domenica 8 marzo 2015

E' VERO CI OCCUPIAMO DI NAPOLI E DI CULTURA MA NON POSSIAMO FARE FINTA CHE NULLA STIA ACCADENDO ATTORNO A NOI SOPRATTUTTO CONSIDERANDO CHE TROPPI GIOVANI OCCIDENTALI SONO TENTATI DI ABBRACCIARE LA CAUSA DELL' ISIS


Per un'antropologia della violenza terroristica dell'ISIS ovvero dello Stato Islamico al-Dawla al-Islāmiyya dell'Iraq e della Siria (abbreviato ISIS).





Per meglio capire il rischio che l'occidente sta correndo e le motivazioni  che spingono molti giovani a partire, da tutte le parti del mondo, per arruolarsi nelle fila del nascente e autoproclamato Califfato con a capo Abu Bakr al-Baghdadi, e con motto: Bāqiya wa Tatamaddad "Consolidamento ed espansione", riportiamo un recente studio elaborato da un analista esperto in psicologia e criminologia, Marco Strano, Presidente del Centro Studi per la Legalità la Sicurezza e la Giustizia (Italy) e Direttore Scientifico dell’International Forensics Consulting Team (Suisse) e dallo specialista comportamentale Mark Palermo – Presidente della Law & Behavior Foundation (The Netherlands).

I.S.I.S. FOREIGN FIGHTER: UNO STUDIO PILOTA SULLA VULNERABILITA’ ALLE TECNICHE DI RECLUTAMENTO DEI GIOVANI OCCIDENTALI.

Premessa

Milizie jihadiste


I “foreign fighter”, giovani occidentali che decidono di entrare nell’islam radicale, rappresentano una nuova e notevole risorsa per le organizzazioni terroristiche. Sono spesso individui di buon livello sociale e culturale, con notevole dimestichezza con le tecnologie informatiche (fattore oramai indispensabile per la gestione del terrorismo transnazionale) e soprattutto sono in grado di mimetizzarsi ed operare nei teatri occidentali, avendone assimilato la cultura ed essendo perfettamente in grado di muoversi con dimestichezza nelle grandi metropoli europee e statunitensi senza destare alcun sospetto. Il loro impiego è quindi possibile sia negli scenari di guerra mediorientali (Siria, Iraq ecc.) che nelle nazioni occidentali dove vengono reclutati. Convincere un giovane occidentale ad abbracciare una fede politico-religiosa dove potrebbe anche essere necessario immolarsi per la causa, non è però ragionevolmente una cosa facile utilizzando le strategie convenzionali della Jihad. Per questo motivo i gruppi jihadisti sono stati costretti a progettare e a realizzare metodologie di reclutamento diverse rispetto a quelle utilizzate nel terreno di coltura tradizionale per tali gruppi, ovvero le aree di disagio sociale delle nazioni mediorientali. Il presente articolo rappresenta un primo elemento divulgativo frutto di un progetto di ricerca attivato all’inizio del 2014 dalla Fondazione olandese Law&Behavior con la collaborazione di altri istituti di ricerca e che vede impegnata una equipe internazionale interdisciplinare.


Telematic Journal of Criminology
rivista fondata nel 1999 e diretta da Marco Strano


Due tipologie di foreign fighter
Il fascino della «guerra santa», sta conquistando numerosi giovani europei, statunitensi e australiani, alcuni già di religione musulmana e tipicamente di seconda generazione, altri che invece si convertono all’islam contemporaneamente alla scelta di andare a combattere in Siria e in Iraq a fianco dell’ISIS. Tra questi ultimi, anche alcuni italiani sono stati affascinati da questo percorso. Il loro numero reale è ancora in realtà incerto ma le prime stime parlano di svariate decine di individui (forse 50-70 soggetti). I giovani che decidono di lasciare l’occidente e di arruolarsi tra le fila dell’esercito dell’ISIS appartengono quindi sostanzialmente a due macro-categorie: la prima composta dai figli degli immigrati di religione musulmana che sono emigrati in occidente da anni e che risiedono stabilmente in varie nazioni europee, in USA e in Australia. La seconda categoria è quella composta invece da individui occidentali non di fede musulmana o tendenzialmente atei che non hanno nessuna “contaminazione” di religione islamica e che contestualmente al loro arruolamento si convertono alla fede musulmana. La seconda categoria è ovviamente maggiormente interessante perché in linea teorica necessita da parte dei reclutatori di un intervento di “avvicinamento” e di successivo convincimento più complesso e articolato.

