DESIDERIAMO RIPRENDERE UNO SCRITTO DEL FILOSOFO GIORGIO AGAMBEN PUBBLICATO IL 13 APRILE SCORSO SUL SITO DELL'EDITORE QUODLIBET. CI SEMBRA MOLTO PERTINENTE AGLI EVENTI CHE, COMPLICE L'EMERGENZA PANDEMICA, HANNO CANCELLATO D'IMPERIO LA NOSTRA VITA, SOCIALE E INDIVIDUALE, PER COME L'ABBIAMO CONOSCIUTA E VISSUTA FINO A UNA QUARANTINA DI GIORNI FA.
di Antonio Tortora
Tratto da www.dirittiglobali.it/ |
Una domanda.
La peste segnò per la città l’inizio della corruzione… Nessuno era
più disposto a perseverare in quello che prima giudicava essere
il bene, perché credeva che poteva forse morire prima di raggiungerlo.
Tucidide, La guerra del Peloponneso, II, 53
Vorrei condividere con chi ne ha voglia una domanda su cui ormai da
più di un mese non cesso di riflettere. Com’è potuto avvenire che un
intero paese sia senza accorgersene eticamente e politicamente crollato
di fronte a una malattia? Le parole che ho usato per formulare questa
domanda sono state una per una attentamente valutate. La misura
dell’abdicazione ai propri principi etici e politici è, infatti, molto
semplice: si tratta di chiedersi qual è il limite oltre il quale non si è
disposti a rinunciarvi. Credo che il lettore che si darà la pena di
considerare i punti che seguono non potrà non convenire che – senza
accorgersene o fingendo di non accorgersene – la soglia che separa
l’umanità dalla barbarie è stata oltrepassata.
1) Il primo punto, forse il più grave, concerne i corpi delle persone
morte. Come abbiamo potuto accettare, soltanto in nome di un rischio
che non era possibile precisare, che le persone che ci sono care e
degli esseri umani in generale non soltanto morissero da soli, ma che –
cosa che non era mai avvenuta prima nella storia, da Antigone a oggi –
che i loro cadaveri fossero bruciati senza un funerale?
2) Abbiamo poi accettato senza farci troppi problemi, soltanto in nome di un rischio
che non era possibile precisare, di limitare in misura che non era mai
avvenuta prima nella storia del paese, nemmeno durante le due guerre
mondiali (il coprifuoco durante la guerra era limitato a certe ore) la
nostra libertà di movimento. Abbiamo conseguentemente accettato,
soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare,
di sospendere di fatto i nostri rapporti di amicizia e di amore, perché
il nostro prossimo era diventato una possibile fonte di contagio.
3) Questo è potuto avvenire – e qui si tocca la radice del fenomeno –
perché abbiamo scisso l’unità della nostra esperienza vitale, che è
sempre inseparabilmente insieme corporea e spirituale, in una entità
puramente biologica da una parte e in una vita affettiva e culturale
dall’altra. Ivan Illich ha mostrato, e David Cayley l’ha qui ricordato
di recente, le responsabilità della medicina moderna in questa
scissione, che viene data per scontata e che è invece la più grande
delle astrazioni. So bene che questa astrazione è stata realizzata dalla
scienza moderna attraverso i dispositivi di rianimazione, che possono
mantenere un corpo in uno stato di pura vita vegetativa.
Ma se questa condizione si estende al di là dei confini spaziali e temporali che le sono propri, come si sta cercando oggi di fare, e diventa una sorta di principio di comportamento sociale, si cade in contraddizioni da cui non vi è via di uscita.
So che qualcuno si affretterà a rispondere che si tratta di una condizione limitata del tempo, passata la quale tutto ritornerà come prima. È davvero singolare che lo si possa ripetere se non in mala fede, dal momento che le stesse autorità che hanno proclamato l’emergenza non cessano di ricordarci che quando l’emergenza sarà superata, si dovrà continuare a osservare le stesse direttive e che il “distanziamento sociale”, come lo si è chiamato con un significativo eufemismo, sarà il nuovo principio di organizzazione della società. E, in ogni caso, ciò che, in buona o mala fede, si è accettato di subire non potrà essere cancellato.
Ma se questa condizione si estende al di là dei confini spaziali e temporali che le sono propri, come si sta cercando oggi di fare, e diventa una sorta di principio di comportamento sociale, si cade in contraddizioni da cui non vi è via di uscita.
So che qualcuno si affretterà a rispondere che si tratta di una condizione limitata del tempo, passata la quale tutto ritornerà come prima. È davvero singolare che lo si possa ripetere se non in mala fede, dal momento che le stesse autorità che hanno proclamato l’emergenza non cessano di ricordarci che quando l’emergenza sarà superata, si dovrà continuare a osservare le stesse direttive e che il “distanziamento sociale”, come lo si è chiamato con un significativo eufemismo, sarà il nuovo principio di organizzazione della società. E, in ogni caso, ciò che, in buona o mala fede, si è accettato di subire non potrà essere cancellato.
Non posso, a questo punto, poiché ho accusato le responsabilità di
ciascuno di noi, non menzionare le ancora più gravi responsabilità di
coloro che avrebbero avuto il compito di vegliare sulla dignità
dell’uomo. Innanzitutto la Chiesa, che, facendosi ancella della scienza,
che è ormai diventata la vera religione del nostro tempo, ha
radicalmente rinnegato i suoi principi più essenziali. La Chiesa, sotto
un Papa che si chiama Francesco, ha dimenticato che Francesco
abbracciava i lebbrosi. Ha dimenticato che una delle opere della
misericordia è quella di visitare gli ammalati. Ha dimenticato che i
martiri insegnano che si deve essere disposti a sacrificare la vita
piuttosto che la fede e che rinunciare al proprio prossimo significa
rinunciare alla fede.
Un’altra categoria che è venuta meno ai propri compiti è quella dei
giuristi. Siamo da tempo abituati all’uso sconsiderato dei decreti di
urgenza attraverso i quali di fatto il potere esecutivo si sostituisce a
quello legislativo, abolendo quel principio della separazione dei
poteri che definisce la democrazia. Ma in questo caso ogni limite è
stato superato, e si ha l’impressione che le parole del primo ministro e
del capo della protezione civile abbiano, come si diceva per quelle del
Führer, immediatamente valore di legge. E non si vede come, esaurito il
limite di validità temporale dei decreti di urgenza, le limitazioni
della libertà potranno essere, come si annuncia, mantenute. Con quali
dispositivi giuridici? Con uno stato di eccezione permanente? È compito
dei giuristi verificare che le regole della costituzione siano
rispettate, ma i giuristi tacciono. Quare silete iuristae in munere vestro?
So che ci sarà immancabilmente qualcuno che risponderà che il pur
grave sacrificio è stato fatto in nome di principi morali. A costoro
vorrei ricordare che Eichmann, apparentemente in buon fede, non si
stancava di ripetere che aveva fatto quello che aveva fatto secondo
coscienza, per obbedire a quelli che riteneva essere i precetti della
morale kantiana.
Una norma, che affermi che si deve rinunciare al bene
per salvare il bene, è altrettanto falsa e contraddittoria di quella
che, per proteggere la libertà, impone di rinunciare alla libertà.
13 aprile 2020
Giorgio Agamben
Giorgio Agamben
Nota Bene: a questa significativa domanda del filosofo Agamben, ognuno di noi dovrà, presto o tardi, dare una risposta; e nessuno potrà tirarsi indietro qualunque cosa accada.
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