giovedì 26 febbraio 2015

TEMPLARI E TEMPLARISMO ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO. DOPO UN MILLENNIO DI STORIA L'AVVENTURA PER NOI E' APPENA COMINCIATA



Per un'antropologia templare. Filo di Arianna della storia, tra mito e realtà, tra spirito immanente e materia transeunte.
                                  





Antonio Tortora mentre consulta un testo sui Templari
Sin da quando, nel lontano 1118, il borgognone Hugues de Payens (da alcuni ricercatori e storici italianizzato in Ugone de' Pagani) e otto suoi compagni offrirono a Baldovino II di Gerusalemme il servizio di Milites Christi al fine di tentare di liberare le vie della Palestina dalle scorrerie islamiche é trascorso poco meno di un millennio. In quell'occasione il Re concesse loro un'intera ala del suo palazzo sito nelle immediate vicinanze di ciò che furono le rovine del Tempio di Salomone ovvero la Moschea della Roccia al-Aqsa. Ed é proprio dal Tempio che i cavalieri presero il nome e lo assunsero a simbolo della loro epopea storica e metastorica. Dopo soli 196 anni la tragedia.


Bolla papale Ad Provvidam (Foto di Antonio Tortora)


Il 18 marzo del 1314 L'ultimo Gran Maestro dell'Ordine Jaques B. de Molay, il ventiduesimo per la precisione, unitamente a Geoffroy de Charnay Gran Precettore di Normandia venivano bruciati vivi a Parigi. Tutto ciò accadeva mentre i due esponenti Templari proclamavano l'innocenza dell'Ordine e la loro innocenza personale, denunciavano con forza le sopraffazioni e le feroci torture subite, reclamavano increduli la personale dipendenza giurisdizionale del Gran Maestro dal Papa. 




Alcuni testi consultati presso la libreria L'Apostrofo
(Foto di Antonio Tortora)



 La massima autorità spirituale del tempo, Clemente V, e la massima autorità temporale di Francia Filippo il Bello si resero colpevoli di un orrendo massacro sulle cui motivazioni non é stata fatta ancora piena luce e sulla cui ferocia inaudita e ingiustificabile molto si é scritto ma molto poco si è compreso.









Sator Simbolo magico graffito nel chiostro dell'Abbazia di Valvisciolo
(Foto di Antonio Tortora)

Nasce dunque un mito, che affascina le menti eroiche, che avvince gli idealisti, che condiziona la storia non solo dell'occidente, che genera poesia, che alimenta la fede, che carsicamente riemerge a ricordare con insistenza che le colpe, anche quelle storiche, non possono e non devono rimanere impunite.
Stiamo cercando di capirci qualcosa, con l'aiuto di due amici, Ciro e Christian Andolfi della libreria L'Apostrofo di Port'Alba, che, con slancio e passione, selezionano testi e raccolgono documenti; mostrando peraltro un grande rispetto per lo studio e la ricerca e riproponendo nella contemporaneità lo stile del libraio antiquario, oggi quasi del tutto scomparso. Se qualcosa sappiamo e se qualcosa sapremo di più su una materia così affascinante e ricca di stimoli lo dobbiamo anche alla loro leale pazienza e alla loro competenza.
Un momento della consultazione
(Foto di Christian Andolfi)

mercoledì 25 febbraio 2015

CI SONO ANTICHE SCRITTURE CHE ANCORA DEVONO ESSERE DECIFRATE, CIO' PONE SERI INTERROGATIVI SULLA TRASMISSIONE DEL SAPERE E DELLA CULTURA. ALMENO OTTO GLI ANELLI MANCANTI E CHIARAMENTE INDIVIDUATI, GIA' QUALCHE ANNO FA, DALLA PUBBLICAZIONE DI INFORMAZIONE SCIENTIFICA NEW SCIENTIST


Per un'antropologia delle antiche scritture non ancora decifrate.

Per chi crede che la scienza ufficiale abbia risolto tutti i misteri e abbia dato tutte le risposte alle domande che l'uomo rivolge a sè stesso e al sistema culturale vigente ci sono cattive notizie. In un articolo apparso su New Scientist del maggio 2009 si parla di otto antiche scritture non ancora decifrate e quindi di una enorme quantità di civiltà umana ancora nell'ombra, in attesa di essere illuminata. Ad oggi, anno 2015, la situazione è immutata e l'avventura continua.

Decoding antiquity: Eight scripts that still can't be read

27 May 2009 by Andrew Robinson
Magazine issue 2710.
Pictures of spreads from New Scientist magazine

WRITING is one of the greatest inventions in human history. Perhaps the greatest, since it made history possible. Without writing, there could be no accumulation of knowledge, no historical record, no science - and of course no books, newspapers or internet.

The first true writing we know of is Sumerian cuneiform - consisting mainly of wedge-shaped impressions on clay tablets - which was used more than 5000 years ago in Mesopotamia. Soon afterwards writing appeared in Egypt, and much later in Europe, China and Central America. Civilisations have invented hundreds of different writing systems. Some, such as the one you are reading now, have remained in use, but most have fallen into disuse.

These dead scripts tantalise us. We can see that they are writing, but what do they say?