Gli interrogativi che si diffondono nella società occidentale riguardano la possibilità di individuare in anticipo i gruppi o i singoli individui occidentali, cattolici e non, apparentemente integrati, che più di altri possano subire il fascino della Jihad. Su questa tipologia di giovani combattenti e sulla loro vulnerabilità al reclutamento si focalizza l’interesse scientifico del presente lavoro che anticipa una ricerca empirica quantitativa su un campione di giovani occidentali i cui risultati sono in corso di pubblicazione dagli autori del presente saggio.




L’impatto dell’ISIS sulla cultura occidentale
Il fenomeno dei giovani occidentali affascinati dall’estremismo islamico sta mettendo in allarme le strutture di intelligence statunitensi ed europee che si interrogano sul fatto se tale contesto possa essere o meno un fenomeno passeggero o se invece si possa trattare di una situazione in evoluzione. Attualmente la percentuale dei soggetti occidentali che hanno ceduto al fascino dell’islam radicale sembra essere ancora esigua ma i fenomeni sociali e psicosociali possono trovare inneschi e moltiplicazioni imprevedibili e devastanti. Il Ministero dell’interno finlandese in un recente report denominato “situation overview on violent extremism in Finland” è stato uno dei primi organismi istituzionali europei che ha tentato di delineare il profilo biografico e motivazionale dei cittadini finlandesi che si sono recati in Siria e in Iraq volontariamente per combattere a fianco dell’ISIS. Il report include anche una stima del numero (ancora contenuto) di cittadini finlandesi e dei residenti in quel Paese che sono partiti per combattere: 31 con cittadinanza finlandese e 17 stranieri residenti (con permesso di soggiorno). Provengono in particolare dalle grandi città. Il numero (in linea con altri Paesi) secondo le autorità non è da sottovalutare considerando il modesto numero di abitanti di quella nazione rispetto ad altri Paesi europei.





