sabato 28 marzo 2015

CENTO CAMERELLE, PISCINA MIRABILE, SEPOLCRO DI AGRIPPINA IN ALTRE PAROLE L'ANTICA BAULI AUGUSTEA E LA MODERNA BACOLI FLEGREA DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA CONIATA DAL MITO, DALLA LEGGENDA E DALLA STORIA.



Bacoli e i Campi Flegrei
tra passato, presente e futuro

di Antonio Tortora (articolo ripreso da Napoli.com)



« Lasciai quel luogo perché c’era pericolo che se mi fossi affezionato troppo al soggiorno di Bauli, tutti gIi altri luoghi che mi restano da vedere non mi sarebbero piaciuti »
(Simmaco)

Bacoli Chiesa di Sant'Anna (Foto tratta dal Web)

Quando ci capita di passare per i Campi Flegrei, zona che originariamente era molto più vasta di quella attuale e che spaziava dal monte Massico alle propaggini montane del Casertano per giungere fino ai monti Lattari comprendendo tutta la Piana Campana a sud del Volturno, come testimonia Diodoro Siculo parlando dello spazio enorme su cui agivano le eruzioni del Vesuvio, non possiamo fare a meno di ricordare tutte le giornate trascorse con il più affermato storico contemporaneo della zona, il bacolese Gianni Race.
Infatti, verso la fine degli anni ’80 nel salotto della sua casa, sulle sponde del lago Miseno e a ridosso del centro storico di Bacoli, trascorrevamo ore e ore a chiacchierare di storia flegrea e di scoperte archeologiche di cui era sempre a conoscenza visto il suo lavoro di magistrato onorario e di consulente scientifico delle Procure.
L’avvocato, perché questa era la sua vera professione, spesso mi invitava a presentazioni di libri, a visite al Castello Aragonese di Baia che, all’epoca, essendo stato da poco liberato dai terremotati e non essendo dunque già sede museale non poteva essere ufficialmente visitato; ma anche e soprattutto a visite estemporanee presso luoghi ben conosciuti dagli studiosi ma completamente dimenticati dalla popolazione locale e di difficile raggiungibilità, per mancanza di segnaletica, da parte dei turisti per caso e dei curiosi della storia; fra questi siti ricordiamo la Piscina Mirabilis vera cattedrale sotterranea, le Terme romane di Baia, il Sacello degli Augustali luogo fortemente energetico, la evocativa Tomba di Agrippina, i vari Templi di Diana, Mercurio e Venere; inoltre la Casina Vanvitelliana del Fusaro e il Colombario romano presso lo stesso specchio d’acqua, ed infine la straordinaria Cuma con la città bassa, l’acropoli e l’Antro della Sibilla.
Circa l’Anfiteatro Cumano è solo da pochi anni che procedono le campagne di scavo ma già c’erano indizi e tracce evidenti dell’intera struttura. Dal salotto di casa ingombro di libri e reperti preziosi agli scavi, ai sotterranei, ai sacelli, alle lapidi marmoree da tradurre in un continuo movimento che ci fece amare molto Bacoli con la sua capacità di irradiarsi verso tutto ciò che, a nostro avviso, nella vita conta davvero: arte, storia, natura impareggiabile, mare, paesaggi mozzafiato, sentieri sul plateau di Miseno e viuzze strette ma accoglienti nel centro storico.
Dopo questo genere di visite rimaneva sempre una nostalgia forte e immediata. Da quel momento cominciammo a conoscere la zona fin nei suoi più intimi spazi e ancora oggi, a distanza di tanti anni, ci torniamo volentieri. Abbiamo sempre considerato Bacoli una sorta di spartiacque tra il Castello di Baia e Capo Miseno, un punto strategico da cui muoversi per le più belle escursioni da fare nella zona; non solo ma abbiamo immaginato, come in un colossal della cinematografia americana, la flotta augustea ancorata e pronta a partire per lontane missioni oppure intenta a esercitazioni militari che proprio a Militum Schola si tenevano frequentemente.
E allora folti gruppi di milites egizi, traci, dalmati, africani, cilici ma anche greci, italici e sardi inquadrati e ben disciplinati sotto il comando di ammiragli che erano appellati con i titoli di navarchi archigubernatores e capitani di vascello, di corvetta e di fregata chiamati trierarchi si muovevano al ritmo marziale dei tibicines (suono dei flauti).
Le navi della poderosa flotta in ordine di grandezza: liburne, triremi, quadriremi, quinquereme ed esareme cariche di uomini, catapulte-onagri, torri-tabulatae e falariche erano inquadrate in formazione di attacco pronte a partire in ogni momento ma soltanto dopo accurati preparativi.
Un piccolo inciso sulla presenza dei sardi; essi non potevano mancare dal momento che rappresentavano i mitici e nuragici popoli del mare definiti dallo studioso Leonardo Melis “Shardana”, veri conquistatori dei mari in un’epoca indefinita tra la storia e la preistoria operanti su veloci imbarcazioni che oggi potremo identificare come veri e proprio aliscafi estremamente sofisticati.
D’altra parte i romani erano abili, anzi erano in questo specialisti, nel valorizzare le caratteristiche non solo guerriere e marinaresche dei popoli che avevano sottomesso. Ma non vogliamo perderci per cui torniamo al tema.
Alcune delle lapidi, all’epoca circa 180, da cui si ricavano tutti questi interessanti elementi conoscitivi sulla provenienza dei milites sono state esaminate dal Race che dalla loro traduzione, impregnato di cultura umanistica quale era, traeva un grande piacere e noi con lui. Su tutta l’area campeggia la mole tufacea di Capo Miseno che prese il nome dal trombettiere-suonatore di corno o di conchiglia di Enea che pur essendo figlio del dio Eolo fu trascinato nelle profondità marine da un essere soprannaturale mitologicamente definito Tritone. Tanto che la stessa forma del promontorio richiama l’immagine di un gigantesco tumulo funerario.
Tuttavia una forte allusione al vulcanismo flegreo si rintraccia dall’identificazione che Strabone compie tra Capo Miseno e la patria dei Lestrigoni ovvero dei giganti che attaccarono Ulisse e uccisero uno dei suoi compagni, proprio Miseno, lanciando sassi contro le navi dell’eroe definito in qualche rarissimo caso ma bel felicemente “polytropos” ovvero multiforme e cioè capace di cambiare a seconda delle esigenze; in altre parole colui che si adatta per sopravvivere e per portare a termine il lungo ed epico viaggio della vita.
Un Ulisse variabile come la stessa costa tirrenica di cui parliamo che alterna spiaggette sabbiose e calette difficili da raggiungere con dirupi a strapiombo sul mare.
Comunque solo ora, a distanza di anni e assommando le dovute conoscenze, abbiamo ben compreso perché tutto il Golfo di Napoli fu definito dagli antichi greci “cratere cumano” quasi avesse la forma complessiva di una coppa; una sorta di Graal cui da millenni viene posta la domanda sbagliata, per parafrasare il mito dei Cavalieri della Tavola Rotonda, e la risposta non giunge mai.
Per la verità alcune teorie ipotizzano la presenza del Graal proprio in area flegrea¸ all’interno del Monte Barbaro, e se ne è discusso pochi anni fa in un convegno alle Stufe di Nerone moderato dal più grande studioso medievista italiano Franco Cardini.
Proprio non riusciamo a “stare sul pezzo”, la passione ci porta su altri BINARI.
Tornando a Bacoli, straordinario centro di poco più di 28mila anime, nella più remota antichità si identificava con la stessa Cuma (Kyme in greco e Cumae in latino) che aveva un’area di influenza di parecchi chilometri comprendendo Miseno, Baia, Arco Felice, l’attuale Bacoli (antica Bauli) compreso la famosa acropoli con il misterioso Antro della Sibilla che ancora oggi conserva le sue caratteristiche di luogo primordiale e archetipale.
Tutto ciò è riscontrabile, in maniera scientifica e documentata, proprio nelle opere del Race, e dimostra che mentre Cuma fu fondata dai greci provenienti dall’Eubea dopo essersi insediati a Pithecusae (l’odierna Ischia) e dopo averla abbandonata a causa degli sconvolgimenti vulcanici, fu proprio Cuma a colonizzare altri territori fra cui Neapolis, Dicearchia ovvero la contemporanea Pozzuoli e Messina; non solo ma esercitò un serrato dominio anche sui territori interni come quelli pompeiani, sorrentini, nolani e avellani.
Un centro di irradiazione colonizzatrice formidabile di cui anche noi partenopei siamo figli diretti con la seconda fondazione e ricolonizzazione della città.
Cuma-Bauli come capitale di quell’area geografica che definiamo “occidente” e patria originaria di quella lingua italiana che è stata capace di essere assimilata e integrata in tutti quei territori di cui abbiamo accennato, almeno volendo seguire le digressioni virgiliane il cui distico ….“ tenet nun Parthenope”…. ancora echeggia nella nostra mente.