That is the great challenge of decipherment: to reach deep into the past and hear the voices of 
Articolo originale da New Scientist:


Disco di Festo - Creta - Civiltà minoica (foto tratta dal web)


Da quando è comparso sulla Terra l'uomo ha sempre sentito l'esigenza di trasmettere alle generazioni successive le conoscenze e l'esperienza acquisita nel tempo. La scrittura è certamente l'invenzione più importante per tramandare la storia. Senza la decifrazione dei linguaggi antichi oggi l'umanità avrebbe una cognizione molto limitata delle civiltà del passato. Secondo gli storici la prima scrittura a comparire sulla Terra è quella cuneiforme usata dai Sumeri: incise su tavolette di argilla le prime testimonianze risalgono al 3.000 a.C. Successivamente forme di scrittura apparvero in Egitto, quindi in Europa e via di seguito in Cina e in America del Sud. Benché molte scritture del passato siano state decifrate dagli storici, esistono ancora oggi linguaggi oscuri. Proprio a queste scritture ancora da decifrare la rivista inglese New Scientist dedica un lungo reportage individuando otto importanti grafie che restano ancora sconosciute all'umanità.
IL METODO UTILIZZATO - Per interpretare una scrittura del passato lo studioso deve poter contare sempre su due requisiti minimi: un'abbondanza di testi e reperti archeologi che aiutino a interpretare i linguaggi sconosciuti. L'umanità non avrebbe mai decifrato i geroglifici egiziani senza l'aiuto della Stele di Rosetta, la lastra in granito scuro scoperta nel 1822 in Egitto. Su questo reperto archeologico è incisa un'iscrizione in tre differenti grafie: geroglifico, demotico e greco antico. Attraverso la comparazione con il greco antico, idioma ben conosciuto dagli studiosi, questi riuscirono a comprendere le regole e i significati dei geroglifici egiziani. Oggi le scritture antiche ancora da decifrare si possono dividere in tre categorie: le scritture il cui alfabeto è stato decifrato ma non si è compresa la lingua; le scritture il cui alfabeto è incomprensibile ma di cui si conosce la lingua; scritture i cui alfabeto e linguaggio sono entrambi incomprensibili.
L'ETRUSCO E IL MEROITICO - La prima scrittura ancora da decifrare elencata dal New Scientist è quella etrusca. L'alfabeto è stato quasi completamente decifrato assieme a importanti aspetti della grammatica, ma l'interpretazione del linguaggio ancora oggi appare complessa e spesso incomprensibile. Ciò accade anche perché la maggior parte delle numerose iscrizione etrusche arrivate fino a noi (circa 10mila) sono per lo più scritti funerari e generalmente molto brevi. Inoltre, sebbene la scrittura assomigli molto al greco antico, vi sono sostanziali differenze. Prima di tutto le lettere etrusche si scrivono da destra a sinistra, nella direzione opposta a quella greca. Poi l'etrusco è una lingua che non deriva dall'indoeuropeo, ma proprio come l'odierna lingua basca non ha alcun legame con le grandi famiglie linguistiche dell'antichità. Stesso discorso per la seconda scrittura dell'elenco: l'alfabeto meroitico. Usato dagli abitanti del regno di Kush, civiltà che fiorì intorno all'800 a.C. nel Nord Africa, tra il sud dell'Egitto moderno e la parte settentrionale del Sudan, gli studiosi ne hanno decifrato l'alfabeto, ma non il linguaggio. Per quanto riguarda la scrittura, come per la lingua antica egiziana conosciamo due forme di grafia: la geroglifica, usata per lo più sui monumenti, e quella corsiva, usata nel commercio e nelle faccende quotidiane. Entrambe le forme di scrittura sono dotate di 23 segni che furono decifrati nel 1911 dall'egittologo e professore di Oxford Francis Llewellyn Griffith. Tuttavia il significato delle parole continua a essere sconosciuto e non ha alcuna somiglianza con nessuna delle lingue parlate nell'Africa subsahariana.

Scrittura simbolica Rongo Rongo - Isola di Pasqua (Foto tratta dal Web)