Un possibile profilo del foreign fighter
Il tentativo di delineare un profilo di questi giovani volontari che hanno abbracciato la realtà più radicale e violenta dell’Islam non sembra essere ancora una cosa agevole, al di là delle semplici valutazioni biografiche, di sesso, di scolarizzazione e di provenienza geografica. Cominciano a circolare report e studi prevalentemente di origine statunitense e britannica e la sensazione iniziale è che il fascino della fede jihadista trovi terreno fertile soprattutto in giovani maschi occidentali in piena crisi di valori e di ideali, probabilmente con un quadro personologico specifico ma ancora da definire attraverso criteri scientifici. Uno studio orizzontale attendibile potrebbe essere svolto primariamente in ambito istituzionale attraverso una analisi approfondita (psico-criminologica) su eventuali individui “di rientro” dalla guerra santa. In tal senso appare auspicabile una stretta collaborazione tra settori investigativi (antiterrorismo) e la comunità internazionale degli esperti di psicologia e psicopatologia, al fine di riuscire a sondare dinamiche più profonde rispetto a quelle convenzionali. Il range di età dei foreign fighters sembra comunque essere compreso tra i 18 e i 50 anni di età con una maggioranza della classe di età di 20/30 anni. Gli italiani vengono in prevalenza dalle città del Nord (Brescia, Torino, Ravenna, Padova, Bologna) e una parte minore dal centro-sud (Roma e Napoli). Molti dei combattenti volontari si sono convertiti all’Islam velocemente e poco prima della loro partenza per le aree di guerra e questo ha inertizzato le normali strategie predittive di intelligence attivate dai Servizi occidentali. Una certa percentuale è rappresentata dai figli di immigrati di seconda generazione, spesso con i genitori abbastanza integrati e moderati. La presenza di donne in questa dinamica risulta essere estremamente contenuta e nei pochi casi di partenze femminili si tratta in prevalenza di soggetti che accompagnano il loro compagno fino alla zona di operazioni per supportarlo logisticamente e affettivamente sul posto. Ultimamente però, le strutture di intelligence occidentali hanno segnalato un certo interesse dell’ISIS verso il reclutamento di giovani ragazze. Secondo alcuni articoli di stampa, i foreign fighters che provengono dalle varie Nazioni europee hanno inoltre un grado di scolarizzazione medio alto (molti hanno un diploma di scuola superiore e alcuni anche una laurea) e sovente provengono da famiglie con una buona disponibilità economica. Non sembra essere quindi la povertà materiale la spinta fondamentale o il fattore di vulnerabilità) sfruttato dai reclutatori. Alcuni analisti di intelligence ritengono che una cospicua percentuale di soggetti che hanno deciso di convertirsi all’islam aveva in precedenza una matrice ideologica estremista (di destra e di sinistra) e che la fede musulmana radicale consenta loro di sostituire i vecchi dogmi con nuove credenze assolute preconfezionate, probabilmente in grado di sopperire alla loro sedimentata difficoltà di discernimento logico, base della filosofia di vita occidentale che pone l’intelligenza e la critica costruttiva come motore dell’evoluzione sociale. Indubbiamente l’estrema destra italiana, almeno quella che fa riferimento al Fronte Nazionale, è da sempre attratta da posizioni terzomondiste e filo-arabe. Gli stessi nazisti non solo avevano reparti composti da combattenti di fede musulmana, ma alcuni di loro, alla fine della II guerra mondiale hanno trovato asilo in Egitto, ricoprendo anche cariche pubbliche, fino al 1970, durante il governo Nasser. La retorica anticapitalista, antisionista (e quindi antisemita) diviene un logico aggancio quindi a posizioni estremiste caratteristiche dell’ISIS e del terrorismo islamico in generale. La “causa” dell’ISIS può dunque rappresentare un pericoloso punto di collegamento per giovani della destra estrema, se non come riferimento “spirituale”, senza dubbio come modello. E’ sintomatico il fatto che due degli “homegrown” foreing fighters italiani, uno presumibilmente morto in Siria (Giuliano Delnevo), l’altro mai partito (Andrea Lazzaro), avessero simpatie e possibili affiliazioni con gruppi di estrema destra attorno cui hanno gravitato. L’elemento ricorrente nei giovani foreign fighter è comunque rappresentato dalla dimestichezza con i sistemi di comunicazione digitale e con i social network poiché quello è il canale primario attraverso il quale le organizzazioni terroristiche svolgono il proselitismo. Su questo aspetto, l’equipe di ricerca degli autori del presente articolo ha attivato uno studio sperimentale nell’ambito dei forum e dei social network attraverso dei ricercatori che simulano di essere giovani interessati alla Jihad per comprendere le strategie di contatto e di convincimento.


Flag of the Islamic State of Iraq and the Levant.