Faro di Capo Miseno (Foto tratta dal web)

Cosicchè studiare la presenza di Virgilio nei Campi Flegrei significa abbracciare in un unico colpo d’occhio il sepolcro del Poeta e Mago a Piedigrotta con la Crypta Neapolitana e il sacello dedicato al dio solare Mitra, la costa posillipina con la Scuola virgiliana della Gaiola, Coroglio e Bagnoli, il cratere di Agnano, gli Astroni e la Solfatara, Pozzuoli e Lucrino, il Lago d’Averno con i Bagni di Tritoli e le Terme di Baia; ed ancora Bacoli, Miseno e Torre Gaveta, Cuma e il monito della Sibilla Deifobe rivolta ad Enea: “gli uomini non tardano ai sacri comandi”.
In altre parole significa irradiare il pensiero, il mito e la storia procedendo da Bacoli sede prescelta dagli antichi Dei per preservare innumerevoli segreti che solo a tempo debito saranno rivelati.
D’altra parte gli imperatori, i saggi e i retori, i senatori e l’intera classe dominante dell’antica Roma non a caso scelsero l’area flegrea per le loro vacanze, per le loro meditazioni e per la loro vita interiore quando decidevano di fuggire dalla vita pubblica. Luogo di tolleranza e di accoglienza finanche per la nutrita comunità ebraica che nel XVII° fu letteralmente cacciata dalla Spagna.
Per queste ragioni, davvero forti e significative, l’area flegrea non poteva non rientrare nei viaggi del Grand Tour laddove, con la presenza esterrefatta dello stesso Goethe e del Winckelmann, venne riscoperta l’età classica inaugurando un nuovo filone culturale che penetrò tutta l’Europa.
È un peccato che le circa centomila presenze estive, con una popolazione residente più che triplicata da maggio a ottobre, si accorgano solo del mare e dei lidi accoglienti che insistono sul lato costiero dell’area bacolese; ma questo può essere un inizio per richiamare un maggior numero di presenze, anche durante le altre stagioni, per la visita ai siti archeologici che sono davvero numerosi e imprescindibili per chi voglia abbinare cultura e tempo libero, mito e natura, storia e arte.
Per la verità la cittadina si sta attrezzando in tal senso e con le prossime elezioni amministrative potrebbero esserci interessanti novità; i giovani del luogo vogliono uscire dal torpore cui le vecchie classi dirigenti li hanno abituati.
Anche i due splendidi laghi salmastri Fusaro e Miseno e i quattro porti naturali disseminati lungo la fascia costiera attendono da troppo tempo una doverosa valorizzazione.
Quattromila e più natanti da diporto non sono pochi e indicano una volontà turistica tenace e pronta a dare il proprio contributo alla crescita di Bacoli così come un terziario ben radicato sul territorio, con le sue oltre 521 imprese commerciali, i suoi 130 ristoranti, i suoi 10 ALBERGHI, gli esercizi agrituristici in netto aumento e un gran numero di esercizi di ristorazione suddivisi tra ristoranti di primo livello, osterie, trattorie, pub, presidi slow food e take away, non possono essere trascurati da un Comune-azienda che ha il compito di salvaguardare l’economia e il benessere dell’intera area.
Senza trascurare, ovviamente, le numerose aziende vinicole che ormai esportano Falanghina, Aglianico e Piedirosso anche all’estero rispettando l’antica vinificazione flegrea e i moderni disciplinari produttivi.
La parola ora passa ai giovani di buona volontà e a quelli meno giovani che hanno a cuore il futuro dei figli e dei nipoti che non devono più essere ossessionati dall’idea, malsana e depauperante, di emigrare verso lidi sconosciuti dove sarebbero costretti a recidere il legame con la propria terra. Ciò dovrebbe essere una scelta consapevole e non un obbligo dettato dalle difficoltà economiche.
L’”eccedenza del passato” concetto elaborato nell’ambito della filosofia di Giambattista Vico non deve rappresentare una zavorra pesante da sostenere bensì un’agile risorsa perché una comunità, come quella bacolese ma non solo, non dispone unicamente di storia da studiare e da valutare ma anche di una capacità progettuale che si proietta verso un futuro di sviluppo che, volendolo fortemente, può essere avviato sin da ora.
L’amico indimenticato Gianni Race, ne siamo certi, leggendo queste note e queste considerazioni, le condividerebbe sottoscrivendole appieno.

Tratto dal quotidiano online Napoli.com:  http://www.napoli.com/viewarticolo.php?articolo=41445&pagenum=0

mercoledì 25 marzo 2015

UNA EMOZIONANTE PASSEGGIATA TRA LE VIE DELLA NAPOLI ANTICA: GLI SCAVI DI SAN LORENZO MAGGIORE.

LA NAPOLI SENZA SOLE ESISTE; BISOGNA SOLO CERCARLA E NOI L'ABBIAMO TROVATA IN PIENO CENTRO CITTADINO.

Un pò di tempo fa leggevamo vari appunti sul centro storico della città e ci parve di rintracciare il titolo di un piccolo volume dedicato alla "Napoli senza sole" ovvero di un'opera postuma scritta da un  gesuita che si mise in testa di descrivere un completo itinerario da percorrere lungo tutto il centro storico della città ma, udite udite, senza mai essere colpiti dai raggi del sole; e ciò camminando in lungo e in largo in qualsiasi momento della giornata e in tutti i sensi. Anche lo stesso Gino Doria, scrittore che fu molto attivo fra le due grandi guerre del '900, ebbe modo di citare il curioso volume sottolineando che nessuno mai l'aveva visto e letto; d'altra parte bisogna fidarsi dell'autore dello splendido saggio di toponomastica storica dedicato proprio alle strade di Napoli tenendo conto del fatto che oltre a essere un profondo conoscitore di storia patria, dunque partenopea, era anche un bibliofilo erudito come lo definì Guido Piovene in "Viaggio in Italia". Un caso mirabile di pseudobiblia dunque che conferma le teorie dello statunitense Lyon Sprague de Camp che oltre ad averne coniato il temine ne spiegò approfonditamente il significato nell'articolo "The Unwritten Classics" pubblicato sulla rivista The Saturday Review of Literature. E' intrigante: libri citati non poche volte ma mai scritti e i cui autori sono frutto di pura immaginazione. Ancora un mistero nella Napoli con e senza sole. 
Ma veniamo al dunque e proviamo a raccontare l'emozione di una visita nel sottosuolo della città, in quella vera, in quella antica risalente all'età flavia, in parte all'età imperiale e con alcune tracce sparse dell'età greca. Parliamo degli scavi dell'area archeologica di San Lorenzo Maggiore laddove si accede scendendo di circa 10 metri, giusto al di sotto di quello che é stato identificato come il Macellum ovvero il mercato di Neapolis con le sue tabernae e i pavimenti mosaicati, attraverso una scala posta sul limitare del chiostro. Siamo a pochi passi dall'agorà, dal teatro scoperto, dall'odeion e dal Tempio dei Dioscuri, praticamente nel cuore del Decumano Maggiore ovvero la plateia greca e in posizione baricentrica fra gli altri due Decumani, quello inferiore corrispondente all'asse di San Domenico Maggiore quello superiore corrispondente all'Anticaglia.
Qui il silenzio regna sovrano ma, per come é strutturato il sito con la replica in superficie dell'identico reticolo stradale, pare effettivamente di rivivere la realtà spazio-temporale del passato e quindi di oltre venti secoli fa. Si incontrano tre ambienti con volta a botte e mura caratterizzate dall'opus reticulatum, altri ambienti identificabili con l'Erario dotato di cancelli di ferro, numerose tabernae trasformate in un secondo momento in botteghe artigianali fra cui una panetteria come testimoniato da un modesto forno in muratura ed infine una fullonica ovvero una lavanderia - tintoria con tanto di vasca per la lavorazione dei panni e dei tessuti. Un tratto, piccolo ma molto suggestivo, del criptoportico ovvero del mercato coperto dotato di ambienti comunicanti con banchi da esposizione in muratura, può essere percorso ripercorrendo un lastricato che in più punti consente l'accesso a rampe di scale laterali. Alla fine del percorso si può osservare una profonda cisterna di epoca greca idonea a raccogliere tutte le acque della piazza soprastante; inoltre possono essere ammirati ambienti con pavimenti in mosaico discretamente conservati e con decorazioni pittoriche alle pareti e fasce color ocra alla base ancora ben conservate. L'indagine archeologica continua  e si ipotizza che da questo punto in poi, visto il pavimento decorato a mosaico e un impluvium collocato nella stanza centrale del complesso, ci si trovi all'interno di una schola dove i commercianti del posto, ma anche i fedeli di particolari riti religiosi, si potevano riunire in determinate circostanze. Su di un pezzo di lastra marmorea abbiamo avuto modo di notare un triangolo perfetto con la punta rivolta verso l'altro e ne siamo rimasti molto incuriositi pur non sapendo se si trattasse di un manufatto di epoca greca o di epoca romana; fatto sta che nella tradizione pitagorica il triangolo, manifestato come Tetraktys, simboleggia l'ascesa dal molteplice all'uno ed essendo equilatero esotericamente esprime la divinità, l'armonia e la proporzione. Ciò può essere riscontrato ampiamente, oltre che nei primi quattro numeri naturali pitagorici disposti a forma di piramide e da cui deriverebbero tutti i solidi platonici ben descritti da Frà Luca Pacioli in epoca rinascimentale, anche nella cabala ebraica, nella filosofia cinese, in massoneria e in teosofia. Ma questa é tutta un'altra storia.