LINGUAGGI PRECOLOMBIANI - Tra le scritture ancora da decifrare elencate dal New Scientist compaiono anche un gruppo di grafie usate da civiltà precolombiane: l'olmeca, la zapoteca e la epi-olmeca. La prima scrittura fu usata dall'omonima civiltà vissuta tra il 1.500 A.C. e il 400 d.C. nell'odierno Messico centro-meridionale, a est dell'istmo di Tehuantepec. Fino a pochi anni fa si pensava che questa popolazione antica fosse analfabeta, ma nel 1990 è stato scoperto un blocco di pietra su cui compaiono iscrizioni che risalgono al 900 a.C. In tutto sono presenti circa 60 simboli, fino ad oggi non decifrati: secondo gli studiosi finché non saranno ritrovati altri reperti archeologici con gli stessi simboli sarà davvero difficile interpretare questi segni. Qualcosa in più sappiamo invece del linguaggio usato dalla civiltà zapoteca: questa fiorì nella Valla di Oaxaca circa 2.600 anni fa. Gli zapotechi usavano un tipo di scrittura a ideogrammi sillabici e le prime iscrizioni ritrovate risalgono al 600 a.C. e sono presenti su pareti dipinte, ma anche su vasi, ossa e gusci. Questa popolazione parlava un linguaggio che ancora oggi è usato da sparute popolazioni che vivono nel Centro America. Tuttavia gli studiosi non sono riusciti a ricostruire l'alfabeto usato da questa civiltà anche a causa delle estreme confusione e complessità dei linguaggi parlati dalle moderne popolazioni zapoteche. Infine vi è la grafia epi-olmeca. La prima traccia di questa scrittura risale al 1902, quando fu scoperta la statuetta di Tuxtla, una figura in nefrite risalente al II secolo d.C. La lingua parlata dalla popolazione che ideò questa scrittura è probabilmente una versione arcaica dello Zoche, idioma ancora oggi usato nell'Istmo di Tehuantepec. John Justeson e Terrence Kaufman, due studiosi americani, hanno proposto una decifrazione frammentaria di questa scrittura, ma finché non saranno trovati nuovi reperti sarà molto difficile avere un'interpretazione chiara.
DALLA LINEARE AL DISCO DI FESTO - Tra le scritture antiche ancora da decifrare una delle più famose è la "Lineare A". Scoperta insieme a un'altra scrittura antica, la Lineare B (decifrata nel 1952), dal celebre archeologo britannico Arthur Evans durante gli scavi a Creta nel 1900, questo alfabeto era usato sull'isola greca dalla civiltà micenea nel II millennio a.C. Composta da segni che vanno da sinistra verso destra e presente su diverse tavolette d'argilla, questa scrittura è tuttora indecifrata e poco comprensibile, sebbene abbia molti simboli in comune con la Lineare B. Segue la scrittura Rongo-Rongo (significa "canti") usata già dai primi abitanti dell'isola di Pasqua: essi sbarcarono sull'isola dell'Oceano Pacifico intorno al 300 d.C. Questa lingua antica è molto simile al Rapanui, l'odierno idioma parlato sull'isola di Pasqua, ma la scrittura è incomprensibile e complessa (si tratta di una grafia "bustrofedica", ovvero un sistema di segni che non ha una direzione fissa, ma che cambia senso continuamente). Sono arrivati fino a noi solo 25 iscrizioni in Rongo Rongo: la maggior parte di questi scritti sono incisi su pezzi di legno. Un'altra scrittura incomprensibile è quella "Indus", usata dalla civiltà che visse nella Valle dell'Indo tra il 2.500 e il 1.900 a.C. Purtroppo ci restano poche iscrizioni, presenti per lo più su vasi di ceramica e non vanno oltre i 5 caratteri. I segni conosciuti sono circa 400 e a causa della brevità delle iscrizioni non è stato possibile ancora decifrare questa scrittura. Le ultime due grafie storiche ancora da decifrare sono quella proto-elamica e la scrittura presente sul Disco di Festo. La prima è la più antica scrittura non-decifrata al mondo. Essa si sviluppò intorno al 3.000 a.C. assieme alla scrittura sumerica. Quest'ultima visse diversi secoli ed è stata in parte decifrata, mentre la scrittura proto-elamica si estinse dopo appena 150 anni dalla sua comparsa nella regione di Elam, antico nome biblico dato al territorio che oggi corrisponde alla parte sud-occidentale dell'Iran. Sappiamo davvero poco delle popolazioni che usavano questa scrittura. Ancora oggi restano oscuri sia i caratteri sia la lingua delle iscrizioni. La scrittura presente sul Disco di Festo è un insieme di simboli impressi con stampini incisi su entrambe le facciate del reperto archeologico. Scoperto nel 1908 dagli italiani Luigi Pernier e Federico Halbherr, mentre stavano scavando a Creta nel palazzo minoico di Festo, questo magnifico reperto risale al 1.700 a.C. ed è composto da 241 simboli: tutti i segni non sono stati ancora decifrati e non hanno nessuna somiglianza con le scritture conosciute del tempo.
Articolo in italiano tradotto da:

domenica 22 febbraio 2015

PER UN' ANTROPOLOGIA ROMANTICA DEL NAUFRAGIO SUI LIDI PARTENOPEI


Naufragio alla Rotonda Diaz Mergellina (Foto di Antonio Tortora)


Sappiamo che potrà sembrare strano ma questa barca che abbiamo fotografato sulla spiaggetta della Rotonda Diaz all'imbrunire di una giornata invernale contiene tutta una serie di messaggi; messaggi diretti al cuore. E senza voler scomodare l'opera pittorica di Theodore Gericault " La zattera della Medusa" dipinta nel 1818, che voleva simbolicamente indicare il naufragio di una Francia segnata dalla Rivoluzione Francese e dal fallimento dell'impero napoleonico all'indomani di Waterloo, ci piace recuperare quanto di positivo c'é nelle immagini del naufragio di questo gozzo; piccola imbarcazione da pesca tipica della Campania oltre che della Liguria, della Sicilia e della Toscana, interamente costruita in legno. Si é adagiato sulla rena di questo porticciolo improvvisato e a nostro avviso indica, romanticamente, una speranza del pescatore o comunque del navigante verso un ricominciare, verso un nuovo inizio. Metafora della vita dove le cadute e i naufragi non mancano mai ma la volontà di continuare a percorrere la strada cercata o indicata non smette mai di alimentare l'istinto di sopravvivenza prima e il fuoco sacro della conoscenza poi. Alle tappe forzate seguono periodi di stanchezza che richiedono recupero di energia e riflessione. E qui Xavier De Maistre, nel volume "Voyage atour de ma chambre" pubblicato nel 1651, liquida sapientemente l'intero capitolo XIII intitolato "La sosta" in una manciata di parole: "I miei sforzi sono inutili; bisogna rimandare l'impresa e sostare qui, mio malgrado. E' una tappa militare". E' un punto di svolta; indietro non si torna perchè non é concesso dalle regole cosmiche; dunque si può solo andare avanti e il naufrago scende da ciò che resta del gozzo e si incammina lentamente sulla sabbia che, finalmente, gli appare come calda e accogliente. Non guarda all'indietro, dimentica un passato metabolizzato nella sua anima, sublima le sue esperienze precedenti, e guarda avanti adattandosì all'oscurità che é tanto più fitta quanto più luminoso é il termine del tunnel. Senza indugio dalla foto, semplice di chi scatta istintivamente e senza tecnica, scarna ed essenziale come ciò che rimane del fasciame ligneo del gozzo, romantica come il cuore di chi scrive, si sprigionano pensieri e contenuti, emozioni e stupori, lacrime e speranze. Condivisibile o meno, questo é il significato che diamo al momento dello scatto, al luogo della vicenda, alla barca che non può più fluttuare morbidamente sull'acqua, al nostro stato d'animo permanentemente turbato ma stranamente forte. Quel giorno anche noi ci siamo sentiti come naufraghi e siamo stati richiamati al cammino della vita con i piedi che affondavano nella sabbia. 