Principali canali e metodologie di reclutamento
L’attività di reclutamento, in base alle prime analisi effettuate, non avviene più solo attraverso individui che orbitano  nelle tante moschee presenti in Occidente. Secondo gli studi più recenti sono invece i social media (facebook, twitter, istagram, blog, chat ecc.) che forniscono una finestra – non filtrata – per operare il reclutamento dei giovani combattenti. Un largo numero di foreign fighters riceve infatti le informazioni sul conflitto attraverso canali non ufficiali. In rete ci sono migliaia di siti che veicolano la propaganda jihadista in varie lingue e che permettono anche ai potenziali simpatizzanti jihadisti di comunicare tra loro attraverso forum e chats e di trovare così un rinforzo psico-sociale. Alcuni di questi siti sono riconducibili ai gruppi jihadisti “ufficiali” altri sono invece stati creati da “cani sciolti” che però nel tempo hanno conquistato una cerca credibilità tra gli utenti. L’approccio è spesso anche quello dell’adbusting, soprattutto quello che propone colori, sensazioni e ambientazioni tipiche dei moderni videogames e dell’architettura web (logica ed estetica) dei social network che va per la maggiore. Recentemente è stato anche diffuso dalle organizzazioni terroristiche un video su youtube realizzato modificando un famoso gioco di guerra che si chiama Grand Theft Auto molto diffuso tra i giovani occidentali. Alla fine del trailer, appare la significativa scritta “quello che voi fate per gioco noi lo facciamo veramente sul campo di battaglia”. La strategia di avvicinamento è elementare quanto maledettamente efficace. L’I.S.I.S. sfrutta inoltre abilmente la diffusione “virale” velocissima (e a costo zero) di messaggi di testo e di immagini che vengono commentate e condivise sui social network. I post/contenuti più efficaci per questo scopo sono quelli a forte carica emotiva come i video delle esecuzioni e le immagini di sangue che vengono diffusi dagli utenti primariamente per esorcizzare l’orrore e per dissipare l’ansia ma che raggiungono in tal modo anche individui che possono manifestare reazioni di attrazione verso tale messaggi. L’attività di manipolazione e di indottrinamento iniziale non sembra comunque essere particolarmente sofisticata poiché le avanguardie dell’ISIS possono sfruttare la fisiologica fragilità delle classi giovanili e la loro facile infatuazione verso messaggi forti e ricchi di simbologia. La sensazione tra gli esperti di comunicazione è che la diffusione di messaggi culturali patogeni sia inizialmente indeterminata e con diffusione casuale e che possa però trovare numerosi recettori tra le aree giovanili “perennemente in attesa” di contesti in grado di fornirgli una identità. E’ quella che viene definita “tecnica del ragno” dove i messaggi appetibili vengono costruiti e diffusi in attesa che qualcuno psicologicamente predisposto vi rimanga impigliato. Ma le tecniche di reclutamento classico face-to-face sono comunque ancora presenti nella dinamica di inserimento dei giovani foreign fighters nella comunità terroristica. I reclutatori “facilitatori” operano anche nei luoghi di culto musulmano e nei quartieri periferici delle grandi città occidentali, osservando e selezionando i potenziali nuovi aspiranti jihadisti europei. I reclutatori sono uomini di esperienza che vivono da molto tempo in occidente ma che mantengono stretti contatti con l’organizzazione “madre” in medioriente. Forniscono consigli su come ottenere i visti e su come raggiungere la Siria o l’Iraq e spesso organizzano il viaggio fornendo biglietti aerei, mail e numeri di telefono per contattare i gruppi combattenti.