Reportage fotografico di Antonio Tortora


lunedì 16 marzo 2015

CHIESA DELL’ARCICONFRATERNITA DELLA AUGUSTISSIMA COMPAGNIA DELLA DISCIPLINA DELLA SANTA CROCE UN GRANDE PATRIMONIO DA RISCOPRIRE

Anche in ambito cristiano è possibile osservare, con attenta analisi, simboli e significati esoterici.

Partecipammo, a suo tempo, a una visita guidata organizzata dall' Istituto Italiano del Castelli presieduto dall'arch.Luigi Maglio e ci parve di scoprire un patrimonio storico, culturale, religioso e architettonico davvero unico e straordinario. Pertanto realizzammo, con le foto di Mario Zifarelli, un reportage che ci consentì di effettuare una rarissima full immersion nella Napoli sacra del XIII° secolo proprio al limitare esterno di quel Miglio Sacro costituito dal Decumano Maggiore.
Infatti, non é facile accedere a siffatta struttura chiusa al pubblico da oltre trent'anni e, in quella circostanza, grazie all'ospitalità di Bianca Como Superiora della Confraternita, l'unica donna a quanto ne sappiamo a presiedere una Arcoconfraternita, e grazie a Michelangelo Pisani di Massamormile uno dei Governatori della Augustissima Compagnia della Disciplina della Santa Croce nonchè lucido conservatore della memoria storica del Sodalizio religioso, potemmo accedere al prezioso scrigno di storia entrando da un ingresso laterale in prossimità della Chiesa di Santa Maria Egiziaca a Forcella.
Ci rendemmo subito conto di quanto la popolazione cittadina e in particolare i poveri e gli indigenti che affollavano la città già dalla fine del 1200, avessero bisogno di questa struttura caritatevole e diremo oggi filantropica. Proprio in quel periodo fu fondata la congregazione che attualmente è laica e dotata di cariche elettive su basi democratiche anticipando i tempi e mostrando tendenze di grande apertura alla modernità.



L'obiettivo primario dell'attuale Governo dell'Arciconfraternita consiste nel restauro della chiesa danneggiata dal terremoto dell'80 e delle opere d'arte, raccolte sin dal 1300, e consegnate alla Soprintendenza visti i frequenti furti degli anni ottanta; per questa ragione l'edificio fu murato e interdetto alle visite per circa trent'anni. L'obiettivo secondario, ma non meno importante, é quello di ridiventare un punto di riferimento per gli abitanti di Forcella da troppo tempo ghettizzati. L'edificio é adiacente al complesso di Sant'Agostino alla Zecca con il suo splendido campanile gotico in piperno, marmo e mattoni con relativo stemma aragonese, e l'Arciconfraternita nasce proprio dall'acquisto che i confratelli fecero dai padri agostiniani dei locali precedentemente abitati da monache basiliane. Oggetto della visita l'oratorio, il giardino agrumeto con gli affreschi rappresentati un ciclo di Storie della vita di Gesù parzialmente restaurato, la fontana del '500 e la chiesa che mostra ancora testimonianze trecentesche con la tomba marmorea del Confratello Bartolomeo del Sasso di Scala ritratto con l'inquietante sacco penitenziale. 
Ma qualcosa ha attirato la nostra attenzione sempre a caccia di tracce esoteriche. Sul portale di ingresso alla Confraternita abbiamo notato un ritratto della Madonna con il Bambino scolpita a rilievo inscritta in un triangolo; ciò non è del tutto usuale trattandosi di immagini sacre. Tale figura potrebbe essere ricollegata all'occhio che tutto vede, di derivazione massonica, inscritto all'interno di un triangolo provvisto di numerosissimi raggi, chiaramente osservabile nella decorazione superiore di un imponente mobile ligneo forse dedicato alla conservazione di teche e ostensori. Si tratta di ambientazioni geometriche sacre e massoniche che già avemmo modo di osservare nella Cappella Pappacoda e nella chiesa di San Gennaro all'Olmo e che fanno riferimento, di sicuro e da un punto vista numerologico, al triangolo ovvero alla figura della perfezione pitagorica del numero Tre; quel triangolo che, pur essendo una delle forme più semplici delle figure piane, sarebbe la prima forma della manifestazione divina in cui il principio ternario costituisce il cardine della creazione. Ma non finisce qui e anche la scala a chiocciola all'interno della sagrestia della chiesa della Compagnia ci ha colpito per la sua spirale logaritmica e la proporzione aurea (1,618) che Frà Luca Pacioli, precettore di Leonardo da Vinci, teorizza agli inizi del 1500 nel De Divina Proportione. Anche in questo caso c'è un precedente nelle nostre peregrinazioni e ricordiamo di aver visto una straordinaria scala a chiocciola all'interno della Torre del Beverello in Castel Nuovo. Infine, concludendo la visita, basta alzare lo sguardo verso l'alto e osservare la colomba al centro della cupola della chiesa che testimonia, oltre alla presenza dello Spirito Santo, la presenza di un simbolo che risale a divinità siriache come Atargatis la Dea Sirena da cui potrebbe derivare la Sirena Partenope oppure a divinità greche come Derceto stando alle fonti che riconducono a Strabone e Plinio.


Syrian Atargatis Mermaid (immagine tratta dal web)

Appare chiaro che ancora molto lavoro c'è da fare ma la volontà di procedere é forte; ne è esempio la coppia di angeli di altare che sono stati ritrovati dal Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri e che oggi sono osservabili ai lati dell'altare maggiore della chiesa. Dunque fra restauri, ritrovamenti di reperti trafugati da parte dei Carabinieri, restituzione da parte della Soprintendenza di oggetti conservati in luoghi più sicuri, riordinamento della Confraternita e un rinnovato interesse verso questo sito così importante per la storia cittadina non è da escludere che, di qui a qualche anno, tutti gli ambienti potranno essere restituiti alla pubblica fruizione.

sabato 14 marzo 2015

CIRCOLO DELLA STAMPA NELLA VILLA COMUNALE SIMBOLO DEL DEGRADO DI UNA CITTA' E DI UNA CLASSE POLITICA INETTA E IRRESPONSABILE

Si può ancora tollerare lo stato di abbandono e di assoluto degrado di una delle più prestigiose istituzioni culturali partenopee? Cosa aspettano l'Ordine dei Giornalisti e il Comune di Napoli a trovare un accordo per il Circolo della Stampa?

