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Al di là di ogni stima elaborata dalla Commissione Europea e dalla Corte dei conti lo scorso anno e dei dati presentati dall' OCSE Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nel documento - sondaggio Gallup "Cubbing corruption, Investing in growth" del mese scorso, e al di là di ogni critica espressa nei confronti di tali studi si può affermare che i conti non tornano e il costo della corruzione crea un vulnus profondo e un danno antropologico nell'intero tessuto sociale italiano. A distanza di circa venti anni dalle inchieste giudiziarie di Tangentopoli e Mani Pulite il Belpaese, forte anche della esperienza quasi archetipica maturata con la madre di tutti gli scandali ovvero lo scandalo della Banca Romana, nel lontanissimo 1893, che vide protagonisti i massimi resposabili del governo dell'epoca fra cui Crispi e Giolitti oltre che un un numero imprecisato di politici e colletti bianchi, continua a mantenere fede ai principi della corruzione come "intrumentum regni". Si sa il nostro Paese é tradizionalista per eccellenza e non intende rinunciare neanche alla parte più oscura del suo passato. Per chi pensa che la corruzione in Italia sia un fatto meramente attuale e di rilevanza cronachistica dobbiamo ricordare che si tratta, e lo scandalo della Banca Romana lo conferma con assoluta chiarezza, che la corruzione in Italia è una caratteristica strutturale dell'intero sistema di gestione politica, economica e finanziaria di rilevanza storica e non meramente cronachistica. Gridare allo scandalo ogni volta che qualche decisore politico, qualche burocrate o qualche magnate della finanza rimane coinvolto in faccende di rilevanza giudiziaria, legate a tangenti e corruzione, fa dimenticare le 72 eminenti personalità pubbliche, tutti i Presidenti del Consiglio fin dal 1885 e i nomi più altisonanti dell'alta finanza romana implicati nell'affaire Banca Romana.
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Dunque il fenomeno ha radici storiche antiche e non deve spaventare il fruitore di informazioni e di notizie giornalistiche più di tanto; infatti, in epoca contemporanea la grancassa mediatica, a nostro avviso, non dice nulla di nuovo o di sconvolgente bensì non fa altro che amplificare ciò che già é risaputo e che appartiene alla memoria storica del Paese che spesso caparbiamente dimentica, talvolta incredibilmente resta incredulo, in qualche caso timidamente perdona ma che ultimamente, sia pur in maniera rassegnata, comincia con timidezza malcelata a chiedere giustizia e a voltare pagina, facendo proprio il forse ingenuo aforisma crociano che riportiamo nel titolo.
Ma torniamo ai dati, sia pur non troppi perchè la gente è stufa di sentire dati micro e macroeconomici con la crisi che morde di brutto, e ricordiamo soltanto che su 27 Paesi europei gravano circa 120 miliardi di euro di costo della corruzione di cui ben 60 miliardi sulla sola Italia ovvero quasi il 4% del Prodotto Interno Lordo. E quante persone sono in carcere per corruzione in Italia? Una decina. E in Germania, dove la corruzione incide in misura ridottissima, quante persone sono detenute nelle patrie galere? Ben 8.700. Tutto ciò mentre da noi si parla di giustizia certo ma solo mediatica, con talk show trasformati in Tribunali popolari e con Tribunali la cui austerità e sacralità spesso vengono alterate dall'esigenza di coprire le malefatte dei potenti e dei ricchi che ritengono l'immunità una caratteristica del loro patrimonio genetico. Eppure di galantuomini ce ne sono stati nel nostro Paese. Basta ricordare il durissimo discorso che il Presidente del Senato, Cesare Marzagora uno dei pochi politici italiani indipendenti che non aderì mai a nessun partito, rivolse contro il Parlamento e il malaffare nell'ormai lontano febbraio del 1960. Arringò con appassionato coraggio:"Un'atmosfera di corruzione pesa......sulla vita politica italiana, inquinata dall'affarismo e dagli interventi finanziari illeciti, e ben noti, dei grandi gruppi di potenza parastatali e privati. La tacita e reciproca rassegnazione che si è creata fra i diversi settori politici turba la coscienza non soltanto mia, ma