Foto di Antonio Tortora
Foto di Antonio Tortora

lunedì 16 febbraio 2015

A pochi chilometri da Napoli, in provincia di Caserta, l'Eremo di San Michele Arcangelo antico luogo di culto micaelico.


A pochi chilometri da Napoli, percorrendo l'autostrada e uscendo a Caserta sud verso Maddaloni si trova, chiaramente indicato e a poca distanza dall'Acquedotto Carolino, l'Eremo di San Michele Arcangelo e Santa Maria del Monte. Un'oasi di vera spiritualità dove il pellegrino, il fedele, il turista per caso o il semplice curioso in cerca di luoghi non molto lontani dove poter vivere qualche ora in completa tranquillità, comprende immediatamente la magia del contatto con la natura e la ricchezza di un territorio casertano troppo spesso maltenuto e scarsamente valorizzato.


Ingresso Eremo di S.Michele Arcangelo - Valle di Maddaloni (Ce)
Foto di Antonio Tortora


LA LEGGENDA POPOLARE
Si narra che nel sec. VI sia stato lo stesso Arcangelo Michele a volere sulla cima del monte di Maddaloni una chiesetta a Lui dedicata. Un giovinetto del luogo, che era solito portare a pascolo le sue capre sui monti circostanti, una mattina condusse il suo piccolo gregge sulla sommità del monte, sicuro di trovare pascoli migliori. Giunto sul posto, fu attratto dalla presenza di un giovane di aspetto celestiale che portava pietre sulla sommità del monte.
Con semplicità il giovane capraio cercò di rendersi utile, aiutando lo sconosciuto nel suo lavoro. Dopo qualche giorno il capraio domandò al giovane chi fosse, e questi gli rispose di essere l'Arcangelo Michele e che desiderava l'erezione di una Cappella laddove aveva ammucchiato le pietre. L'Autorità ecclesiastica, quella civile ed il popolo appena vennero a conoscenza del desiderio dell' Arcangelo, gli edificarono nel luogo prescelto una chiesetta.


UN PO' DI STORIA
L’attuale Santuario dedicato a San Michele Arcangelo e a Santa Maria del Monte sito nel Comune di Maddaloni, ricco di vicende storiche ha origine molto remote e la sua costruzione si fa risalire all’epoca dei longobardi tra 820 e l’860. Infatti la principessa beneventana Teodorata sull’esempio della regina Teodolinda (per il longobardi del nord) sviluppò il culto micaelico nell’italia meridionale. Il santuario, detto anticamente Eremo, fu menzionato nel 969, dall’arcivescovo di Benevento Landulfo, nel segnare i confini della Diocesi di Sant’Agata dei Goti,“in monte Magdaluni, qui dicitur sanctus…” e nel 1092 dal Conte di Caserta Goffredo che concesse al monastero di san Giovanni di Capua un podere situato.., “ in S.Angelo de Mataluni”. 
                          
 Scritti tratti dal sito: http://www.santuariosanmichelemaddaloni.net/storia.html                     






Breve descrizione delle opere artistiche presenti nel Santuario (tratto dal sito istituzionale)

 STATUA DI SAN MICHELE ARCANGELO
L'artistica statua lignea dell'Arcangelo, si ignora quando e da chi sia stata scolpita. Dalle fattezze scultoree dobbiamo supporre che sia molto antica, all'incirca risale alla seconda metà del XV sec.
La statua rappresenta un giovane guerriero, con elmo piumato, armatura a maglia, che con l'indice e il medio della mano sinistra regge una bilancia contenente due anime nei piattini, e con la destra, invece, armata di lancia, colpisce Satana tra le fiamme infernali.
La statua è copia di un antico dipinto esistente un tempo nella Chiesa parrocchiale di S. Benedetto Abate in Maddaloni.


ALTARE DI SANTA MARIA DEL MONTE
L'altare che guarda sul grande piazzale è un ricordo dell' Anno Mariano 1987/88.
L'immagine di Maria, Madre del Redentore, è opera in bronzo dello scultore francescano Tarcisio Musto, ed è posta su due vele di cemento come segno e vessillo di salvezza.
L'immagine è stata benedetta dal Papa Giovanni Paolo II nella sua visita a Caserta il 23 maggio 1992.
Il Vescovo di Caserta Raffaele Nogaro ha benedetto il monumento altare il 10 ottobre 1993 e ha denominato il Santuario di San Michele col nuovo nome di Santuario di San Michele Arcangelo e Santa Maria del Monte.


ALTARE DELLA PIETA'
La scultura bronzea con l’altare è stata donata da una suora, suor Guglielmina da Cerreto.
Il gruppo bronzeo di Maria con Gesù morto ai suoi piedi è stato realizzato dalla ditta Agnone di Isernia nel 2001.
Essa è stata collocata su un altare di tufo con mensa in marmo al termine delle quattordici stazioni della via Crucis (pur esse in bronzo) che circondano tutto il Santuario. Qui si sosta per pregare e contemplare tutto l’amore di Dio per noi.