In una calda giornata della primavera del 1985, anno prima anno dopo, ero  ancora un giovane aspirante giornalista e di lì a poco avrei coronato il sogno di iscrivermi a un'albo professionale che aveva a che fare con la conoscenza, con la cultura, l'informazione e con tutto quanto, quasi romanticamente ed esotericamente, si compenetrasse di territorialità, di popolo, di storia, di eventi. Il sogno stava per realizzarsi mentre di lì a poco il ventisettenne collega de Il Mattino, corrispondente da Torre Annunziata, Giancarlo Siani veniva trucidato al Vomero; questo per ricordare che il mestiere di giornalista, fatto bene e con tutti i crismi professionali, può davvero diventare pericoloso.
Ma, dicevamo, il sogno stava per realizzarsi quando mi fu chiesto, dall'allora presidente del Consiglio Regionale dell'Ordine Cesare Marcucci, di partecipare ad una giornata di accoglienza, insieme al Segretario dell'Ordine Costantino (da tutti chiamato confidenzialmente Nino) Trevisan, dedicata a un nutrito gruppo di giornalisti russi. Io, molto giovane e intenzionato a penetrare i segreti della professione, all'epoca, lavoravo volontariamente all'Ordine con mansioni di assoluta fiducia, accordatami dallo stesso indimenticabile Marcucci, e ritenni l'invito un'occasione ghiotta per capire, per conoscere, per cercare di decifrare questi strani personaggi che, ricevuti all'aeroporto da noi e da altri autorevoli rappresentanti dell'Ordine e sapientemente scortati da motociclisti della Polizia, giunsero finalmente al Circolo della Stampa chiamato anche Casina del Boschetto e Casa del Giornalista o ancora "del Forestiero" sito nella Villa Comunale che in origine era chiamata Real Passeggio di Chaia.
Questi illustri personaggi, direttori e redattori delle più prestigiose testate giornalistiche russe, fra cui Novaja Gezeta, Izvestija, il moscovita Moskovskaja Pravda, Ogoniok e le agenzie Itar-Tass e Ria Novosti, scesi dal torpedone da turismo che era loro stato messo a disposizione, si dissero incantati dalla bellezza della città che avevano da poco attraversato, e non avevano tutto sommato visto ancora nulla; ma soprattutto rimasero stupefatti dalla bellezza del luogo ovvero del Circolo della Stampa immerso in un verde lussureggiante e a pochi passi dal più bel lungomare del mondo. Furono ricevuti cordialmente da un'intero staff di colleghi molto più anziani di me e di esperienza pluridecennale e per me, che feci parte del comitato di accoglienza già in prossimità della scaletta aeroportuale e del comitato ristretto che fece gli onori di casa, l'emozione fu grande. Ero, forse incredulo, al cospetto di personaggi straordinari, dal forte carisma e dall'eccezionale calore umano ma da cui la "guerra fredda", ancora ufficialmente in corso, suggeriva di tenere ingiustamente alla larga. Il pranzo d'onore fu organizzato al ristorante delle Terme di Agnano e i giornalisti della grande Russia goderono appieno dei cibi partenopei, dei vini della Campania Felix e della musica classica napoletana che accompagnò la giornata con classici suonati da valenti maestri di chitarra e mandolino. Molti di loro, messisi a proprio agio, impararono a parlare napoletano in poche ore e li udimmo cantare nella meraviglia generale. Fu una delle più belle giornate che la professione mi ha regalato.

Così è ridotto il Circolo della Stampa di Napoli passato nelle mani del Comune e del tutto abbandonato

 Ma la nostra attenzione ora deve concentrarsi su quello che Circolo della Stampa non è più già dalla metà degli anni '90 ovvero da quando il Sindaco Antonio Bassolino cacciò i giornalisti dalla prestigiosa e storica sede, per motivi di carattere economico e generando contenziosi giuridici di cui ancora si avvertono lontani echi nelle cronache cittadine. D'altra parte il Comune, ansioso di riprendersi la Casa dei Giornalisti, non ha saputo nè voluto valorizzare l'edificio, vero capolavoro dell'architettura razionalista realizzato nel 1948 da Luigi Cosenza e Marcello Canino. Basti pensare che quel maledetto giorno i giornalisti furono cacciati in malo modo dalla forza pubblica lì convenuta con equipaggiamento antisommossa come se avesse dovuto sgomberare l'intera area da pericolosi criminali.
Quando i colleghi russi vennero in visita a Napoli il Circolo ancora doveva essere ristrutturato, naturalmente a spese dell'Ordine e con pesante autotassazione, eppure conservava quella frescura estiva e quel tepore invernale che mai dimenticherò, avendoci lavorato e avendolo frequentato assiduamente. Si sentirono a loro agio e si comportarono con grande apertura incuriositi da tutto ciò che li circondava. 
Ebbene oggi nulla di tutto questo potrebbe verificarsi in quanto l'Ordine é stato confinato in un anonimo appartamento di via Cappella Vecchia dove, forse e anzi con assoluta certezza, ricevere colleghi stranieri, sarebbe a dir poco mortificante e asfissiante senza le terrazze che affacciano su via Caracciolo.
Un pò di storia per coloro che non ricordano o per coloro che, troppo giovani per averlo frequentato, non ne hanno potuto apprezzare il prestigio e la capacità di accoglienza.
Un gruppo di giornalisti, fra cui Matilde Serao, Edoardo Scarfoglio, Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo, Gaspare De Martino, Saverio Procida, Roberto Bracco, Giulio Francesconi e Arturo Colautti, il gotha della cultura partenopea dell'epoca, inaugurarono l'originario sodalizio alla presenza di Giosuè Carducci e la sua ispiratrice nonchè scrittrice Anna Vivanti. E già nel 1917 Toto Scarfoglio allestì il "Circolo dei Giornalisti" nei locali precedentemente adibiti a deposito per i giardinieri comunali avendone ottenuto l'autorizzazione dal Comune di Napoli che, evidentemente, all'epoca era gestito da gente che per la cultura aveva rispetto e possedeva la dote della lungimiranza. Subito dopo la seconda guerra mondiale il nuovo edificio del circolo fu costruito dall'architetto Cosenza, su progetto di Ferdinando Isabella, dopo che Alfonso Franciosi ebbe l'autorizzazione a costruire dal Comune. Da allora una storia intensa che ha visto protagonisti, fra gli altri, Enrico De Nicola e Benedetto Croce, Adriano Falvo e Giacomo Lombardi e più generazioni di giornalisti; fino a giungere al maggio del 1989 data in cui la Casa dei Giornalisti fu nuovamente inaugurata con una veste assai professionale e più elegante. Il resto è cronaca giusto pane per i denti dei giornalisti; ma é anche vergogna per una città metropolitana che, indecorosamente non riesce neanche a portare a termine semplici lavori di ristrutturazione.
Fine della storia. Oggi é un disastro. Capolavoro dell'abbandono, dell'irresponsabilità di una classe dirigente e politica che non è all'altezza di gestire la cosa pubblica e che persevera nel compiere gli errori del passato.

Ottima e snella inchiesta del collega freelance Antonio Folle per "Roadtvitalia" caricata il 28 luglio 2014 ma sempre attuale (purtroppo!):







giovedì 12 marzo 2015

L'ACQUEDOTTO CAROLINO NELLA VALLE DI MADDALONI UN PATRIMONIO DA SALVARE ASSOLUTAMENTE

















All'interno degli archi dei Ponti della Valle - Maddaloni (Ce)
Foto di Antonio Tortora


Quando parliamo dell'Acquedotto Carolino e dei cosiddetti Ponti della Valle non dobbiamo mai dimenticare che si tratta della maggiore opera di ingegneria idraulica dell'epoca realizzata per volere di Carlo III° di Borbone e grazie alle competenze per certi versi visionarie dell'architetto tardo barocco Lodewijk van Wittel. Con i suoi 40 chilometri (l'antica misura di lunghezza del Regno delle Due Sicilie era il "braccio" che equivaleva a 0,5421 metri) superava arditamente un territorio, orograficamente molto complesso, che partiva dalle sorgenti "del Fizzo" poste alla falde del Taburno per raggiungere il monumentale parco della Reggia di Caserta. Contrariamente a quello che molti credono la funzione dell'acquedotto era di natura sociale e non meramente dilettevole ovvero avrebbe dovuto raggiungere, con le sue acque potabili, Caserta, il borgo utopistico di Ferdinandopoli a San Leucio, patria della filatura della seta, ed infine Napoli. Purtroppo dopo poco meno di vent'anni, nel 1770, l'opera rimane incompleta e le acque vengono riversate nel vecchio acquedotto del Carmignano.
Ciononostante il monumentale viadotto chiamato "Ponti della Valle" affascina per l'arditezza spericolata con cui la Valle di Maddaloni viene superata da Luigi Vanvitelli che con un ponte ad archi, simile a quelli realizzati dai Romani, collegò il monte Longano con il monte Garzano. "L'opera sarà reale - scrive lo stesso celebre ingegnere in un suo carteggio - vi farò gli ornati corrispondenti alla grande in stile de' Romani antichi, perchè l'opera lo comporta et è assai onorevole e cospicua per il Re e per me ancora" Il riferimento é chiaro; si tratta del Pont du Gard realizzato presso Nimes, sul fiume Gardon in Francia, da Agrippa, regnante Augusto; ovviamente più piccolo di quello di Maddaloni che si articola in tre ordini di archi a tutto sesto. Il primo livello è strutturato in 19 archi, il livello intermedio in 27 archi e quello superiore, una vera e propria strada pavimentata in pietra e larga tre metri percorribile in carrozza, in 43 archi.
Abbiamo realizzato, a testimonianza della magnificenza dell'opera vanvitelliana e dell'impegno sociale e politico di Carlo III° di Borbone, due slide antropologiche e due album fotografici che, ci auguriamo, possano stimolare la curiosità di coloro che ancora sono tiepidi nei confronti di opere così straordinarie e purtuttavia ancora così sconosciute.

