene a dispetto del rischio paventato dal Cardinale e del degrado cui la città pare essere condannata senza appello da una classe di amministratori inetta e incompetente, alcuni soggetti sociali rispondono con sensibilità, competenza e determinazione.  
    Ci riferiamo ad una realtà forse unica al mondo ovvero al Complesso Museale di Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco di proprietà dell’Opera Pia Purgatorio ad Arco Onlus, costituito nel 2009 e gestito, in regime di convenzione, dall’Associazione Progetto Museo. 
    Del Complesso fanno parte la chiesa, l’ipogeo, il museo dell’opera e l’archivio storico ma di tutto questo abbiamo già scritto in precedenza http://www.napoli.com/viewarticolo.php?articolo=36945 . 
    Altare Ipogeo A
    Piuttosto ci piace notare che in occasione della presentazione del Progetto “Purgatorio ad Arco un arco sul Territorio” sostenuto dalla Fondazione “Con il Sud” e in partnership con le associazioni Progetto Museo, Amici degli archivi, La Bottega del Liocorno, Marina Commedia e l’Istituto formazione musicoterapia, sono stati registrati interventi di Donato d’Acunto presidente dell’Opera Pia, Salvatore Illiano coordinatore del progetto, Francesca Amirante direttore del Complesso museale, Giulio Raimondi direttore scientifico dei lavori di riordino dell’archivio storico dell’Opera Pia e Mimmo Borrelli drammaturgo. 
    In questa sede si è parlato delle numerose iniziative di inclusione sociale previste dal Progetto ma anche e soprattutto della capillare opera di riordino e pulizia della Terrasanta, delle edicole, delle ossa e dei teschi che, stando a fonti della Soprintendenza partenopea, costituisce la prima occasione di un lavoro sistematico condotto su un patrimonio etnoantropologico.
    Ingresso a doppia rampa dell'Ipogeo A visto dall'altare
    Un lavoro appassionante che ha consentito a Pier Paolo Petrone e ad Antonio Tortora di approfondire, da un punto di vista davvero singolare, quel culto dei morti in generale e delle anime del Purgatorio in particolare il cui popolare contenuto religioso pare essere stato rimosso quasi totalmente dalla quotidianità.
    Certo sono lontani i tempi in cui il dialogo tra i fedeli napoletani e la morte si svolgeva in catacombe, grotte, ipogei, cripte, fosse comuni, ossari e chiese e sono altrettanto lontani i tempi in cui il pranzo funebre offerto ai parenti del defunto, “o cunzuolo”, e la preghiera per i morti sconosciuti, “o refrisco”, costituivano le tappe obbligate di un percorso che spesso conduceva all’adozione d’ 'a capa 'e morte. 
    Si può giungere all’adozione di teschi comuni come avviene per Santa Croce e Purgatorio, per il sottosuolo di Piazza Mercato dove furono gettati gli appestati durante la peste del ‘600 e per Sant’Agostino alla Zecca oppure ci si può orientare per l’adozione di teschi illustri fra cui il “Cavaliere” a Santa Maria della Sanità, il “Signore abbandonato” e “Santa Candida” quasi sempre identificata con l’umilissima figura della lavandaia a San Pietro ad Aram; il “Capitano”, la “testa di fratello Pasquale”, il “monaco miracoloso”, “Concetta” e la “testa che suda” alle Fontanelle; il “dottor Alfonso” e la “testa del cieco” a San Pietro ad Aram attualmente in via di riscoperta.
    Sta di fatto che le edicole votive disseminate lungo i vicoli di Napoli, quasi a indicare un percorso apparentemente labirintico, si trasformano in veri e propri “presepi del Purgatorio” caratterizzati da scenari apocalittici dove man mano che ci si avvicina alla celebre chiesa il cui perimetro è controllato dai tre teschi di bronzo posizionati su rispettive colonne di pietra, si ha la sensazione di valicare un limite invisibile tra il mondo dei vivi e quello dei morti. 
    Terra Santa 
    Ma qui nell’ipogeo di Purgatorio ad Arco, c’è la famosa e ancora veneratissima “Lucia” eletta vox populi “principessa” indipendentemente dalla storia che la ritrae, con ridondanza di immagini, tragicamente morta ora in un naufragio prima del matrimonio ora durante un bombardamento mentre cercava scampo con i fratelli in quell’ipogeo. 