Reportage fotografico di Antonio Tortora




Sul campanile dell'Eremo (Foto di Antonio Tortora)

Il monte su cui si erige il Santuario di San. Michele è l'ultima vetta della catena dei monti Tifatini che partendo da Capua formando un anfiteatro naturale, si spinge verso sud. Il Santuario è posto sulla sommità dell'ultimo colle, a mt. 524 l.m. e guarda dall'alto Maddaloni, Caserta col suo Palazzo Reale e tutti i paesi limitrofi e all'orizzonte a sud il Vesuvio, il golfo di Napoli e tutte le isole, a ovest il litorale del Mar Tirreno, e a est la catena del Taburno, e a nord i monti del Matese.
Lo sguardo spazia all'intorno su un panorama unico e singolare, fasciato all'intorno da pinete.


venerdì 6 febbraio 2015

AGRICOLTURA E SOSTENIBILITA' AMBIENTALE A CASERTA

L'agronomo Di Gennaro durante il convegno di Parete (Ce)
Foto di Antonio Tortora
Basta Terra dei Fuochi! Basta camorra! Basta degrado! 


L'entroterra casertano é anche e soprattutto agricoltura, imprenditorialità e sistema cooperativo improntato a mutualità, solidarietà, democrazia e sviluppo tecnologico sostenibile. Lo dimostra efficacemente l'impegno che gli agricoltori e i soci delle cooperative agricole della Terra di Lavoro, chiamata anticamente Liburia, profondono in uno dei mestieri più antichi del mondo che é alla base della vita stessa. Un tempo venivano chiamati agrari, braccianti, contadini, coloni, fattori, latifondisti, proprietari terrieri, massari, seminatori con accezioni, di volta in volta positive o spregiative, ma comunque essenziali e imprescindibili. Oggi vengono chiamati, per uniformità e perchè molte distinzioni di carattere tecnico sono apparentemente decadute, agricoltori e imprenditori agrari. A nostro avviso una vera e propria nobiltà di suolo che da generazioni innumerevoli cura e protegge il territorio della "green belt", in questo caso, casertana.
Dal convegno organizzato pochi giorni fa presso la Cooperativa Agricola "Sole" di Parete, fondata nel 1962 e forte di un centinaio di soci tutti "men and women who have been cultivating a dream", emergono dati di straordinaria importanza e che inducono alla riflessione. Mentre, infatti, si assiste allo spopolamento del territorio appenninico parimenti si é testimoni di una sovrappopolazione delle zone fertili della pianura e ciò origina la tendenza a "mangiare e a consumare il territorio agricolo" come ha sostenuto l'agronomo territorialista Antonio Di Gennaro. Stiamo parlando di una zona che, a nessun titolo, può essere definito "polo urbano" bensì conserva tutte le caratteristiche di una "campagna" su cui operano circa 38mila aziende agricole ovvero quasi la metà "del potere produttivo agricolo dell'intera regione" e il governo centrale, con i suoi ritardi e le sue inefficienze non sembra nemmeno essersene accorto. La Campania Felix c'è ancora, resiste agli assalti dell'urbanizzazione disordinata, alle speculazioni edilizie, ai tentativi di imporre aree industriali già obsolete sul nascere e aree commerciali inutili e superflue. Un territorio, vecchio di oltre 12mila anni laddove persisteva una foresta tropicale con insediamenti preistorici di sicuro interesse antropologico ma volutamente sottovalutati, che ha originato una vasta area che, a giusto titolo, può essere definita "uno dei suoli più fertili del mondo" come sostiene l'agronomo Di Gennaro "dotato di una terra nera, grassa e fertile". E le "Matres Matutae, antiche divinità osche rifinite in splendide statue di tufo (materiale piroclastico di eccezionale importanza ai fini agricoli e non solo), testimoniano come già fra il VI° e il I° a.C. quelle stesse terre erano considerate simbolo di fecondità e abbondanza. Conoscendo il territorio si può dire che esso rappresenta, nonostante tutto, una gigantesca cornucopia ripiena di frutti del lavoro della terra.
Di seguito pubblichiamo un articolo apparso, a nostra firma, sul quotidiano http://www.napoli.com/ in cui diamo ampia relazione del convegno tenutosi a Parete.


Intervento di Daniela Nugnes Assessore Agricoltura Regione Campania Foto di Antonio Tortota

30/1/2015

Agricoltura e sostenibilità ambientale
di Antonio Tortora


Nel convegno “PA.BI.OR.FRU. Introduzione alla pacciamatura del terreno con teli biodegradabili a base di Mater-bi per colture orticole e frutticole”, tenutosi il 30 gennaio scorso presso la Società Cooperativa Agricola SOLE di Parete (Ce), è stato affrontato un argomento che sembra lontano anni luce dalla vita di tutti i giorni, dal consumatore che cerca garanzie per la sua salute e per la qualità dei prodotti agricoli di cui si ciba, dalle popolazioni che da sempre abitano i suoli italiani e in particolare la Campania Felix.
Ma non è così; anzi tutt’altro.