Youtube: interno dell'Acquedotto Carolino



Album fotografico: Interno dell'Acquedotto Carolino (foto di Antonio Tortora)

Ecco cosa abbiamo scritto in una nostra recensione: 
https://plus.google.com/105718834886802055634/posts/jovJ5HPCfFu

"Per il recupero della nostra storia é fondamentale salvare questa opera ingegneristica monumentale dal degrado e dalla dimenticanza; la nostra corta memoria, infatti, non ci consente di valorizzare i beni culturali presenti e innervati sul territorio casertano che é, incredibile dictu, uno dei più interessanti e ricchi della Campania. Ma anche uno dei più sconosciuti. Tale lacuna deriva dalle caratteristiche di una regione, la Campania Felix, che con l'aggressione militare é stata assoggettata a un'Italia di facciata ed é stata distrutta nella sua organicità. Difatti i capoluoghi di provincia campani si sono, da quel triste 1861, comportati come i Comuni e le Signorie del passato che non facevano altro che combattersi fra loro. Pertanto é stato generato una sorta di razzismo strisciante che ha portato al relativo isolamento di ampie contrade e ad una guerra sorda fra diverse amministrazioni. Invece occorre cooperazione per uscire dall'impasse e i Borbone l'avevano ben compresa la logica unitaria che tanto ha giovato a tutto il Regno delle Due Sicilie. Cosicchè attraverso l'Acquedotto Carolino le due province, beneventana e casertana, furono collegate dalla cosa più preziosa che esiste: l'acqua e i problemi incommensurabili che misero a dura prova Luigi Vanvitelli e le sue maestranze furono brillantemente superati dalla creatività, dall'ingegno e dall'intelligenza. Per noi che guardiamo con ammirazione a un passato, che tutto sommato, non é poi tanto lontano non resta che accettare l'eredità unitaria e simbolica che fece grande un Regno e che che purtroppo tende a mettere in risalto la mediocrità del presente.
Complimenti a tutti coloro che amano la propria terra e si battono per risollevarne le sorti."



Album fotografico: Esterni dell'Acquedotto Carolino (Foto di Antonio Tortora)






Youtube: Esterni dell'Acquedotto Carolino




Per saperne di più:

L'Acquedotto Carolino di Cesare Cundari e Giovanni Maria Bagordo
http://www.aracneeditrice.it/pdf/9788854849372.pdf

La costruzione dell'Acquedotto Carolino attraverso le lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III° di Borbone durante la reggenza del Regno delle Due Sicilie(17591767) di Mariaclaudia Izzo:
http://www.rterradilavoro.altervista.org/articoli/05-03.pdf

Breve relazione illustrativa sul sopralluogo speleologico effettuato in un tratto dell’acquedotto Carolino in data 6 luglio 2013 (documento agli atti della FSC prot. CS13_31MR) Federazione Speleologica Campania:
http://www.gsne.it/notizie/wp-content/uploads/2013/07/Relazione-sopralluogo-Carolino.pdf

domenica 8 marzo 2015

E' VERO CI OCCUPIAMO DI NAPOLI E DI CULTURA MA NON POSSIAMO FARE FINTA CHE NULLA STIA ACCADENDO ATTORNO A NOI SOPRATTUTTO CONSIDERANDO CHE TROPPI GIOVANI OCCIDENTALI SONO TENTATI DI ABBRACCIARE LA CAUSA DELL' ISIS


Per un'antropologia della violenza terroristica dell'ISIS ovvero dello Stato Islamico al-Dawla al-Islāmiyya dell'Iraq e della Siria (abbreviato ISIS).





Per meglio capire il rischio che l'occidente sta correndo e le motivazioni  che spingono molti giovani a partire, da tutte le parti del mondo, per arruolarsi nelle fila del nascente e autoproclamato Califfato con a capo Abu Bakr al-Baghdadi, e con motto: Bāqiya wa Tatamaddad "Consolidamento ed espansione", riportiamo un recente studio elaborato da un analista esperto in psicologia e criminologia, Marco Strano, Presidente del Centro Studi per la Legalità la Sicurezza e la Giustizia (Italy) e Direttore Scientifico dell’International Forensics Consulting Team (Suisse) e dallo specialista comportamentale Mark Palermo – Presidente della Law & Behavior Foundation (The Netherlands).

I.S.I.S. FOREIGN FIGHTER: UNO STUDIO PILOTA SULLA VULNERABILITA’ ALLE TECNICHE DI RECLUTAMENTO DEI GIOVANI OCCIDENTALI.

Premessa

Milizie jihadiste


I “foreign fighter”, giovani occidentali che decidono di entrare nell’islam radicale, rappresentano una nuova e notevole risorsa per le organizzazioni terroristiche. Sono spesso individui di buon livello sociale e culturale, con notevole dimestichezza con le tecnologie informatiche (fattore oramai indispensabile per la gestione del terrorismo transnazionale) e soprattutto sono in grado di mimetizzarsi ed operare nei teatri occidentali, avendone assimilato la cultura ed essendo perfettamente in grado di muoversi con dimestichezza nelle grandi metropoli europee e statunitensi senza destare alcun sospetto. Il loro impiego è quindi possibile sia negli scenari di guerra mediorientali (Siria, Iraq ecc.) che nelle nazioni occidentali dove vengono reclutati. Convincere un giovane occidentale ad abbracciare una fede politico-religiosa dove potrebbe anche essere necessario immolarsi per la causa, non è però ragionevolmente una cosa facile utilizzando le strategie convenzionali della Jihad. Per questo motivo i gruppi jihadisti sono stati costretti a progettare e a realizzare metodologie di reclutamento diverse rispetto a quelle utilizzate nel terreno di coltura tradizionale per tali gruppi, ovvero le aree di disagio sociale delle nazioni mediorientali. Il presente articolo rappresenta un primo elemento divulgativo frutto di un progetto di ricerca attivato all’inizio del 2014 dalla Fondazione olandese Law&Behavior con la collaborazione di altri istituti di ricerca e che vede impegnata una equipe internazionale interdisciplinare.


Telematic Journal of Criminology
rivista fondata nel 1999 e diretta da Marco Strano


Due tipologie di foreign fighter
Il fascino della «guerra santa», sta conquistando numerosi giovani europei, statunitensi e australiani, alcuni già di religione musulmana e tipicamente di seconda generazione, altri che invece si convertono all’islam contemporaneamente alla scelta di andare a combattere in Siria e in Iraq a fianco dell’ISIS. Tra questi ultimi, anche alcuni italiani sono stati affascinati da questo percorso. Il loro numero reale è ancora in realtà incerto ma le prime stime parlano di svariate decine di individui (forse 50-70 soggetti). I giovani che decidono di lasciare l’occidente e di arruolarsi tra le fila dell’esercito dell’ISIS appartengono quindi sostanzialmente a due macro-categorie: la prima composta dai figli degli immigrati di religione musulmana che sono emigrati in occidente da anni e che risiedono stabilmente in varie nazioni europee, in USA e in Australia. La seconda categoria è quella composta invece da individui occidentali non di fede musulmana o tendenzialmente atei che non hanno nessuna “contaminazione” di religione islamica e che contestualmente al loro arruolamento si convertono alla fede musulmana. La seconda categoria è ovviamente maggiormente interessante perché in linea teorica necessita da parte dei reclutatori di un intervento di “avvicinamento” e di successivo convincimento più complesso e articolato.

Gli interrogativi che si diffondono nella società occidentale riguardano la possibilità di individuare in anticipo i gruppi o i singoli individui occidentali, cattolici e non, apparentemente integrati, che più di altri possano subire il fascino della Jihad. Su questa tipologia di giovani combattenti e sulla loro vulnerabilità al reclutamento si focalizza l’interesse scientifico del presente lavoro che anticipa una ricerca empirica quantitativa su un campione di giovani occidentali i cui risultati sono in corso di pubblicazione dagli autori del presente saggio.