Le tecniche di indottrinamento
Le tecniche di indottrinamento sono pervasive e rapide e compatibili con le esigenze dell’ISIS che ha necessità di inviare rapidamente giovani combattenti verso i teatri di guerra o di consolidare una rete logistica nei paesi occidentali di origine (in Italia sarebbero un gruppo indefinibile tra le 50 e le 200 unità secondo le stime di intelligence). Attraverso i social media è emersa così una nuova figura di “reclutatore” il cui compito fondamentale è quello di intercettare i soggetti potenzialmente compatibili fornendo in primo luogo incoraggiamento, giustificazione e legittimazione religiosa al conflitto in Siria. Questi elementi di “contatto e avvicinamento” devono necessariamente avere dimestichezza con gli strumenti di comunicazione elettronica e con le psico-tecnologie. Dopo il primo approccio, i reclutatori devono riuscire a mettere in contatto i giovani potenziali combattenti con le organizzazioni jihadiste nei teatri di guerra, organizzare il loro viaggio e prepararli all’impatto con la realtà dei campi di addestramento. A questo punto l’azione dell’ISIS esce dal mondo digitale e psico-tecnologico e si trasferisce nelle dinamiche face-to-face tipiche del fondamentalismo islamico radicale. La testimonianza video di André Poulin, riportata ampiamente dai media, rappresenta una importante fonte di informazioni sui metodi di reclutamento e di addestramento dei giovani occidentali e sul passaggio dalla dimensione digitale a quella reale del campo di battaglia e della morte. Poulin, infatti, è stato reclutato nel suo Paese e per un certo periodo di tempo è divenuto un combattente canadese dell’Isis. E’ stato ucciso durante un assalto all’aeroporto di Minnigh, nell’estremo nord della Siria, al confine con la Turchia.



 Psicologia e psicopatologia del “foreign fighter”
L’idea che l’interesse dei giovani occidentali per il conflitto in Siria e in Iraq possa trovare ragione in elementi antecedenti “deterministici” individuabili attraverso un’analisi accurata ci lascia un po’ perplessi. Da un primo sguardo sommario (effettuato purtroppo solo attraverso i media) le caratteristiche dei foreign fighters sembrano essere abbastanza comuni e diffuse anche nella maggior parte dei giovani che scelgono viceversa una “esistenza normale” e che non manifestano attrazione nella guerra santa. L’emarginazione, il disagio sociale, l’incertezza per il futuro, la crisi di identità personale, il bisogno di appartenenza, il fascino per l’ignoto e l’avventura, rappresentano infatti attualmente categorie psico-culturali universalmente diffuse nella classe di età post-adolescenziale che racchiude la maggior parte degli individui che hanno ceduto alle tecniche di reclutamento dell’ISIS (milioni di soggetti in tutta Europa). Comunque, nell’ipotesi di un approccio deterministico multifattoriale, eventuali fattori predisponenti da collocare in una ipotetica griglia interpretativa (diagnostico-predittiva) dovrebbero necessariamente essere individuati nelle seguenti dimensioni:

sociale (risorse, aspettative)
psicosociale (appartenenza, identità)
psicologica (personologica)
psicopatologica (disagio, disturbi in asse I e II)

Ma nelle complesse dinamiche che possono condurre un giovane occidentale ad abbracciare una fede islamica radicale ed estrema e a recarsi nelle aree di conflitto in Siria e Iraq divenendo “foreign fighters” possono rivestire un ruolo determinante – così come in ogni dinamica umana – anche fattori casuali e addirittura fattori intangibili e oscuri. Non solo quindi la fede religiosa (probabilmente relegata in un secondo piano) ma diverse variabili psicologicamente significative dovrebbero essere sondate rispetto alla vulnerabilità ai messaggi dell’ISIS.

 Tra questi, ad esempio, un ruolo chiave potrebbe essere ricoperto da:

Il fascino della partenza e dell’avventura
Il fascino delle armi
La presenza di un sé fragile e dai contorni sfumati
Uno stato d’ansia nel soggetto
Il disagio e l’emarginazione
La bassa tolleranza alle frustrazioni
La voglia di rivalsa autodistruttiva
La difficoltà economica e l’incertezza per il futuro
L’interesse per la sessualità predatoria apparentemente prospettata dalla Jihad
L’inclinazione all’aggressività e alla violenza

Su queste aree dovrebbe essere costruita a nostro avviso un’attività di ricerca nei confronti di coloro che sono stati già reclutati dall’ISIS.