    Ed è questa particolare edicola votiva che ha fatto comprendere ai due studiosi quanto “Lucia” sia ancora presente nell’immaginario collettivo dei fedeli più anziani che ancora ricordano i riti che, senza alcun timore ma con grande pietà, venivano officiati nell’ipogeo. 
    Dalla scelta del teschio attraverso un cerimoniale solenne fatto di intense preghiere, tattili e rispettosi sfioramenti, deposizione di fiori, accensione di lumini, richiesta di grazie e celebrazione di messe si passa alla accurata pulizia del teschio prescelto che veniva riposto su un fazzoletto rigorosamente bianco, talvolta adagiato su un cuscino ricamato e ornato di merletti e comunque ricoperto di rosari. 
    Ma ha fatto anche comprendere che un vero e proprio uploading di una radicata tradizione popolare stia avvenendo nella mente e nel cuore di giovani fedeli che, forse inconsciamente, perpetuano il rito dei loro padri. 
    Riggiole pregiate con residui di colorazione rituale
    Il contenuto di tutte le nicchie singole presenti nei due ipogei e nel corridoio di collegamento, della grande edicola a parete realizzata in prossimità della Terra Santa e degli scarabattoli appoggiati sull’altare dell’ipogeo B ed infine su alcune pareti dell’ipogeo A, è stato fotografato, rimosso, pulito, catalogato e stoccato in circa una settantina di grossi contenitori di polistirene, in alcune centinaia di vassoi sempre in materiale espanso e, per gli oggetti più piccoli e minuteria varia, in bustine di plastica con chiusura a cerniera, al fine di consentire il restauro delle nicchie rispettandone la struttura originale e conservando i reperti all’asciutto. 
    Dopo le operazioni di svuotamento e durante lo studio delle nicchie sono state fatte scoperte interessanti; infatti “è stato riportato alla luce e ripristinato l’antico assetto con foderatura delle nicchie con maioliche antiche, caratterizzate da diverse fasi di pitturazione della muratura in blu e poi in rosso porpora intenso – osserva Pier Paolo Petrone – e successivamente, anche delle stesse maioliche, adottando colori diversi a seconda dei casi".
    La pulizia e la classificazione hanno riguardato, ovviamente, anche la grande quantità di oggetti di culto e devozione fra cui ex voto d’argento, immagini sacre, rosari in tutte le fogge, monetine vecchie e contemporanee, medagliette, fiori in plastica, vasi, ceri, candele e, soprattutto nel caso di “Lucia”, statuette, oggetti personali anche preziosi, fiocchi e nastri a ricordo di bambini nati con parti impossibili o rischiosi e finanche un sacco di iuta contenente un abito da sposa con velo e guanti di seta e raso aperto, non senza emozione e per la prima volta dopo chissà quanti anni, dal prof. Petrone, da Antonio Tortora e dalla responsabile dell’Opera Pia Daniela d’Acunto
    Lavoro antropologico sugli scaravattoli lignei altare Ipogeo B
    Innumerevoli foglietti riportanti preghiere, dediche, richieste e messaggi di grazia ricevuta sono stati oggetto di una vera e propria campagna di asciugatura all’aperto e parte di questi sono stati opportunamente esposti in vetrinette di plexiglas posizionate nell’ipogeo “A” a cura di Michele Iodice che ha anche curato l’allestimento delle ossa e dei crani contenuti nell’edicola di “Lucia” con una temporanea performance espositiva di grande suggestione nel primo ipogeo.
    Descrizione delle nicchie maiolicate
    Nel Purgatorio ci sono due tipi di peccatori: coloro che devono scontare una pena leggera inferiore a cento anni con fiamme relativamente sopportabili e coloro che devono scontare una pena pesante e dunque plurisecolare con fiamme spaventose che vengono alimentate direttamente dall’inferno. 
    E forse proprio la Chiesa di Purgatorio ad Arco, che tenta di perpetuare il culto in un mondo che fino ad ora ha cercato di ridurre al silenzio spazi sacri, miti e archetipi, potrebbe ricominciare a fungere da anello di congiunzione tra la vita e la morte ovvero con “colei che – come scrive Roberto De Simone in un’opera dedicata alla tradizioni popolari in Campania – sta in alto su una montagna o giù in una valle, o nel mare, o sotto terra, comunque sempre al di là di chi vorrebbe raggiungerla pur avendone paura, al di là si passano ponti, si traversano i fiumi, si varca il mare in un eterno viaggio di andata e ritorno, come il moto dell’onda sulla spiaggia”.

    Fonte: http://www.napoli.com/viewarticolo.php?articolo=39004&pagenum=0