di Antonio Tortora
Tratto da: http://www.ilpost.it/ |
“Il terremoto è un naufragio in terra. Le case diventano imbarcazioni
scosse tra le onde e sbattute sugli scogli. Si perde tutto, si conserva
la vita, lacera, attonita che conta gli scomparsi sul fondo delle
macerie.
Si abita un suolo chiamato per errore terraferma. È terra scossa da
singhiozzi abissali. Questi di stanotte sono partiti da oltre
quattromila metri di profondità. Qualche giorno fa stavo agli antipodi,
oltre quattromila metri sopra il mare. Quel monte delle Alpi non è un
meteorite piovuto dal cielo, ma
il risultato di spinte e sollevamenti scatenati dal fondo del Mediterraneo. Forze gigantesche hanno modellato il nostro suolo con sconvolgimenti.
il risultato di spinte e sollevamenti scatenati dal fondo del Mediterraneo. Forze gigantesche hanno modellato il nostro suolo con sconvolgimenti.
Si abita una terra precaria, ogni generazione cresce ascoltando
storie di terremoti. Così, con le narrazioni, i vivi smaltiscono le
perdite. Le macerie si spostano, si abita di nuovo lentamente, ma al
loro posto restano le voci, le parole degli scaraventati all’aperto, a
tetti scoperchiati. Ricordano, ammoniscono a non insuperbirsi di nessun
possesso.
Arriva cieco di notte il terremoto e sconvolge i piccoli paesi. Ma i
mezzi di soccorso sono di stanza nei grandi centri. Fosse un’invasione,
quale generale accentrerebbe le sue forze lontano dai confini? Per il
protettor civile questo ragionamento non vale. Ogni volta deve spostare
le sue truppe con lento riflesso di reazione. Ai naufraghi nelle prime
ore serve il conforto al cuore di un qualunque segnale di pubblica
prontezza. Invece arriva prima un parente, un volontario, un
giornalista. Il terremoto è anche un’invasione, contro la quale avere
riserve piccole e pronte sparpagliate ovunque.
“Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie”. La frase di guerra
di cent’anni fa del soldato Ungaretti Giuseppe racconta il sentimento
di stare attaccati all’ albero della vita con un solo piccolo punto di
congiunzione”.
Erri De LucaTratto da: http://www.ilpost.it |
"Il terremoto è un naufragio in terra........", "Si abita un suolo per errore chiamato terraferma.......", "Si abita una terra precaria......", Arriva cieco di notte il terremoto e sconvolge i piccoli paesi......."; così declama e argomenta ERRI DE LUCA pacatamente con il cuore e con la ragione. Poche parole che ci inchiodano alle immagini, alle voci, alle lacrime, ed infine a un senso profondo di inquietudine e di sconforto. Un borgo, per quanto incantevole e ricco di storia, una città per quanto popolata e ricca di attività, una massa di uomini per quanto raziocinanti e capaci di sopravvivere a lungo, scompaiono del tutto in pochi interminabili secondi. Una potenza inaudita, schizzata improvvisamente dal centro di una terra irrequieta, dissolve e polverizza vite e case, uomini e cose, arte e storia, civiltà e progresso. Avendo da poco cominciato a leggere uno scritto pubblicato negli anni '80 dal filosofo ebreo ABRAHM JOSHUA HESCHEL non possiamo fare altro, sovrapponendoci agli eventi calamitosi di questi giorni d'agosto e alle osservazioni di DE LUCA, che porci una fatidica domanda: "Chi è l'uomo?". E' un animale capace di acquisire conoscenza come afferma in sintesi Aristotele? E' la misura di tutte le cose come lascia intuire con disarmante sicurezza Protagora? E' una macchina biologica come sostengono le più recenti teorie scientifiche? E' un capolavoro del cielo come dichiarano i mistici delle religioni monoteiste? Oppure, paradossalmente, è l'unico errore della natura per come si comporta da superuomo e per come agisce in maniera sconsiderata? E' difficile dare una risposta. Concetti, idee, curiosità e ipotesi comunque conducono tutte all'uomo che crede di essere definitivo ma si rivela provvisorio rispetto alle catastrofi, all'uomo che crede di essere docile ma si comporta in maniera rivoltosa nei confronti dell'ambiente in cui vive, all'uomo che presume di poter osare ogni cosa, anche l'inosabile, ma che è in realtà prigioniero delle sue stesse fragilità; infine all'uomo che crede di essere diverso perchè l'evoluzione dovrebbe portare al progresso mentre non fa altro che essere uguale a sè stesso con la sua innata arroganza e la sua presunzione di riuscire a dominare gli eventi imprevedibili della natura.
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