L’impatto dell’ISIS sulla cultura occidentale
Il fenomeno dei giovani occidentali affascinati dall’estremismo islamico sta mettendo in allarme le strutture di intelligence statunitensi ed europee che si interrogano sul fatto se tale contesto possa essere o meno un fenomeno passeggero o se invece si possa trattare di una situazione in evoluzione. Attualmente la percentuale dei soggetti occidentali che hanno ceduto al fascino dell’islam radicale sembra essere ancora esigua ma i fenomeni sociali e psicosociali possono trovare inneschi e moltiplicazioni imprevedibili e devastanti. Il Ministero dell’interno finlandese in un recente report denominato “situation overview on violent extremism in Finland” è stato uno dei primi organismi istituzionali europei che ha tentato di delineare il profilo biografico e motivazionale dei cittadini finlandesi che si sono recati in Siria e in Iraq volontariamente per combattere a fianco dell’ISIS. Il report include anche una stima del numero (ancora contenuto) di cittadini finlandesi e dei residenti in quel Paese che sono partiti per combattere: 31 con cittadinanza finlandese e 17 stranieri residenti (con permesso di soggiorno). Provengono in particolare dalle grandi città. Il numero (in linea con altri Paesi) secondo le autorità non è da sottovalutare considerando il modesto numero di abitanti di quella nazione rispetto ad altri Paesi europei.





Un possibile profilo del foreign fighter
Il tentativo di delineare un profilo di questi giovani volontari che hanno abbracciato la realtà più radicale e violenta dell’Islam non sembra essere ancora una cosa agevole, al di là delle semplici valutazioni biografiche, di sesso, di scolarizzazione e di provenienza geografica. Cominciano a circolare report e studi prevalentemente di origine statunitense e britannica e la sensazione iniziale è che il fascino della fede jihadista trovi terreno fertile soprattutto in giovani maschi occidentali in piena crisi di valori e di ideali, probabilmente con un quadro personologico specifico ma ancora da definire attraverso criteri scientifici. Uno studio orizzontale attendibile potrebbe essere svolto primariamente in ambito istituzionale attraverso una analisi approfondita (psico-criminologica) su eventuali individui “di rientro” dalla guerra santa. In tal senso appare auspicabile una stretta collaborazione tra settori investigativi (antiterrorismo) e la comunità internazionale degli esperti di psicologia e psicopatologia, al fine di riuscire a sondare dinamiche più profonde rispetto a quelle convenzionali. Il range di età dei foreign fighters sembra comunque essere compreso tra i 18 e i 50 anni di età con una maggioranza della classe di età di 20/30 anni. Gli italiani vengono in prevalenza dalle città del Nord (Brescia, Torino, Ravenna, Padova, Bologna) e una parte minore dal centro-sud (Roma e Napoli). Molti dei combattenti volontari si sono convertiti all’Islam velocemente e poco prima della loro partenza per le aree di guerra e questo ha inertizzato le normali strategie predittive di intelligence attivate dai Servizi occidentali. Una certa percentuale è rappresentata dai figli di immigrati di seconda generazione, spesso con i genitori abbastanza integrati e moderati. La presenza di donne in questa dinamica risulta essere estremamente contenuta e nei pochi casi di partenze femminili si tratta in prevalenza di soggetti che accompagnano il loro compagno fino alla zona di operazioni per supportarlo logisticamente e affettivamente sul posto. Ultimamente però, le strutture di intelligence occidentali hanno segnalato un certo interesse dell’ISIS verso il reclutamento di giovani ragazze. Secondo alcuni articoli di stampa, i foreign fighters che provengono dalle varie Nazioni europee hanno inoltre un grado di scolarizzazione medio alto (molti hanno un diploma di scuola superiore e alcuni anche una laurea) e sovente provengono da famiglie con una buona disponibilità economica. Non sembra essere quindi la povertà materiale la spinta fondamentale o il fattore di vulnerabilità) sfruttato dai reclutatori. Alcuni analisti di intelligence ritengono che una cospicua percentuale di soggetti che hanno deciso di convertirsi all’islam aveva in precedenza una matrice ideologica estremista (di destra e di sinistra) e che la fede musulmana radicale consenta loro di sostituire i vecchi dogmi con nuove credenze assolute preconfezionate, probabilmente in grado di sopperire alla loro sedimentata difficoltà di discernimento logico, base della filosofia di vita occidentale che pone l’intelligenza e la critica costruttiva come motore dell’evoluzione sociale. Indubbiamente l’estrema destra italiana, almeno quella che fa riferimento al Fronte Nazionale, è da sempre attratta da posizioni terzomondiste e filo-arabe. Gli stessi nazisti non solo avevano reparti composti da combattenti di fede musulmana, ma alcuni di loro, alla fine della II guerra mondiale hanno trovato asilo in Egitto, ricoprendo anche cariche pubbliche, fino al 1970, durante il governo Nasser. La retorica anticapitalista, antisionista (e quindi antisemita) diviene un logico aggancio quindi a posizioni estremiste caratteristiche dell’ISIS e del terrorismo islamico in generale. La “causa” dell’ISIS può dunque rappresentare un pericoloso punto di collegamento per giovani della destra estrema, se non come riferimento “spirituale”, senza dubbio come modello. E’ sintomatico il fatto che due degli “homegrown” foreing fighters italiani, uno presumibilmente morto in Siria (Giuliano Delnevo), l’altro mai partito (Andrea Lazzaro), avessero simpatie e possibili affiliazioni con gruppi di estrema destra attorno cui hanno gravitato. L’elemento ricorrente nei giovani foreign fighter è comunque rappresentato dalla dimestichezza con i sistemi di comunicazione digitale e con i social network poiché quello è il canale primario attraverso il quale le organizzazioni terroristiche svolgono il proselitismo. Su questo aspetto, l’equipe di ricerca degli autori del presente articolo ha attivato uno studio sperimentale nell’ambito dei forum e dei social network attraverso dei ricercatori che simulano di essere giovani interessati alla Jihad per comprendere le strategie di contatto e di convincimento.


Flag of the Islamic State of Iraq and the Levant.


Principali canali e metodologie di reclutamento
L’attività di reclutamento, in base alle prime analisi effettuate, non avviene più solo attraverso individui che orbitano  nelle tante moschee presenti in Occidente. Secondo gli studi più recenti sono invece i social media (facebook, twitter, istagram, blog, chat ecc.) che forniscono una finestra – non filtrata – per operare il reclutamento dei giovani combattenti. Un largo numero di foreign fighters riceve infatti le informazioni sul conflitto attraverso canali non ufficiali. In rete ci sono migliaia di siti che veicolano la propaganda jihadista in varie lingue e che permettono anche ai potenziali simpatizzanti jihadisti di comunicare tra loro attraverso forum e chats e di trovare così un rinforzo psico-sociale. Alcuni di questi siti sono riconducibili ai gruppi jihadisti “ufficiali” altri sono invece stati creati da “cani sciolti” che però nel tempo hanno conquistato una cerca credibilità tra gli utenti. L’approccio è spesso anche quello dell’adbusting, soprattutto quello che propone colori, sensazioni e ambientazioni tipiche dei moderni videogames e dell’architettura web (logica ed estetica) dei social network che va per la maggiore. Recentemente è stato anche diffuso dalle organizzazioni terroristiche un video su youtube realizzato modificando un famoso gioco di guerra che si chiama Grand Theft Auto molto diffuso tra i giovani occidentali. Alla fine del trailer, appare la significativa scritta “quello che voi fate per gioco noi lo facciamo veramente sul campo di battaglia”. La strategia di avvicinamento è elementare quanto maledettamente efficace. L’I.S.I.S. sfrutta inoltre abilmente la diffusione “virale” velocissima (e a costo zero) di messaggi di testo e di immagini che vengono commentate e condivise sui social network. I post/contenuti più efficaci per questo scopo sono quelli a forte carica emotiva come i video delle esecuzioni e le immagini di sangue che vengono diffusi dagli utenti primariamente per esorcizzare l’orrore e per dissipare l’ansia ma che raggiungono in tal modo anche individui che possono manifestare reazioni di attrazione verso tale messaggi. L’attività di manipolazione e di indottrinamento iniziale non sembra comunque essere particolarmente sofisticata poiché le avanguardie dell’ISIS possono sfruttare la fisiologica fragilità delle classi giovanili e la loro facile infatuazione verso messaggi forti e ricchi di simbologia. La sensazione tra gli esperti di comunicazione è che la diffusione di messaggi culturali patogeni sia inizialmente indeterminata e con diffusione casuale e che possa però trovare numerosi recettori tra le aree giovanili “perennemente in attesa” di contesti in grado di fornirgli una identità. E’ quella che viene definita “tecnica del ragno” dove i messaggi appetibili vengono costruiti e diffusi in attesa che qualcuno psicologicamente predisposto vi rimanga impigliato. Ma le tecniche di reclutamento classico face-to-face sono comunque ancora presenti nella dinamica di inserimento dei giovani foreign fighters nella comunità terroristica. I reclutatori “facilitatori” operano anche nei luoghi di culto musulmano e nei quartieri periferici delle grandi città occidentali, osservando e selezionando i potenziali nuovi aspiranti jihadisti europei. I reclutatori sono uomini di esperienza che vivono da molto tempo in occidente ma che mantengono stretti contatti con l’organizzazione “madre” in medioriente. Forniscono consigli su come ottenere i visti e su come raggiungere la Siria o l’Iraq e spesso organizzano il viaggio fornendo biglietti aerei, mail e numeri di telefono per contattare i gruppi combattenti.