L’incontro, organizzato dall’Università degli Studi Napoli Federico II° - Dipartimento di Agraria, dal Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura di Caserta e in particolare dall’Unità di Ricerca per la Frutticoltura e dalla Cooperativa Sole, ha visto la partecipazione, rispettivamente, di M. Teresa Gorgitano, Luigi Morra, Pietro Ciardiello; ed ancora dell’agronomo territorialista Antonio Di Gennaro, autore del pregevole volume “La misura della terra. Crisi civile e spreco del territorio in Campania”, Sara Guerrini Agricolture Sales Specialist di Novamont colosso della bioplastica, è stato moderato dalla giornalista Raffaella Quadretti del Notiziario Internazionale specializzato nel commercio italiano di frutta e verdura “Fresh Plaza” e si è concluso con un intervento dell’Assessore all’Agricoltura della Regione Campania Daniela Nugnes.

Il tema, sia pur molto specifico e dedicato agli addetti ai lavori, si è rivelato di estremo interesse per tutta la platea composta in prevalenza da agricoltori, dal momento in cui, immediatamente dopo i saluti di Antonio Maione Presidente della importante Cooperativa casertana “Sole”, il Direttore della stessa Cooperativa Pietro Ciardiello ha chiarito che si sta procedendo, in via sperimentale ma con notevole successo, verso “l’impiego di pacciamatura compostabile, in campo ed in serra, per la coltivazione di frutta, verdura e ortaggi”.

Ciò sta accadendo anche nel vivaismo orticolo, altro settore dove la Campania ha grandi potenzialità, attraverso l’uso di seminiere biodegradabili.

Ma per meglio comprendere l’essenza del discorso spieghiamo cosa è la pacciamatura e quali problematiche presenta su vasta scala con una domanda mondiale di plastica per usi agricoli pari a 4 milioni di tonnellate con un 70 per cento distribuito in tutta l’Asia, 720mila tonnellate in Europa di cui il 40 per cento suddivise fra Italia e Spagna, stando ai dati forniti da Sara Guerrini, e ancora più consistenti di quelli che risalgono al 2009 e che sono stati elaborati e diffusi da altre fonti tra cui il Green Management Institute.

La pacciamatura, dicevamo, prevede la copertura del terreno in vario modo coltivato con strati di materiale in grado di impedire la crescita esponenziale di malerbe, mantenendo l’umidità del suolo, proteggendolo dall’erosione e dalla pioggia battente, al fine di mantenere il terreno meno compatto e nello stesso tempo aumentarne la temperatura.

Purtroppo tutto ciò, allo stato attuale, si ottiene utilizzando film e teli plastici che presentano non pochi problemi di smaltimento e di costi eccessivi per il relativo smaltimento a norma di legge.

Infatti tutto questo materiale, decisamente tossico e non solo per il terreno, richiede il conferimento ai centri di stoccaggio, un lungo e difficile lavoro che spesso danneggia le economie delle aree rurali e nello stesso tempo desta notevoli preoccupazioni in quanto alcuni tipi di plastiche non possono essere riciclati per la loro specifica composizione o anche per la presenza di impurità.

Inoltre il volume e il peso finale possono subire notevoli variazioni aumentando fino al 50/70 per cento.

Uno scenario ambientale che potrebbe diventare apocalittico a causa della plastificazione di un territorio, soprattutto in una terra come quella casertana che d’altra parte, e per fortuna, presenta caratteristiche straordinarie dal punto di vista della terra “grassa, nera e fertile” – come la definisce emozionalmente ma anche scientificamente l’agronomo Di Gennaro – aggiungendo che “non esiste terra più fertile in nessun’altra parte del mondo grazie alla sua storia geologica antichissima e risalente a decine di migliaia di anni fa”.

E ha ragione lo studioso dal momento che in quella che dovrebbe essere la “green belt” casertana persistono, nonostante tutto, ben 38mila aziende agricole ovvero circa la metà della produzione agricola regionale campana; ecco spiegato il termine storico - descrittivo piuttosto che poetico di “Campania Felix”.

Goethe lo aveva ben compreso e testimoniato, da attivo e consapevole viaggiatore, nella seconda metà del ‘700 e ancor meglio lo aveva compreso nelle sue descrizioni del Paesaggio italiano nella seconda metà del ‘900 il noto geografo e geologo Aldo Sistini.

Tornando al convegno si è ottimisticamente parlato di un nuovo prodotto, il film Master-Bi di Novamont, che pare abbia risolto i problemi dello smaltimento e degli eccessivi costi delle nocive plastiche polietileniche, trattandosi essenzialmente di una bioplastica a base di amidi, certificata biodegradabile e nello stesso tempo incorporabile nel terreno a fine coltura.

Qualcosa di rivoluzionario e innovativo; infatti questo film foto selettivo, capace anche di controllare efficacemente la temperatura della rizosfera ovvero del suolo immediatamente vicino alle radici delle piante da cui assorbono nutrimenti essenziali e acqua, “a contatto con l’acqua ed in presenza di microrganismi in condizioni aerobiche – aggiunge Pietro Ciardiello – viene completamente biodegradato e trasformato in acqua e anidride carbonica; in ciò si concretizza il nostro impegno nella difesa della terra come valore”.

A chiusura dei lavori l’Assessore regionale Daniela Nugnes ha dichiarato a muso duro e con estrema chiarezza “che Caserta e la sua provincia non è massacrata come si vuol far credere attraverso manipolazioni mediatiche bensì si presenta estremamente vitale con il suo 60 per cento di territorio agricolo, con le sue buone imprese ispirate ad alti valori, con la sua voglia di legalità e la rinnovata propensione alla sostenibilità ambientale”.

Ha mostrato inoltre, dati alla mano, che la Regione Campania compie il suo lavoro fino in fondo e rispettando i tempi imposti dalle norme vigenti mentre i ritardi, davvero ormai inaccettabili, si registrano presso le autorità centrali e cioè a Roma.