 Il gruppo combattente dell’ISIS offre infatti ai giovani cinque elementi fortissimi che più degli altri sembrano essere in grado di soddisfare i bisogni dei giovani:

un’identità affascinante e ben definita
una simbologia immediata e condivisa
una illusione di onnipotenza
una sensazione di appartenenza
la consapevolezza di rivestire un ruolo nella storia dell’umanità

Recentemente è stata anche avanzata la fantasiosa ipotesi del paradosso psicologico che vedrebbe alcuni individui avvicinarsi alle strutture dell’ISIS per paura e per tentare quindi una esorcizzazione dell’ansia rispetto a possibili aggressioni del mondo occidentale da parte della comunità islamica fondamentalista. Secondo questa ipotesi un fattore di notevole rilevanza nelle dinamiche di reclutamento sarebbe legato proprio alla possibilità di esorcizzare il timore della violenza da parte del fondamentalismo islamico attraverso un avvicinamento a tale contesto. Appartenere alla comunità di coloro che si temono potrebbe essere inteso, in tale ottica, anche come un sistema per risolvere la paura attraversando il fronte e ponendosi dalla parte di quelli più aggressivi e pericolosi.


Il fascino della guerra e l’autopercezione del “guerriero”
La cultura occidentale ha da sempre trasferito nelle nuove generazioni un rapporto psicologico culturale con la guerra “altalenante” e incongruente dove, parallelamente all’orrore per la morte e la violenza, si radica tutto sommato una dimensione positiva e “onorevole”. I telefilm a ispirazione militare hanno invaso la cultura occidentale degli ultimi 30 anni e vengono notevolmente fruiti dalla popolazione giovanile. Molti giovani aspirano infatti a intraprendere una carriera “forte”, nelle forze armate o in altri contesti dove possono auto-percepirsi come “i buoni” che combattono “i cattivi”. Tale dimensione sembra essere sfruttata dall’ISIS nelle sue campagne di fascinazione e reclutamento che sovente mostrano campi di addestramento militare e scene di combattimento, con una qualità di immagini e di “regia” che consente facilmente ai “riceventi” di assimilare percettivamente questi video-clip a scene filmiche. In tal senso, La possibilità di trovarsi velocemente in uno scenario di combattimento dove si delinea una controparte aggressiva, dove si indossa una uniforme militare, dove esistono comandanti e ordini, può rappresentare per alcuni individui un’atmosfera per certi versi surreale ma eccitante e idonea a soddisfare queste istanze psico-simboliche tipiche delle menti semplici. Non vi è dubbio che l’eversione e l’estremismo in generale, prenda in modo particolare su assetti cognitivi semplificati. Ma anche rigidi. Solo la rigidità infatti è compatibile con i livelli di determinazione necessaria allo scopo del terrorista o del “guerriero” che non può e non deve essere distratto dalla sua missione.



 Una ricerca sulla vulnerabilità al reclutamento dei giovani occidentali
Ma come è possibile che un giovane europeo che ha assimilato i modelli di cultura occidentale decida improvvisamente di partire verso uno scenario di guerra o di rappresentare una base logistica e militare nel suo Paese per le organizzazioni terroristiche? Individuare i fattori predisponenti che possono concorrere a rendere “appetibile” il messaggio dei reclutatori dell’ISIS, i meccanismi di fascinazione e le vulnerabilità specifiche, è un obiettivo importante per la comunità scientifica, anche per poter supportare eventuali strategie di prevenzione e di “contro-informazione”. Gli autori del presente lavoro hanno promosso uno studio pilota e hanno predisposto un assessment preliminare composto da un questionario strutturato che è stato somministrato a un campione pilota di soggetti di nazionalità italiana e di varie religioni. Lo strumento è suddiviso in quattro aree:

Generica fascinazione per il fenomeno ISIS/foreign fighter
Percezione del rischio
Stima dell’attribuzione sociale e dello stigma
Condizione psicologica e psicopatologica preesistente