Le tecniche di indottrinamento
Le tecniche di indottrinamento sono pervasive e rapide e compatibili con le esigenze dell’ISIS che ha necessità di inviare rapidamente giovani combattenti verso i teatri di guerra o di consolidare una rete logistica nei paesi occidentali di origine (in Italia sarebbero un gruppo indefinibile tra le 50 e le 200 unità secondo le stime di intelligence). Attraverso i social media è emersa così una nuova figura di “reclutatore” il cui compito fondamentale è quello di intercettare i soggetti potenzialmente compatibili fornendo in primo luogo incoraggiamento, giustificazione e legittimazione religiosa al conflitto in Siria. Questi elementi di “contatto e avvicinamento” devono necessariamente avere dimestichezza con gli strumenti di comunicazione elettronica e con le psico-tecnologie. Dopo il primo approccio, i reclutatori devono riuscire a mettere in contatto i giovani potenziali combattenti con le organizzazioni jihadiste nei teatri di guerra, organizzare il loro viaggio e prepararli all’impatto con la realtà dei campi di addestramento. A questo punto l’azione dell’ISIS esce dal mondo digitale e psico-tecnologico e si trasferisce nelle dinamiche face-to-face tipiche del fondamentalismo islamico radicale. La testimonianza video di André Poulin, riportata ampiamente dai media, rappresenta una importante fonte di informazioni sui metodi di reclutamento e di addestramento dei giovani occidentali e sul passaggio dalla dimensione digitale a quella reale del campo di battaglia e della morte. Poulin, infatti, è stato reclutato nel suo Paese e per un certo periodo di tempo è divenuto un combattente canadese dell’Isis. E’ stato ucciso durante un assalto all’aeroporto di Minnigh, nell’estremo nord della Siria, al confine con la Turchia.



 Psicologia e psicopatologia del “foreign fighter”
L’idea che l’interesse dei giovani occidentali per il conflitto in Siria e in Iraq possa trovare ragione in elementi antecedenti “deterministici” individuabili attraverso un’analisi accurata ci lascia un po’ perplessi. Da un primo sguardo sommario (effettuato purtroppo solo attraverso i media) le caratteristiche dei foreign fighters sembrano essere abbastanza comuni e diffuse anche nella maggior parte dei giovani che scelgono viceversa una “esistenza normale” e che non manifestano attrazione nella guerra santa. L’emarginazione, il disagio sociale, l’incertezza per il futuro, la crisi di identità personale, il bisogno di appartenenza, il fascino per l’ignoto e l’avventura, rappresentano infatti attualmente categorie psico-culturali universalmente diffuse nella classe di età post-adolescenziale che racchiude la maggior parte degli individui che hanno ceduto alle tecniche di reclutamento dell’ISIS (milioni di soggetti in tutta Europa). Comunque, nell’ipotesi di un approccio deterministico multifattoriale, eventuali fattori predisponenti da collocare in una ipotetica griglia interpretativa (diagnostico-predittiva) dovrebbero necessariamente essere individuati nelle seguenti dimensioni:

sociale (risorse, aspettative)
psicosociale (appartenenza, identità)
psicologica (personologica)
psicopatologica (disagio, disturbi in asse I e II)

Ma nelle complesse dinamiche che possono condurre un giovane occidentale ad abbracciare una fede islamica radicale ed estrema e a recarsi nelle aree di conflitto in Siria e Iraq divenendo “foreign fighters” possono rivestire un ruolo determinante – così come in ogni dinamica umana – anche fattori casuali e addirittura fattori intangibili e oscuri. Non solo quindi la fede religiosa (probabilmente relegata in un secondo piano) ma diverse variabili psicologicamente significative dovrebbero essere sondate rispetto alla vulnerabilità ai messaggi dell’ISIS.

 Tra questi, ad esempio, un ruolo chiave potrebbe essere ricoperto da:

Il fascino della partenza e dell’avventura
Il fascino delle armi
La presenza di un sé fragile e dai contorni sfumati
Uno stato d’ansia nel soggetto
Il disagio e l’emarginazione
La bassa tolleranza alle frustrazioni
La voglia di rivalsa autodistruttiva
La difficoltà economica e l’incertezza per il futuro
L’interesse per la sessualità predatoria apparentemente prospettata dalla Jihad
L’inclinazione all’aggressività e alla violenza

Su queste aree dovrebbe essere costruita a nostro avviso un’attività di ricerca nei confronti di coloro che sono stati già reclutati dall’ISIS.

 Il gruppo combattente dell’ISIS offre infatti ai giovani cinque elementi fortissimi che più degli altri sembrano essere in grado di soddisfare i bisogni dei giovani:

un’identità affascinante e ben definita
una simbologia immediata e condivisa
una illusione di onnipotenza
una sensazione di appartenenza
la consapevolezza di rivestire un ruolo nella storia dell’umanità

Recentemente è stata anche avanzata la fantasiosa ipotesi del paradosso psicologico che vedrebbe alcuni individui avvicinarsi alle strutture dell’ISIS per paura e per tentare quindi una esorcizzazione dell’ansia rispetto a possibili aggressioni del mondo occidentale da parte della comunità islamica fondamentalista. Secondo questa ipotesi un fattore di notevole rilevanza nelle dinamiche di reclutamento sarebbe legato proprio alla possibilità di esorcizzare il timore della violenza da parte del fondamentalismo islamico attraverso un avvicinamento a tale contesto. Appartenere alla comunità di coloro che si temono potrebbe essere inteso, in tale ottica, anche come un sistema per risolvere la paura attraversando il fronte e ponendosi dalla parte di quelli più aggressivi e pericolosi.


Il fascino della guerra e l’autopercezione del “guerriero”
La cultura occidentale ha da sempre trasferito nelle nuove generazioni un rapporto psicologico culturale con la guerra “altalenante” e incongruente dove, parallelamente all’orrore per la morte e la violenza, si radica tutto sommato una dimensione positiva e “onorevole”. I telefilm a ispirazione militare hanno invaso la cultura occidentale degli ultimi 30 anni e vengono notevolmente fruiti dalla popolazione giovanile. Molti giovani aspirano infatti a intraprendere una carriera “forte”, nelle forze armate o in altri contesti dove possono auto-percepirsi come “i buoni” che combattono “i cattivi”. Tale dimensione sembra essere sfruttata dall’ISIS nelle sue campagne di fascinazione e reclutamento che sovente mostrano campi di addestramento militare e scene di combattimento, con una qualità di immagini e di “regia” che consente facilmente ai “riceventi” di assimilare percettivamente questi video-clip a scene filmiche. In tal senso, La possibilità di trovarsi velocemente in uno scenario di combattimento dove si delinea una controparte aggressiva, dove si indossa una uniforme militare, dove esistono comandanti e ordini, può rappresentare per alcuni individui un’atmosfera per certi versi surreale ma eccitante e idonea a soddisfare queste istanze psico-simboliche tipiche delle menti semplici. Non vi è dubbio che l’eversione e l’estremismo in generale, prenda in modo particolare su assetti cognitivi semplificati. Ma anche rigidi. Solo la rigidità infatti è compatibile con i livelli di determinazione necessaria allo scopo del terrorista o del “guerriero” che non può e non deve essere distratto dalla sua missione.