Fonte: http://www.napoli.com/viewarticolo.php?articolo=41283&pagenum=0





giovedì 5 febbraio 2015

Per un'antropologia del turismo consapevole. Dalla Francia un grande interesse per il nostro lavoro su "Napoli per le Scale".



Uscire fuori dal pantano del luogo comune e guardare oltre il misero orizzonte che ci é imposto dai media istituzionali; Napoli merita di essere conosciuta e capita a fondo perchè ha molto da dire e ha molto da dare; come ha sempre fatto nonostante tutto.


Pedamentina di Villanova a Posillipo Foto di Antonio Tortora

Un blog francese http://napolipole.blogspot.fr/ gestito dalla viaggiatrice e traduttrice Christine Kerverdo (Université de la Rochelle) ha ripreso il nostro studio videoantropologico "Napoli per le Scale" e lo ha rilanciato. E' esattamente quello che speravamo e desideravamo fare: amplificare la conoscenza della città di Napoli, osservata da un diverso punto di vista, non pregiudiziale e non negativo, procedendo verso la scoperta di patrimoni inestimabili e semisconosciuti ma sempre vivi e presenti nella memoria storica e contemporanea dei partenopei. Le opinioni concepite sulla base di convinzioni personali e generali, senza conoscenza diretta dei fatti, delle persone e delle cose, in particolare della nostra città, porta inevitabilmente a luoghi comuni dannosi e senza fondamento. 
In una delle nostre peregrinazioni attraverso le pedamentine della città, in particolare al Moiariello, abbiamo incontrato soltanto due turisti belgi, un pò avanti negli anni, ma abbastanza arzilli da camminare per tutto il percorso a partire da Foria fino al Bosco di Capodimonte, senza mai smettere di rimanere "perplexed" e increduli di fronte a tanta storia e a tanta bellezza. Abbiamo scambiato poche parole sensate in quanto non abbiamo dimistichezza con le lingue straniere tuttavia, attraverso il movimento del corpo, la gesticolazione delle mani e tutta la prosodia del linguaggio parlato partenopeo, ma anche belga dobbiamo aggiungere, ci siamo ben compresi, ricorrendo a un sistema di comunicazione in cui l'espressione é stata massimizzata. Siamo finiti a prendere un caffè e una sfogliatella in uno dei bar della zona, ognuno con la sua nazionalità e la sua lingua ma contenti di esserci capiti e compresi. Camminando le osservazioni antropologiche sono davvero infinite. In altre parole, noi partenopei siamo fortunati anche in questo: l'essere compresi perfettamente pure da soggetti con cui non riusciamo a comunicare secondo i canoni linguistici; l'episodio cui facciamo riferimento é la riprova di quanto affermato.
Comunque non nascondiamo la nostra soddisfazione circa la traduzione di nostri articoli o pezzi (accezione giornalistica) e post (linguaggio del blog) augurandoci che il "message in a bottle" lanciato nel mare sconfinato del web, possa raggiungere terre sempre più lontane. 

                                                            

Napolipole

Blogspot.fr. 




Pedamentina di Villanova a Posillipo - Scorcio panoramico Foto di A.Tortora


Ecco il testo in francese della traduzione del nostro post compresa la poesia di Hermann Hesse; riteniamo di fare cosa gradita a chi conosce il francesce; ancora una volta richiamiamo l'interessante blog di Christine Kerverdo http://napolipole.blogspot.fr/


Découvrir Naples par les escaliers

Lecteurs et lectrices,
Vous trouverez dans ce blog des articles et des traductions sur Naples et la Campanie. C'est un journal de voyages écrit au gré de mes déplacements et sensations, de mes lectures et traductions. Bonne lecture.

Naples par les escaliers



Les descentes, marches, gradins, rampes, degrés de Naples sont des voies piétonnes très anciennes qui relient les collines au centre-ville et à la côte. Les plus anciens escaliers de la ville sont nés de l’enfouissement des torrents ou des sources, qui, il y a longtemps, jaillissaient à l’air libre, aux portes de la ville.

Ces rues à degrés furent construites aussi pour relier facilement les différents sites principaux, surtout religieux: monastères, couvents, églises, et bien sûr, en fonction du développement de la cité. Aujourd’hui, ces escaliers font l’objet d’études et sont considérés vraiment comme des lieux historiques.

Empruntant les principaux escaliers de la ville, l’itinéraire part de l’espace piéton du Vomero, devant la Certosa San Martino- San Felice, pour descendre sur la place Dante (Sortie tarsia du métro ligne 1 de Salvator Rosa et dans la rue Pontecorvo), à Calascione (dans le quartier de Posillipo, où on peut admirer le parc zoologico-archéologique de la Gaiola), pour s’attarder dans la zone de Pizzofalcone où se trouve le rocher de tuf (c’est le site le plus ancien de Naples, le berceau de la cité parténopéenne, on y trouve aussi la villa Lamont-Joung, abandonnée) et en passant par le pallonetto de Santa Lucia, pour finir dans les Quartiers Espagnols. Cet itinéraire constitue une sorte de chemin initiatique, à la recherche des racines de l’antique cité de Neapolis ou Partenope.
Il n’est pas question de méditation seulement, de bouddhisme, de zen, ou de tout autre doctrine de ce genre: il  s’agit de questions plus qu’importantes qui exigent une réponse. Nous pensons que  le poème intitulé “Les Degrés”, de Hermann Hesse, écrivain allemand prix Nobel de littérature en 1946, donne des réponses précises aux questions que se posent ceux qui ne peuvent s’empêcher de réfléchir:

Fleurette passe et l’âge dépasse
la jeunesse : il est ainsi des fleurs
à chaque pas de la vie, de la sagesse, de la vertu ;
chacune a sa saison, nulle l’éternité.
Cœur, quand la vie t’appelle,
sois paré à partir et à recommencer,
cours, vaillant, sans regret,
te plier à des jougs nouveaux et différents.
En tout commencement un charme a sa demeure,
C’est lui qui nous protège et qui nous aide à vivre.