della maggioranza dei colleghi di ogni parte, i quali soffrono, in silenzio, come di fronte a una inevitabile pestilenza". Fin qui tutto attualissimo e condivisibile. Ma andò oltre aggiungendo: "Ebbene mi sia consentito di dire che sono ormai indispensabili precise disposizioni legislative atte a rendere pubblica e obbligatoria la corretta attività amministrativa di tutte le formazioni politiche, oggi condannate a vivere, contravvenendo alle regole, non soltanto fiscali, di una democrazia che voglia considerarsi incensurabile. Onorevoli colleghi: così non si può andare avanti e, se il mondo politico italiano non ritrova il piacere dell'onestà, tristi prospettive, purtroppo, si aprono per il nostro avvenire". Tutto l'intervento scaturì da un raro senso di consapevolezza maturato in ben dieci legislature e da una un forte senso di concretezza e realismo visto che Marzagora nella vita privata fu banchiere; per cui davvero era addentro agli arcana imperii. Appare superfluo aggiungere che il suo intervento non suscitò alcun interesse e anzi fu riportato, come ogni "vox clamantis in deserto" che si rispetti, nelle pagine interne dei giornali dell'epoca compreso Il Popolo della Democrazia Cristiana che pure era molto attento alla vita parlamentare. Dopo pochissimi giorni si dimise dal suo alto incarico istituzionale.
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E anche se la corruzione non si configura come male endemico solo nel nostro Paese, e gli stessi dati dell'Ocse lo dimostrano eloquentemente, l'Italia continua a manifestarsi come il Paese più corrotto d'Europa secondo il Corruption Perception Index 2014 di Trasparency International; con buona pace di J.T. Noonan che, nel complesso studio storico "Ungere le ruote" (titolo evocativo e provocatorio) pubblicato verso la fine degli anni'80 da SugarCo, fa risalire la corruzione a circa tremila anni prima di Cristo per giungere poi alla Rivoluzione Francese. La corruzione per lo studioso statunitense sarebbe una caratteristica saliente di tutte le civiltà antagoniste, non solo, ma in un certo senso la stessa ricchezza e la libertà potrebbero apparire come un prodotto del malaffare visto che i grandi della storia sono passati tutti, o quasi, attraverso le forche caudine della corruzione e sono stati tentati dal denaro oltre che dal potere in sè e per sè, da Periche a Demostene, da Cesare a Seneca, da Richelieu a Robert Walpole, da Danton a Napoleone. E qui ci fermiamo e vorremo chiudere, sempre con il documento Ocse che avverte: "il costo delle truffe e della corruzione negli investimenti pubblici non é solo economico ma politico e istituzionale con seri risvolti per la legittimazione dell'apparato dello Stato e la capacità delle istituzioni governative di funzionare in modo efficace"; difatti per l'importante Organizzazione internazionale "c'è una forte relazione tra la corruzione percepita e la fiducia nel Governo. In altre parole più alta é la corruzione percepita e più bassa é la fiducia nelle istituzioni". Con una percezione della corruzione nelle istituzioni governative che in Italia é pari al 90%, con uno stragismo perennemente impunito unitamente ai servizi segreti deviati, con la realizzazione concreta dei piani elaborati dalla P2 e il caso Moro, per giungere agli stipendi dei parlamentari dieci volte superiori a quelli di un operaio medio il che scredita anche il più onesto fra deputati e senatori e i recenti episodi dell'era berlusconiana, si sta creando un clima pesante che porterà alla rottura degli equilibri sociali e politici. D'altra parte lo Stato non rinuncia minimamente ad essere obbedito con una impenetrabile selva legislativa che serve a coprire le sue magagne e a rendere incerto e inapplicabile il diritto, nè tantomeno rinuncia a farsi pagare tasse e imposte palesi e occulte che vengono altresì percepite dai cittadini come ingiuste, inique e destinate al lussuoso sostentamento di una classe politica inetta oltre che corrotta. Occorre un risanamento totale e la riscoperta del "piacere dell'onestà" di cui il Presidente Marzagora accennava nel suo discorso pochi giorni prima di dimettersi.
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