 Una ricerca sulla vulnerabilità al reclutamento dei giovani occidentali
Ma come è possibile che un giovane europeo che ha assimilato i modelli di cultura occidentale decida improvvisamente di partire verso uno scenario di guerra o di rappresentare una base logistica e militare nel suo Paese per le organizzazioni terroristiche? Individuare i fattori predisponenti che possono concorrere a rendere “appetibile” il messaggio dei reclutatori dell’ISIS, i meccanismi di fascinazione e le vulnerabilità specifiche, è un obiettivo importante per la comunità scientifica, anche per poter supportare eventuali strategie di prevenzione e di “contro-informazione”. Gli autori del presente lavoro hanno promosso uno studio pilota e hanno predisposto un assessment preliminare composto da un questionario strutturato che è stato somministrato a un campione pilota di soggetti di nazionalità italiana e di varie religioni. Lo strumento è suddiviso in quattro aree:

Generica fascinazione per il fenomeno ISIS/foreign fighter
Percezione del rischio
Stima dell’attribuzione sociale e dello stigma
Condizione psicologica e psicopatologica preesistente

Lo scopo primario dello studio è l’individuazione di possibili vulnerabilità a livello sociale e la diffusione nella popolazione (specie giovanile) di archetipi e atteggiamenti favorevoli rispetto al fenomeno dei foreign-fighters. I risultati dello studio pilota potranno trovare utile impiego sia nella valutazione del fenomeno in termini di intelligence che per supportare la realizzazione di progetti di prevenzione. La difficoltà implicita nel creare un profilo caratteristico del giovane radicalizzato, in modo particolare quando non musulmano e quindi senza un retroterra culturale che lo possa, seppur in modo sganciato dalla maggioranza della sua comunità almeno dare un senso alla sua scelta, può essere in parte superata attraverso una combinazione di approcci. Il momento culturale odierno che sembra caratterizzato da rabbia ed aggressività crescenti in combinazione con le fisiologiche fasi evolutive dei giovani maschi, legate anche banalmente ad assetti ormonali normali per l’età, ma anche come sopra, alla necessità di dimostrare a sé ed agli altri il proprio valore, rischia di portare ad una sottovalutazione del fenomeno. Lo studio e la consapevolezza di quelli che posso rappresentare segnali di allarme, sia nella persona che nella effettiva comunicazione delle proprie simpatie e dei propri intenti attraverso i social network ma anche in seno alla famiglia, diventa fondamentale. La cosidetta “self-radicalization” (auto-radicalizzazione), che si riferisce ai “lupi solitari”, non necessariamente aggregati a gruppi estremisti ma che ne sono simpatizzanti o quanto meno ispirati, e che consiste nel divenire terroristi senza un effettivo indottrinamento diretto, è uno dei fenomeni che più interessano gli autori dello studio, proprio per la sua pericolosità, ma anche per il potenziale di intervento. L’auto-radicalizzazione ovviamente non riguarda solo il terrorismo di matrice islamica (vedi Timothy Mc Veigh e la strage di Oklahoma City e Anders Breivik e la strage di Utoya) e, in modo particolare per ciò che concerne i giovani occidentali non di fede o cultura musulmana, può rappresentare, anche grazie ad una esposizione sistematica a stimoli mediatici, il meccanismo più probabile di ingresso nel mondo del terrore. Il narcisismo caratteristico dell’auto-radicalizzato, che ha necessità di dimostrare non tanto il proprio valore, quanto il disvalore dell’altro, lo porta inevitabilmente a dimostrazioni pubbliche che non vanno sottovalutate e che, proprio perché pubbliche possono essere facilmente osservabili. Purtroppo il “lone wolf terrorist” (lupo solitario) è quello più pericoloso proprio perché disaffiliato. I primi risultati saranno resi pubblici dagli autori entro la metà del mese di gennaio 2015.



RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Olivia Becker “Pro-ISIS Recruitment Video Encourages Foreign Fighters to Join Jihad” (news.vice.com) – June 21, 2014

Juha Saarinen “The Clear Banner: Update on the Finnish Foreign Fighter Contingent” (jihadology.net) – October 18, 2014

Polly Mosendzoct “The Teenage Fans of ISIS”   (theatlantic.com) – June 22, 2014

Kris Wolfe “How Absent Fathers May Be Contributing To ISIS Recruitment” (goodguyswag.com) – October 21, 2014

Randy Borum & David Verhaagen “Assessing and managing violence risk in juveniles”, The Guilford Press, 2006

Soeren Kern “Italy: ‘Fighting in the name of Allah’”. Gatestone Institute, July 9, 2013

Bertrand Rip et al. “Passion for a cause, passion for a creed: on ideological passion, identity threat, and extremism”. Journal of Personality, June 2012

Reid Meloy et al. “The role of warning behaviors in threat assessment: an exploration and suggested typology”. Behavior Science and the Law, June, 2012

 Tratto da: www.psychatryonline.it  owww.criminologia.org (per gentile concessione)

lunedì 2 marzo 2015

ANCORA IL BLOG FRANCESE NAPOLIPOLE RIPRENDE UN NOSTRO ARTICOLO-POST DEDICATO A CASTEL SANT'ELMO SULLA COLLINA DI SAN MARTINO

Dal blog francese NAPOLIPOLE di Christine Kerverdo


Antonio Tortora e panorama dal Belvedere di San Martino


Dal sito: http://napolipole.blogspot.it/2015/03/promenade-anthropologique-au-castel-san.html


dimanche 1 mars 2015

Promenade anthropologique au Castel San Elmo avec Antonio Tortora

Castel Sant'Elmo, Vomero, promenade anthropologique

Au Castel Sant'Elmo, promenade anthropologique avec Antonio TortoraDans cet endroit splendide, fortifié et panoramique, avec Mario Zifarelli nous avons pris quelques photos intéressantes pour l’exposition intitulée “Naples révélée” et on ne peut occulter le fait qu’il s’agit d’un lieu d’une extrême importance, d’un point de vue historique, architectural et ésotérique.

Le plan étoilé du Castel Sant’Elmo s’élève sur un emplacement très symbolique, où, tout en fusionnant la terre avec le ciel et la cité avec la sphère métaphysique, l’ancien Patulcius devenu Paturcium, était consacré à Janus, la divinité romaine bicéphale, dont chose rare, voire unique, on ne trouve aucun équivalent dans le panthéon grec. C’est pourquoi cette divinité était un mystère, même pour les érudits antiques. Il s’agit d’une des plus anciennes divinités du culte romain, elle existait dans les calendriers les plus archaïques, démontrant ainsi l’importance que les Romains accordaient à un endroit qui représentait une surface de “contact” énergétique entre la terre et le ciel, entre l’énergie tellurique et l’énergie cosmique; un véritable centre spirituel. Pour qui sait observer, Janus ouvre et ferme les portes des solstices encore aujourd’hui.
Mais retournons aux photos; les sujets qui nous ont le plus frappé, entre autres, sont le blason en pierre de Charles V, avec son aigle bicéphale puissant et extraordinaire, gravé sur la porte d’entrée, à laquelle on accédait par un pont-levis, à un moment; le tout à proximité de la “Grotte de l’Ermite”, constellée de croix de pénitence, gravées dans les murs. Et ce qui a aussi attiré notre attention, c’est la chapelle, à partir de laquelle on accédait aux cellules où le dominicain calabrais Tommaso Campanella, emprisonné au moins cinq fois par l’Inquisition et condamné à une dure peine de prison, a écrit divers ouvrages, parmi lesquels figure la Città del Sole. Certains de ses écrits ont pu rejoindre l’extérieur des murailles fortifiées et sortir du secret dans lequel il a été confiné pendant des années, grâce à ses disciples fidèles et courageux, Tobias Adami et Wilhelm Wense, terminant entre les mains justes de Valentin Andreae, fondateur de la Rose-Croix; puis, ces écrits passèrent à Giordano Bruno, aux doctrines rosicruciennes et à toutes les tendances, utopistes et libres-penseurs, qui se sont dépensés sans compter et qui se dépenseront sans compter pour réformer le monde de la politique, de la culture et de la société.

“Ils disent qu’on se demande si le monde fut créé à partir de rien, ou à partir des ruines d’autres mondes, ou à partir du chaos; mais quelle que soit de quoi il a été fait, son existence est certaine” (extrait de la Città del Sole de Tommaso Campanella)”.

D'après ESCURSIONE ANTROPOLOGICA DI ANTONIO TORTORA A SAN MARTINO (CASTEL SANT'ELMO) CON FOTO DI MARIO ZIFARELLI.

Pour aller plus loin...
Concernant Tommaso Campanella et la Città del Sole:
Concernant la divinité Janus

http://mythologica.fr/rome/janus.htm et Mario Zifarelli, de Janus à Tommaso Campanella

Vue de la colline du Vomero de la Via Stendhal, Naples
Foto tratta dal Blog Napolipole di Christine Kerverdo