Franchissons donc, sereins, espace après espace ;
n’acceptons en aucun les liens d’une patrie,
pour nous l’esprit du monde n’a ni chaînes, ni murs ;
par degrés il veut nous hausser, nous grandir.
À peine acclimatés en un cercle de vie,
intimes en son logis, la torpeur nous menace.
Seul, prêt à lever l’ancre et à gagner le large,
tu pourras t’arracher aux glus des habitudes.

Peut-être aussi l’heure de la mort nous lancera-t-elle,
jeunes, vers de nouveaux espaces.
L’appel de la vie jamais ne prendra fin…
Allons, mon cœur, dis adieu et guéris.

(Hermann Hesse, Le jeu des perles de verre

Paris, Calmann-Lévy, 1955, pp. 429-430)

Le point d’interrogation que constitue le doute, l’incertitude, l’hésitation, caractérise la condition humaine d’une manière ou d’une autre, et, à un certain moment, nous devons nous arrêter, respirer, empêcher que l’angoisse ne nous submerge, nous et tout notre être, nous devons observer et nous devons regarder en nous-mêmes pour observer notre expérience, nous devons regarder nos pieds pour comprendre où nous sommes arrivés, nous devons tourner notre regard à l’intérieur de nous-mêmes pour découvrir les territoires où nous avons pénétré et, enfin, ce qui est difficile après une pause longue et méditative, nous devons aller de l’avant en oubliant tout ce qui nous entoure une seconde, puis reprendre le chemin finalement. Il s’agit de degrés anthropologiques, itinéraire personnel, qui part de notre corps physique, qui passe par l’affectivité, l’intelligence et la liberté, pour atteindre la conscience de soi quelques temps avant de rejoindre la conscience spirituelle. C’est une vraie pyramide ascensionnelle qui conduit l’homme à des développements imprévus et uniques, propres à chaque être vivant.

D'après "Napoli per le Scale" d'Antonio Tortora
http://antoniotortora.blogspot.it

lunedì 2 febbraio 2015

CASTEL SANT'ELMO SULLA COLLINA DI SAN MARTINO AL VOMERO: VISITA A UNO DEI LUOGHI PIU' BELLI DELLA CITTA'

ESCURSIONE ANTROPOLOGICA DI ANTONIO TORTORA A SAN MARTINO (CASTEL SANT'ELMO) CON FOTO DI MARIO ZIFARELLI.



In questo splendido, fortificato e panoramico luogo scattammo con Mario Zifarelli alcune foto interessanti per la mostra "Napoli Svelata"; e non poteva essere altrimenti visto che si tratta di un sito che riveste un'importanza fondamentale, dal punto di vista storico, architettonico ed esoterico.
La pianta stellata di Castel Sant'Elmo sorge in un luogo fortemente simbolico dove, oltre a fondere la terra con il cielo e la città con l'aere metafisico, l'antico Patulcius poi Paturcium era consacrato a Giano la divinità romana double-faced di cui, caso piuttosto raro anzi diremo unico, non è stato possibile trovare divinità equivalenti nel pantheon greco. Cosicchè anche per gli antichi eruditi costituiva un enigmatico mistero. Una delle divinità più antiche del culto romano e già presente nei calendari più arcaici; ciò testimonia l'importanza che anche i Romani attribuirono a un luogo che rappresenta il "contatto" energetico fra terra e cielo, fra energia tellurica e energia cosmica; un vero e proprio omphalos. Per chi sa osservare ancora oggi Giano apre e chiude le porte solstiziali.
Ma tornando alle foto, i soggetti che più ci colpirono, fra gli altri, furono lo stemma in pietra di Carlo V°, con la sua possente e straordinaria aquila bicefala, posto sul portale d'ingresso cui si accedeva, un tempo, attraverso un ponte levatoio; il tutto in prossimità della cosiddetta "Grotta dell'Eremita" costellata di croci penitenziali incise nelle pareti. E ancora attirò la nostra attenzione la cappella da cui si accede alle carceri dove il domenicano calabrese Tommaso Campanella, sottoposto a processo ben cinque volte da parte dell'Inquisizione e condannato a dura pena detentiva, scrisse varie opere tra cui la Città del Sole. Alcuni suoi scritti raggiunsero l'esterno delle mura fortificate e delle segrete in cui visse per anni, grazie a Tobias Adami e Wilhelm Wense, suoi fedeli e coraggiosi discepoli, finendo nelle giuste mani di Valentin Andreae fondatore dei Rosa Croce; da qui il filone che lo lega a Giordano Bruno, alle dottrine rosacrociane e a tutti coloro, utopisti e liberi pensatori, che si adoperarono e sempre si adopereranno per riformare i mondi della politica, della cultura e della società.



"Dicono che è gran dubbio sapere se 'l mondo fu fatto di nulla o delle rovine d'altri mondi o del caos; ma par verisimile che sia fatto, anzi certo." (da La città del Sole di Tommaso Campanella)"