Lo scopo primario dello studio è l’individuazione di possibili vulnerabilità a livello sociale e la diffusione nella popolazione (specie giovanile) di archetipi e atteggiamenti favorevoli rispetto al fenomeno dei foreign-fighters. I risultati dello studio pilota potranno trovare utile impiego sia nella valutazione del fenomeno in termini di intelligence che per supportare la realizzazione di progetti di prevenzione. La difficoltà implicita nel creare un profilo caratteristico del giovane radicalizzato, in modo particolare quando non musulmano e quindi senza un retroterra culturale che lo possa, seppur in modo sganciato dalla maggioranza della sua comunità almeno dare un senso alla sua scelta, può essere in parte superata attraverso una combinazione di approcci. Il momento culturale odierno che sembra caratterizzato da rabbia ed aggressività crescenti in combinazione con le fisiologiche fasi evolutive dei giovani maschi, legate anche banalmente ad assetti ormonali normali per l’età, ma anche come sopra, alla necessità di dimostrare a sé ed agli altri il proprio valore, rischia di portare ad una sottovalutazione del fenomeno. Lo studio e la consapevolezza di quelli che posso rappresentare segnali di allarme, sia nella persona che nella effettiva comunicazione delle proprie simpatie e dei propri intenti attraverso i social network ma anche in seno alla famiglia, diventa fondamentale. La cosidetta “self-radicalization” (auto-radicalizzazione), che si riferisce ai “lupi solitari”, non necessariamente aggregati a gruppi estremisti ma che ne sono simpatizzanti o quanto meno ispirati, e che consiste nel divenire terroristi senza un effettivo indottrinamento diretto, è uno dei fenomeni che più interessano gli autori dello studio, proprio per la sua pericolosità, ma anche per il potenziale di intervento. L’auto-radicalizzazione ovviamente non riguarda solo il terrorismo di matrice islamica (vedi Timothy Mc Veigh e la strage di Oklahoma City e Anders Breivik e la strage di Utoya) e, in modo particolare per ciò che concerne i giovani occidentali non di fede o cultura musulmana, può rappresentare, anche grazie ad una esposizione sistematica a stimoli mediatici, il meccanismo più probabile di ingresso nel mondo del terrore. Il narcisismo caratteristico dell’auto-radicalizzato, che ha necessità di dimostrare non tanto il proprio valore, quanto il disvalore dell’altro, lo porta inevitabilmente a dimostrazioni pubbliche che non vanno sottovalutate e che, proprio perché pubbliche possono essere facilmente osservabili. Purtroppo il “lone wolf terrorist” (lupo solitario) è quello più pericoloso proprio perché disaffiliato. I primi risultati saranno resi pubblici dagli autori entro la metà del mese di gennaio 2015.



RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Olivia Becker “Pro-ISIS Recruitment Video Encourages Foreign Fighters to Join Jihad” (news.vice.com) – June 21, 2014

Juha Saarinen “The Clear Banner: Update on the Finnish Foreign Fighter Contingent” (jihadology.net) – October 18, 2014

Polly Mosendzoct “The Teenage Fans of ISIS”   (theatlantic.com) – June 22, 2014

Kris Wolfe “How Absent Fathers May Be Contributing To ISIS Recruitment” (goodguyswag.com) – October 21, 2014

Randy Borum & David Verhaagen “Assessing and managing violence risk in juveniles”, The Guilford Press, 2006

Soeren Kern “Italy: ‘Fighting in the name of Allah’”. Gatestone Institute, July 9, 2013

Bertrand Rip et al. “Passion for a cause, passion for a creed: on ideological passion, identity threat, and extremism”. Journal of Personality, June 2012

Reid Meloy et al. “The role of warning behaviors in threat assessment: an exploration and suggested typology”. Behavior Science and the Law, June, 2012

 Tratto da: www.psychatryonline.it  owww.criminologia.org (per gentile concessione)

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